Fiammetta Borsellino, livore e accanimento contro Nino Di Matteo

di Giorgio Bongiovanni


Il tutto è falso, il falso è tutto
Giorgio Gaber

Da qualche anno a questa parte, su queste pagine in decine e decine di editoriali, ci siamo trovati a commentare ed intervenire rispetto ad alcune affermazioni che Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso in via d’Amelio assieme agli agenti della scorta (Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli), ha più volte rilasciato in svariati interventi pubblici o interviste.
Più volte abbiamo scritto e riconosciuto che, al netto di una verità solo parziale sui fatti che riguardano l’attentato del 19 luglio 1992, è lecito provare rabbia ed avere sete di giustizia. Ancor di più di fronte ad una strage che legittimamente può essere definita come una strage di Stato e che ha visto lo sviluppo di un depistaggio che si è originato sin dalla sparizione dell’agenda rossa del giudice.
Ancora una volta, leggendo le dichiarazioni di Fiammetta Borsellino, dobbiamo constatare la presenza di un vero e proprio accanimento, con livore, nei confronti di un magistrato in particolare: il pm palermitano ed oggi consigliere togato al Csm Nino Di Matteo.
Un accanimento ingiustificato ed ingiusto alla luce, come abbiamo più volte ricordato, del ruolo che lo stesso assunse nei processi sulla strage di via d’Amelio.
Da sostituto procuratore si occupò solo marginalmente delle indagini poi scaturite nel “Borsellino bis” (dove entrò a dibattimento già avviato, ndr) mentre istruì dal principio le indagini sul “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, che ha portato alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale e che non è stato investito dal famoso “ciclone Spatuzza”, che mise in discussione la verità raccontata del falso pentito Vincenzo Scarantino riscrivendo un pezzo di storia riguardo l’attentato.
In quel processo, infatti, le dichiarazioni del “pupo vestito” neanche furono utilizzate proprio perché vi erano forti limiti rispetto alle sue dichiarazioni.
Nell’intervista al Riformista, quotidiano diretto da Pietro Sansonetti, ancora una volta si ripropone la famosa pista del rapporto mafia-appalti come motivo dell’accelerazione che portò poi alla morte, sviando l’attenzione da ogni aspetto che riguardi la trattativa Stato-mafia. E ciò avviene nonostante vi siano sentenze e processi ancora in corso che sono deputati a chiarire questi aspetti.
Ed ogni volta che si parla dell’archiviazione di quell’indagine da parte della Procura di Palermo, giusto il 20 luglio 1992, non si ricorda mai che la stessa inchiesta si basava su un’informativa dei carabinieri “incompleta” e privata dei nomi di politici di rilievo che invece comparivano in un’altra informativa depositata in un’altra Procura.
Siccome pensiamo che la signora Fiammetta Borsellino è assolutamente cosciente degli argomenti che tratta, ed è intelligente, siamo certi che ha avuto modo di approfondire questi argomenti. Quello che non riusciamo a comprendere sul piano logico, a meno che non si tratti di sentimenti di odio (ci auguriamo non sia così), è proprio la natura di quell’accanimento nei confronti di Nino Di Matteo.
Ciò avviene nonostante quest’ultimo non sia stato mai iscritto nel registro degli indagati per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. Un’inchiesta che vedeva indagati i magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, con l’accusa di calunnia aggravata, che è stata archiviata dal Gip di Messina dopo la richiesta della stessa Procura, in quanto “non si è individuata alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino”.
Nonostante lo stesso Di Matteo abbia spiegato più volte (processo sul depistaggio contro i poliziotti, processo Borsellino quater, Commissione parlamentare antimafia e Csm) in maniera minuziosa su come si sono svolti i fatti in quegli anni, ogni volta viene ingiustamente tirato in ballo.


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Il consigliere togato, Nino Di Matteo © Imagoeconomica


A questo punto vorremmo porre alcune domande a Fiammetta Borsellino.
Crede che tutte le istituzioni che si sono occupate della strage di via d’Amelio, gli organi inquirenti e giudicanti di tutti i processi, siano da sottoporre sotto provvedimento disciplinare, siano incompetenti o peggio ancora corrotti? Tra esse inserisce anche i componenti del Csm, i magistrati ed i giudici della Procura di Messina, prima ancora il Gip di Catania che archiviò l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta Palma e Di Matteo in quanto priva di alcun “comportamento omissivo” rispetto alla vicenda del deposito posticipato al processo “Borsellino bis” dei confronti tra Scarantino ed i collaboratori Totò Cancemi, Gioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo?
Ritiene che tutte le sedi Istituzionali che hanno in qualche maniera assolto, archiviato o non indagato il magistrato siano corrotte?
La signora Fiammetta Borsellino si assume la responsabilità di mettere in dubbio ed accusare di complicità correntista il Csm, quando lo stesso Di Matteo non appartiene ad alcuna corrente?
Sulla vicenda del rapporto mafia-appalti è cosciente dell’intera spinosa vicenda o si ferma solo alla ricostruzione monca che certe parti interessate vogliono far emergere?
Fa specie notare che quella pista per la morte di Borsellino, sia la “favorita” della difesa Mori-Subranni-De Donno al processo Stato-mafia.
Così come fa specie, in un mondo alla rovescia dove vero e falso si mescolano continuamente, vedere come alcuni familiari vittime di mafia accolgano, totalmente o in parte che sia, suggerimenti e considerazioni da parte di chi certe verità non vuole che siano mostrate.
E chi trae giovamento da tutto questo è proprio quel gruppo di uomini-cerniera che hanno obbedito agli ordini di uno Stato-mafia che ha letteralmente armato il braccio di Cosa Nostra per seminare bombe e distruzione nel biennio ’92/’93 e non solo.
Ed è un dato di fatto che la verità della trattativa Stato-mafia è scomoda a molti.
Fiammetta Borsellino, lo ha ribadito più volte con le sue dichiarazioni, sposa in toto considerazioni come quelle dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che difende alcuni degli ergastolani ingiustamente condannati in base alle dichiarazioni di Scarantino.
Per concludere nell’intervista al Riformista Fiammetta Borsellino afferma, riferendosi chiaramente a Di Matteo, che “non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone“.
Chi sarebbero dunque vicini alle idee e all’etica del padre? Quegli avvocati degli stragisti che hanno assassinato Paolo Borsellino?
Lo ripetiamo ancora una volta, senza nulla togliere al diritto alla difesa e alla legittimità professionale degli avvocati nell’esercizio della loro professione, resta un fatto noto che l’avvocato Di Gregorio non è solo il difensore di una delle vittime delle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino (Gaetano Murana, ndr) ma è già stata legale del boss corleonese Bernardo Provenzano ed anche del boss di Santa Maria del Gesù, Pietro Aglieri, entrambi membri della Cupola di Cosa nostra e condannati a vari ergastoli in via definitiva, anche per la strage di via d’Amelio.
Di Gregorio che, durante un’udienza del “Borsellino ter”, il collaboratore di giustizia Totò Cancemi affermò essere in qualche maniera vicina agli ambienti dei servizi segreti. Nello specifico disse che mentre si trovava in tribunale a Palermo, l’avvocato Rosalba Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante in contatto con i servizi segreti. Cancemi spiegò che il latitante a cui si faceva riferimento era Bernardo Provenzano. Diamo atto che la stessa Di Gregorio ha sempre smentito l’accaduto ma se si ritiene che Cancemi abbia detto il vero su Scarantino perché dovrebbe aver mentito sul legale?
E cosa ne pensa Fiammetta Borsellino dei magistrati di Caltanissetta che hanno indagato sul progetto di attentato nei confronti dello stesso Nino Di Matteo, con una condanna a morte perpetrata dal Capo dei capi Totò Riina e dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Un progetto di attentato il cui ordine di colpire Di Matteo, lo scrivono gli stessi magistrati nisseni nel decreto di archiviazione, “resta operativo”? Sono vicini alle idee del padre?
Su tutte queste domande sarebbe bello, prima o poi, avere una risposta.
Ma abbiamo il timore e l’amarezza che la signora Fiammetta Borsellino abbia dimenticato chi veramente, nell’informazione e nella magistratura, ha dedicato la propria vita, con disinteresse, a cercare la verità sull’assassinio del proprio padre.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

fonte: antimafiaduemila.com