Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica

«Più trasparenza di informazione, partecipazione e confronto con i cittadini su tutte le opere, più qualità dei progetti e rafforzamento della macchina amministrativa»

Il Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica, promosso e presentato oggi da 14 Associazioni verrà inviato al Presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri che si occuperanno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) a partire da Roberto Cingolani (ministro della transizione ecologica) ed Enrico Giovannini (ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili- E’ un documento importante che punta a sfatare l’immagine degli ambientalisti che dicono sempre “No” e indica una strada – peraltro già percorsa da anni da altri Psaesi europei – per realizzare opere pubbliche attraverso un reale coinvolgimento e pasrtecipazione dell’opinione pubblica e affrontando di petto le sindrimi Nimby comitatesche e nimto degli amministratori locali in carica che spesso si saldano per bloccare opere necessarie dal punto di vista ambientale e per un’economia low carbon.

Ecco il testo integrale del “ Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica”:  

L’Italia ha uno straordinario bisogno di accelerare nella direzione della decarbonizzazione del proprio sistema energetico e di una gestione circolare delle risorse naturali. Ne abbiamo tutto da guadagnare in termini economici e industriali – potendo così rinunciare all’importazione di fonti fossili e materie prime- e di creazione di lavoro e benefici in ogni territorio grazie alla produzione e condivisione di energia da fonti rinnovabili attraverso smart grid sempre più efficienti e digitalizzate, e ad impianti di economia circolare capaci di creare opportunità e di ridurre gli impatti ambientali e sanitari nei territori. Questa sfida presuppone di installare milioni di impianti solari sui tetti degli edifici, di realizzare migliaia di impianti da fonti rinnovabili e di riciclo, centinaia di impianti di depurazione integrati nel territorio e nel paesaggio italiano. Ma è quanto mai complicata in un Paese con un patrimonio culturale e ambientale straordinario, e che deve farei conti con iter di approvazione tortuosi, opachi e contraddittori.

Oggi, nel contempo, è riconosciuta l’urgenza di introdurre procedure di approvazione e valutazione dei progetti più semplici e chiare, rigorose ma con tempi certi che permettano di fornire tutte le informazioni alle imprese prima di presentare un progetto, per sapere se potrà terminare l’iter qualora desse seguito alle indicazioni previste, e al contempo alle comunità che vivono nei territori per avere garanzia di tutela degli ambiti di pregio e di una integrazione che punti su qualità e rispetto dei cicli naturali.

Eppure, la semplificazione non basta di fronte a un processo di questa dimensione e diffusione in ogni parte del territorio italiano. Occorre garantire che chi vive vicino agli impianti proposti abbia diritto a tutte le informazioni sui progetti, che gli sia consentito porre domande e avere risposte imparziali, che vi sia certezza che alle preoccupazioni che emergono dal confronto pubblico sia dato seguito con approfondimenti. Solo in questo modo infatti il decisore politico avrà in mano tutte le informazioni per poter prendere le decisioni, evitando che si proceda forzando la mano per approvare i progetti sotto la pressione dei proponenti o che li si debba rinviare o cancellare sotto la spinta di gruppi contrari che puntano a spaventare con tesi non scientifiche riguardo agli impatti o alle conseguenze del via libera ai progetti.

In Italia l’informazione dei cittadini e la partecipazione ai processi decisionali per l’approvazione di progetti non è garantita. Nella scorsa legislatura è stata approvata la procedura di dibattito pubblico per le nuove opere pubbliche ma l’iter di attuazione si è completato solo da pochi mesi e le soglie dimensionali previste per far scattare l’obbligo sono troppo elevate, per cui non si applica neanche per i progetti di autostrade, centrali a gas, elettrodotti o gasdotti. Non solo, lo scorso anno con il Decreto semplificazioni in considerazione dell’emergenza pandemica si è data la possibilità di derogare fino al 2024 dalla procedura di dibattito pubblico. Inoltre, l’inchiesta pubblica per i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale, prevista per Legge, non è mai stata applicata perché manca il regolamento attuativo e in ogni caso non è obbligatoria.

L’errore sta nel pensare che sia la partecipazione a rallentare l’iter delle opere quando piuttosto è il contrario. I progetti fatti bene hanno tutto da guadagnare da un confronto pubblico che permetta di spiegare le scelte, di rispondere a dubbi e domande, di approfondire gli aspetti ambientali e paesaggistici. Realizzare questo confronto prima dell’inizio della procedura di Via consente di affrontare le questioni aperte e di chiedere ai proponenti di dare seguito alle richieste di analisi più approfondite o di presentare alternative. In modo che alla fine dell’iter di confronto pubblico e di valutazione ambientale il decisore politico abbia tutte le informazioni necessarie a prendere una decisione sull’opera.

Il tema della partecipazione riguarda tutti i progetti e se vogliamo accelerare la transizione ecologica dobbiamo affrontare il problema di procedure che rendono possibile nascondere, persino ai Sindaci, le informazioni sulle opere. Consentire situazioni di questo tipo rende più difficile creare consenso intorno a scelte non più rinviabili.

Il problema dei tempi di approvazione delle opere in Italia dipende spesso dalla scarsa qualità di molti progetti presentati. L’iter di valutazione ambientale è spesso rallentato, costretto a fermarsi perché mancano analisi, non si è proceduto al vaglio comparativo delle alternative a minore impatto e all’Analisi Costi Benefici anche dal punto di vista ambientale e sociale o i progetti sono redatti in modo del tutto inadeguato. Se non si interviene per garantire progetti completi e approfonditi, si ritarda il lavoro delle commissioni di valutazione anche per i progetti più urgenti e fatti bene.

Per sbloccare i cantieri dobbiamo scommettere su trasparenza delle informazioni e qualità dei progetti in modo da poter garantire un confronto serio che consenta di affrontare e risolvere i problemi, ridimensionando lo spazio per il “nimby” dei cittadini (not in my backyard, ossia non nel mio giardino), il “nimto” degli eletti (not in my terms of office, non nel mio mandato) e quello per le fake news. Sono tanti gli esempi italiani e internazionali che vanno in questa direzione e che dimostrano che il tempo speso il confronto pubblico è un ottimo investimento a garanzia che successivamente non sorgeranno sorprese negative.

Al tempo stesso va rafforzata la macchina amministrativa di determinati settori, che deve essere in grado di istruire ed esaminare nel dettaglio e con competenze specifiche i progetti, nonché di relazionarsi con i portatori di interesse.

Per queste ragioni chiediamo:

Che sia garantito il dibattito pubblico su tutti i progetti di opere nel nostro Paese, compresi quelli della transizione ecologica, attraverso una procedura che permetta di stabilire tempi certi e il diritto dei cittadini ad essere informati, a potersi confrontare sui contenuti dei progetti, ad avere risposta rispetto alle preoccupazioni ambientali e sanitarie.

Che di conseguenza sia rivista la normativa sul Dibattito pubblico (DPCM 76/2018, Allegato 1) e sull’Inchiesta pubblica (articolo 24.bis, Decreto Legislativo 152/2016).

L’intervento normativo deve portare ad abbassare le soglie al momento previste dall’ordinamento vigente per rendere la procedura di dibattito pubblico obbligatoria per un numero più ampio di progetti di infrastrutture e impianti energetici e di introdurre l’inchiesta pubblica per i progetti sottoposti a procedura di valutazione ambientale nazionale o anche su scala regionale. In questo modo per tutti i progetti di opere rilevanti che riguardano il territorio si potrebbe avere un percorso di informazione e partecipazione, obbligatorio sopra certe soglie da far scattare anche su richiesta dei Comuni coinvolti, di cittadini organizzati in forme rappresentative e associazioni ambientaliste riconosciute o da parte del proponente. Inoltre, si dovrebbe prevedere un percorso coordinato di organizzazione del confronto pubblico – e non separato tra dibattito e inchiesta -, che sia basato sul progetto di fattibilità per arrivare alla redazione del progetto definitivo, attraverso una commissione nazionale indipendente sul modello francese che individui anche un elenco di esperti come coordinatori garanti del percorso, in modo da semplificare il processo. Un processo che sia coordinato con la procedura preliminare di VIA già esistente, ai sensi della normativa vigente.

La pandemia e l’urgenza di portare avanti le opere del recovery and resilience plan non può essere la scusa per derogare processi di partecipazione che aiutano a costruire il consenso nei territori, ma semmai a rendere più efficaci le procedure e i temi del dibattito pubblico.

Il Manifesto per il dibattito pubblico sulle opere della transizione ecologica è promosso da: Legambiente, Greenpeace, WWF, Acli, ActionAid, Arci, Casa Comune, Cittadinanzattiva, Fridays for future, Gruppo Abele, Libera, Link Coordinamento Universitario, Rete della Conoscenza, Unione degli Studenti.

fonte: greenreport.it