Rifiuti radioattivi, le reazioni ambientaliste alla pubblicazione della Cnapi

Per Legambiente «ora è necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora», mentre Greenpeace non condivide la scelta di dotarsi di un solo Deposito nazionale e suggerisce di utilizzare i siti esistenti o parte di essi

Per Legambiente «lo smaltimento in sicurezza dei nostri rifiuti radioattivi è fondamentale per mettere la parola fine alla stagione del nucleare italiano e per gestire i rifiuti di origine medica, industriale e della ricerca che produciamo ancora oggi. La partita è aperta da tempo, non è semplice ma è urgente trovare una soluzione visto che questi rifiuti sono da decenni in tanti depositi temporanei disseminati in tutta Italia».

È questo il commento che arriva a caldo dal Cigno verde dopo la pubblicazione da parte della Sogin – con il via libera arrivato, dopo un silenzio che durava dal 2015, dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico – della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.

«Ora è necessario che si attivi un vero percorso partecipato, che è mancato finora – sottolinea Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – per individuare l’area in cui realizzare un unico deposito nazionale, che ospiti esclusivamente le nostre scorie di bassa e media intensità, che continuiamo a produrre, mentre i rifiuti ad alta attività, lascito delle nostre centrali ormai spente grazie al referendum che vincemmo nel 1987, devono essere collocate in un deposito europeo, deciso a livello dell’Unione, su cui è urgente trovare un accordo».

Già nel 1999 con il dossier “L’eredità radioattiva” Legambiente evidenziò come la stagione del nucleare italiano non fosse finita, alla luce della pesante eredità delle scorie nucleari collocate in depositi temporanei situati in aree assolutamente inidonee e delle operazioni di smantellamento e bonifica delle vecchie centrali ancora da completare. Per questo nel passato l’associazione ambientalista ha più volte ricordato come il problema degli attuali siti nucleari a rischio non può essere risolto costruendo nuovi depositi in questi stessi siti ma individuando, con trasparenza e oggettività, il sito per una diversa e sicura collocazione di tutti i materiali radioattivi presenti in quelle aree. Il Deposito nazionale (che secondo il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi dovrà essere realizzato entro il 2025) sarà inoltre funzionale allo smantellamento e alla bonifica delle vecchie centrali nucleari ancora presenti sul territorio nazionale e per gestire i rifiuti prodotti annualmente negli ospedali, dall’industria e dai centri di ricerca.

«Tutti ricordiamo quello che successe nel 2003 – osserva Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – quando l’allora commissario della Sogin e il governo Berlusconi scelsero, con un colpo di mano e senza fare indagini puntuali, il sito di Scanzano Jonico in Basilicata che, dopo le sollevazioni popolari a cui partecipammo anche noi, fu ritirato. Si tratta di un’esperienza davvero terribile da non ripetere. La pubblicazione della Cnapi è solo il primo passo. Siamo infatti convinti che i troppi ritardi e la poca chiarezza che hanno caratterizzato fino ad ora questo lungo e complesso percorso, rischiano di far partire il tutto con il piede sbagliato. Formalmente da oggi ci sono 60 giorni per produrre delle osservazioni da parte del pubblico al lavoro fatto, ma non ci si può limitare a questo. Ribadiamo con fermezza l’urgenza di avviare un percorso trasparente, partecipato e condiviso col territorio».

Sulla stessa linea Rossella Muroni, deputata LeU e già presidente nazionale di Legambiente: «La pubblicazione della Cnapi è un atto dovuto e atteso da tempo, ma anche un’assunzione di responsabilità da parte del Governo. Ricordo, infatti, che attendiamo la pubblicazione di questa Carta da agosto 2015 e che richieste di approfondimenti tecnici prima e appuntamenti elettorali dopo l’hanno fatta slittare sino ad ora. Tanto che a ottobre scorso l’Ue ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e non era più possibile rinviare. Premesso che il deposito riguarderà i rifiuti di bassa e media attività, mentre per i rifiuti radioattivi ad alta attività sarà possibile individuare un deposito profondo comune in Europa, e che la Carta è stata già verificata dal punto di vista tecnico dall’Ispra, ora bisogna dare priorità alla fase della consultazione pubblica. Soprattutto in questo momento storico è più importante che mai gestire la partecipazione, assicurare trasparenza, coinvolgere i territori se non si vuole innescare l’ennesimo conflitto sociale ed ambientale. E finalmente la Sogin non avrà più scuse ma dovrà dare seguito al suo mandato completando il decommissioning delle vecchie centrali e realizzando il deposito per mettere in sicurezza i nostri rifiuti radioattivi, senza continuare a sperperare denaro pubblico».

Greenpeace dichiara invece di non condividere la strategia scelta dall’Italia, basata sulla necessità di dotarsi di un solo Deposito nazionale che ospiti a lungo termine i rifiuti di bassa attività e, “temporaneamente”, i rifiuti di media ed alta attività.

Per l’organizzazione ambientalista, oltre «a essere l’unico caso al mondo di gestione combinata dei rifiuti, tutto ciò ha implicazioni non secondarie: come la possibile decisione di “nuclearizzare” un nuovo sito vincolandolo a lungo termine alla presenza di rifiuti pericolosi. E l’ipotesi – tutta da verificare – che vi sia un consenso dei cittadini, e degli enti che li rappresentano territorialmente, a ospitare il deposito unico».

Secondo Greenpeace sarebbe stato «più logico verificare più scenari e varianti di realizzazione del Programma utilizzando i siti esistenti o parte di essi e applicare a queste opzioni una procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas), in modo da evidenziare i pro e i contro delle diverse soluzioni. Il Programma non può, come è ovvio, risolvere la questione definitivamente, ma di fatto propone una lunga transizione, stimabile nell’ordine di un secolo, in cui la parte minore in volume dei rifiuti nucleari, ma fortemente maggioritaria della radioattività, è gestita “temporaneamente” in un Deposito unico che non può ospitarla definitivamente».

fonte: greenreport.it