Eni punta a zero emissioni nette al 2050, ma intanto cerca 2 miliardi di barili di petrolio in più

Il Cane a sei zampe ha presentato il Piano strategico 2021-2024 insieme ai risultati d’esercizio 2020: nell’anno della pandemia perdite da 8,5 miliardi di euro

di
Luca Aterini

Nel 2020 insieme alla pandemia si è verificata la massima contrazione mai registrata della domanda globale di petrolio (-9% circa sul 2019), con conseguenti riflessi sul crollo dei prezzi e dei margini delle commodity: Eni segnala Brent -35%, prezzo del gas Italia -35%, dati che non a caso si affiancano a una grossa perdita messa a bilancio dal Cane a sei zampe.

Nell’ultimo anno la multinazionale – che ha circa il 30% del capitale sociale in mani pubbliche, tramite ministero dell’Economia e Cdp – ha registrato una perdita netta di competenza degli azionisti di oltre 8,5 miliardi di euro rispetto all’utile netto di 148 milioni del 2019.

Non a caso, insieme ai risultati d’esercizio, Eni comunica nel suo nuovo Piano strategico 2021-2024 di voler accelerare sulla strada della decarbonizzazione: «Oggi compiamo un ulteriore passo avanti nella nostra trasformazione e ci impegniamo a raggiungere la totale decarbonizzazione di tutti i nostri prodotti e processi entro il 2050. Il nostro piano è concreto, dettagliato, economicamente sostenibile e tecnologicamente realizzabile», dichiara l’ad Claudio Descalzi.

Il raggiungimento dell’obiettivo sarebbe in linea con quanto richiesto dal Green deal europeo, sebbene il punto di partenza – per usare un eufemismo – non sia affatto buono: da Greenpeace segnalano che nel 2018 Eni ha emesso complessivamente 537 milioni di tonnellate di CO2, ovvero più dell’Italia intera che segnava quota 428 inclusa la parte Eni di emissioni prodotte nel nostro Paese.

Già lo scorso anno Eni si era impegnata ad abbattere l’80% delle emissioni di CO2 legate al proprio business in termini assoluti (incluso lo scope 3, e dunque comprendente l’uso dei prodotti venduti) entro il 2050, tramite un Piano valutato come il migliore al mondo tra le aziende di settore dal think tank Carbon tracker ma al contempo aspramente criticato da altre fonti ambientaliste.

Nel nuovo Piano l’azienda ha fatto passi in più: oltre al target zero emissioni nette al 2050, si aggiungono ad esempio i nuovi obiettivi di riduzione di emissioni assolute del 25% entro il 2030 vs. 2018 e del 65% entro il 2040, o l’aumento della capacità installata in termini di fonti rinnovabili a 4GW nel 2024, 15GW al 2030 e 60GW al 2050.

Resta confermata anche la volontà d’interrompere l’uso di olio di palma nelle bioraffinerie entro il 2023, mentre al contempo per questi impianti si prevede il raddoppio della capacità produttiva a circa 2 milioni di tonnellate entro il 2024 – e un aumento di 5 volte entro il 2050 – con un apporto crescente di materia prima proveniente da rifiuti e scarti, che copriranno circa l’80% del totale nel 2024 rispetto al 20% attuale.

Rimangono però molti dei principali punti critici già sollevati dagli ambientalisti un anno fa, e che minano la credibilità del percorso di decarbonizzazione annunciato da Eni. Basti osservare la centralità che continueranno ad avere i combustibili fossili nel Piano presentato oggi dalla società: «La produzione crescerà a una media di circa 4% all’anno nell’arco del piano, principalmente in maniera organica. Per il 2021, un anno di transizione prima della piena ripresa dal Covid19, la produzione si conferma a circa 1,7 milioni di barili di olio equivalente/giorno (boed)». Complessivamente, alla voce “esplorazione” Eni segna «2 miliardi di barili di olio equivalente (boe) di nuove risorse nel piano quadriennale».

Il perno delle attività Eni si sposterà sempre più sul gas, che è sì il combustibile fossile meno inquinante ma non per questo risolutivo di fronte alla crisi climatica: «A lungo termine rappresenterà oltre il 90% della produzione di Eni». Com’è possibile dunque, con un profilo di business simile, ambire alle emissioni nette zero al 2050?

Eni ci prova puntando forte su operazioni di forestazione e sulle controverse tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio: alla voce “iniziative Redd+” si parla della “compensazione di oltre 6 milioni di tonnellate/anno di CO2 entro il 2024 e oltre 40 milioni al 2050” e, soprattutto, ai “progetti Ccs” si affida una “capacità totale di stoccaggio di CO2 di circa 7 milioni di tonnellate/anno al 2030 e 50 milioni al 2050”.  Un percorso ricco d’incognite, mentre la crisi climatica avanza.

fonte: greenreport.it