Andreotti non andò al funerale di mio padre. Preferiva i battesimi

Non posso negarlo. Con lui avevo una questione personale. Per via dell’assassinio di un prefetto che mi era caro. Ucciso a Palermo il 3 settembre del 1982. Che era stato al suo diretto servizio: lui capo del governo, il prefetto – allora generale dei carabinieri – alla guida della lotta al terrorismo. Una settimana dopo quel 3 settembre venne intervistato alla festa dell’Amicizia (ossia della Democrazia cristiana) da Giampaolo Pansa. Che gli domandò perché non fosse andato ai funerali del prefetto. “Perché preferisco andare ai battesimi”, rispose lui mandando in sollucchero il pubblico.

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Un governo a termine, ma quale?

Se si seguono, per lavoro o per diletto, i quotidiani europei, dal francese e molto autorevole Le Monde, al tedesco Die Tageszeitung, al danese Jylands-Posten, ancora al quotidiano economico francese Les Echos, al belga La libre Belgique, al tedesco Suddeutche Zeitung e allo spagnolo El Pais, si può cogliere una sensazione non equivoca che, nei giorni scorsi, con toni e per così dire intenzioni differenti, è stato possibile trovare con chiarezza su due quotidiani del nostro bel paese: la Repubblica di Ezio Mauro e Il Fatto Quotidiano di Antonio Padellaro.

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La borsa vuota

Evidentemente i colpi di scena non bastano mai. Il tempo si diverte a giocare a rimpiattino con i familiari delle vittime. I pezzi di verità emergono uno alla volta, a distanza di decenni. E il sollievo (il relativo sollievo) di sapere qualcosa in più è subito contraddetto dal sapore di beffa che accompagna ogni rivelazione. Ma come, non lo sapevate che la borsa del prefetto dalla Chiesa era a disposizione di tutti, nei sotterranei del Palazzo di giustizia di Palermo, alla stanza dei corpi di reato? E dove volevate che fosse? Colpa vostra se non siete andati a cercarvelo. Sembra di sentirlo, con quel suo tono di dileggio, il fantasma irridente che governa il gioco a monopoli in cui si trasforma ogni processo fatto di misteri e di potere.

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