Riforma ordinamento giudiziario, forte dibattito tra consiglieri al Csm

Di Matteo: “Correnti nervo scoperto della magistratura”

Mentre la commissione giustizia della Camera ha adottato come testo base della riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura la legge dell’ex ministro Alfonso Bonafede, ieri durante il Plenum del Csm è iniziata la discussione per l’approvazione dei pareri al ddl sulla riforma (in tutto sono sei).
Tra i pareri discussi ieri quello in materia di eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative o assunzione di incarichi di governo.
Il parere, cui relatore era il consigliere laico Alessio Lanzi, è stato approvato con due astensioni e un voto contrario, quello del magistrato Nino Di Matteo.
Il consigliere togato indipendente, Nino Di Matteo, ha quindi spiegato i motivi del suo voto contrario: “Pur condividendo la riforma nella parte che limita il rientro in magistratura dopo incarichi politici, voto contro perché così come è prospettato il ddl rischia di comprimere indebitamente il diritto del magistrato di scegliere un impegno politico finendo per azzerare la presenza di magistrati in parlamento, presenza che nel tempo ha fornito un contributo importante. Il nodo delle commistioni improprie tra politica e giustizia – ha sottolineato di Matteo – non si affronta comprimendo il diritto di un magistrato a scegliere di candidarsi ad un incarico politico”.
Pur votando a favore dell’emendamento anche Sebastiano Ardita (membro di Autonomia&Indipendenza) ha definito paradossale il dibattito in cui “ci si occupa in modo formale del problema della candidatura in politica dei magistrati e non si spende neppure una parola sul vero problema che oggi è sotto i nostri occhi: la politica interna alla magistratura, la sua ricerca di consenso, i poteri enormi che determina nelle nomine e la sua capacità di incidere sugli altri poteri dello Stato. Nelle chat di Palamara di questo delicatissimo aspetto c’è tutto, e qui oggi non ho sentito spendere una sola parola su tutto questo”.
E poi ancora: “A me non preoccupa il singolo magistrato che intende candidarsi, ma gli intrecci che esistono tra questa politica interna delle correnti – con il potere enorme che genera – e gli altri poteri. Mi sarei aspettato che ci si preoccupasse di questo – ha concluso Ardita riprendendo quanto sostenuto dal collega Di Matteo – mentre non si può far credere che il problema stia fuori da qui, dal meccanismo della rappresentanza e dell’autogoverno dei magistrati e che non può risolversi in una questione che riguarda solo una parte”.
Alla fine il parere è stato approvato con il Csm che complessivamente valuta “positivamente” l’intervento del legislatore volto a dettare una disciplina organica della materia e a fissare limiti rigorosi per il passaggio dalla magistratura alla politica, nonché ad introdurre un divieto di riassegnazione a funzioni giudiziarie dei magistrati che abbiano assunto incarichi elettivi o di governo. Nell’emendamento si legge in particolare che “la scelta del legislatore di prevedere che i magistrati che abbiano assunto incarichi elettivi o di governo non possano, alla cessazione, del mandato, essere riassegnati a funzioni giudiziarie, appare pienamente condivisibile. Le radicali trasformazioni intervenute nella società e nella politica impongono, infatti, di ritenere che lo svolgimento di tali incarichi incide negativamente sulla immagine di imparzialità e di indipendenza dei magistrati e quindi non è compatibile con lo svolgimento delle funzioni giudiziarie”.

Di Matteo, la riforma del Csm e il nodo delle correnti
Successivamente Di Matteo è intervenuto in merito al parere sul punto della Riforma (l’art. 27, comma 1, lett. b, del d.d.l. che ha aggiunto all’art. 11 della L. n. 195/58 il quinto comma), in base al quale viene stabilito, come si legge nel testo, che “all’interno del Consiglio non possono essere costituiti gruppi tra i suoi componenti e ogni membro esercita le proprie funzioni in piena imparzialità e indipendenza”.
“All’ultima elezione del consiglio superiore della magistratura c’è stata un’astensione credo pari al 40% – ha ricordato Di Matteo – Credo che questo non sia dovuto tanto al Covid o agli scandali. Ma al fatto che molti magistrati purtroppo continuano a considerare il consiglio come un’espressione dei gruppi e delle correnti. Molti magistrati non ne possono più di questo sistema. Il quale non è previsto dal nostro costituente”.
Uno dei punti fortemente criticati, ed inseriti all’interno del parere esposto dalla consigliera Loredana Miccicchè, quello in cui vi è scritto che il legislatore non “potrà realisticamente” affrancare il consiglio da “influenze esterne di tipo correntizio e da pratiche spartitorie” senza rendere il Csm un organo “ideologicamente ‘asettico’, omologato e burocratico, e imponendo ai consiglieri di operare in una dimensione solipsistica” (estremo centrismo personale n.d.r).
“Scusate, se non ci sono più le correnti all’interno del consiglio superiore della magistratura noi improvvisamente diventiamo un organo asettico?” ha domandato provocatoriamente Di Matteo agli altri membri del Csm per poi sottolineare come potrebbero essere state le stesse correnti a trasformare l’organo di auto governo della magistratura in una struttura omologata e burocraticizzata.
Un intervento che ha generato la replica della stessa Miccichè la quale ha detto che “sfiduciare i colleghi sull’associazionismo giudiziario e fargli credere che qui dentro si continui con logiche spartitorie fa male alla magistratura” e che la strada da fare non è “evitare l’associazionismo e le idee” ma “arrivare ad un percorso nuovo” e ancora “è troppo facile dire che le correnti vanno eliminate” poiché si perderebbe prezioso materiale culturale.

Criteri di priorità nell’azione penale
Successivamente il Csm ha approvato con 14 voti a favore, 4 contrari e 4 astenuti l’emendamento unico a firma dei consiglieri Miccichè, Braggion e D’Amato formulato sul testo del Parere numero 3 che fa riferimento alla Riforma Bonafede in base al quale l’esecutivo chiedeva di individuare dei criteri di priorità nella trattazione delle varie ipotesi di reato con lo scopo di garantire l’efficacia dell’azione penale e di evitare l’ingolfamento dei ruoli dibattimentali.
Favorevole all’emendamento anche il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo il quale ha detto che rendere “obbligatori dei criteri di priorità a mio avviso apre la strada ad una diversa valutazione dell’obbligatorietà dell’azione penale” la quale porterebbe ad “incentivare il potere del procuratore rispetto agli altri magistrati presenti nell’ufficio” ed accrescere “la gerarchizzazione interna agli uffici di procura” in contrasto quindi con “l’applicazione concreta dei dettami della nostra Costituzione”. Il pericolo, ha poi aggiunto il consigliere D’Amato, è da individuare anche nel fatto che “non si capiscono le condizioni dentro le quali si muoverà il legislatore delegato” poiché nella Riforma non vengono specificati.

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