Dal Csm nuove regole per i Procuratori capi e gli uffici

Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

Le considerazioni di Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita

Novità in vista per le attività delle Procure italiane con nuove regole per l’organizzazione degli uffici e la conduzione delle indagini. E’ in fase di discussione davanti al Plenum del Csm il decalogo di comportamento per i vertici delle Procure con la modifica alla circolare sull’Organizzazione degli Uffici.
Un testo che di fatto rivisita con una “parziale riformulazione” la circolare già adottata nel novembre 2017 che, a sua volta, integrava i precedenti del 2007 e del 2009, tutti figli della riforma dell’ordinamento giudiziario del governo Berlusconi, divenuto legge con il ministro della Giustizia Clemente Mastella.
La nuova proposta è stata presentata dalla Settima Commissione del Consiglio (Pepe, Donati, Basile, D’Amato, Suriano, Ciambellini a cui si aggiungono anche Micciché e Dal Moro come estensori).
“Abbiamo voluto ancorare le scelte del procuratore a criteri di trasparenza e conseguente motivazione, allorquando individua i suoi collaboratori fra i sostituti per affidargli degli incarichi – ha spiegato Antonio D’Amato, componente della settimana commissione, toga di Magistratura indipendente, componente della commissione che ha presentato oggi alcuni emendamenti per aggiustare il testo – In questo modo si è voluto scongiurare il rischio delle cosiddette medagliette costruite su sostituti ‘vicini’ allo stesso procuratore per favorirli nel percorso professionale, trattandosi di medagliette utili in sede di successiva valutazione per possibili incarichi direttivi o semidirettivi”.

Le novità del testo
Il testo prevede tra l’altro il ricorso all’interpello (una sorta di concorso interno) per l’assegnazione dei sostituti ai gruppi di lavoro in cui sono articolate le Procure e per l’attribuzione delle funzioni di coordinamento ai procuratori aggiunti, che dovranno avvenire secondo regole certe e valorizzando il lavoro “sul campo”. Inoltre viene circoscritto il potere di visto del Procuratore sugli atti dei sostituti, utilizzato di fatto da alcuni Capi delle procure come un modo di coassegnarsi i procedimenti, comprimendo l’autonomia del pm titolare. E si stabilisce che anche il Procuratore (con i suoi aggiunti) deve farsi carico di una parte del lavoro giudiziario, compatibilmente con le dimensioni dell’ufficio.
Dunque il capo dell’ufficio non sarà più il sovrano unico delle assegnazioni dei singoli pm alle Direzioni antimafia, i gruppi che lavorano sulla criminalità organizzata. In questo caso, scrive il Csm, il procuratore che “rinnova o non rinnova” un incarico dovrà “motivarlo espressamente” e “comunicarlo a tutti i magistrati dell’ufficio” che, se bocciati ed esclusi, potranno presentare le loro contro deduzioni.

Le considerazioni di Sebastiano Ardita
Se secondo il Pg della Cassazione Salvi quello della Settima Commissione è stato “un ottimo lavoro”, per il consigliere togato di Autonomia e Indipendenza Sebastiano Ardita, lo spirito è “buono“, ma ci sono “molti limiti nella misura in cui nella misura in cui, come effetto compensativo del minore spazio di autonomia dei singoli magistrati, vi è un ulteriore aggravamento delle condizione burocratiche rispetto le quali il Procuratore della Repubblica deve operare“.
Secondo Ardita è ovvio che “la materia risenta fortemente dell’intervento del legislatore, il quale ha introdotto una più pregnante funzione del Procuratore della Repubblica nella sua veste di capo dell’ufficio. E non c’è dubbio che l’accentramento che si è determinato con la legge dell’ordinamento giudiziari ha creato una grossa crisi nell’equilibrio interno agli uffici. Da un lato comportando una burocratizzazione nelle attività dei sostituti, chiamati molte volte a rispondere di ciascun atto che veniva compiuto, dall’altro sostanzialmente perdendo una quota della loro autonomia che era loro conferita“. Rispetto alla precedente circolare “incapace di salvaguardare quegli spazi di autonomia in maniera adeguata“, il consigliere togato ha espresso la necessità, nello scrivere una nuova circolare con cui si vuole migliorare l’attività nel rapporto tra il Procuratore ed i sostituti, di “non creare degli abiti di gesso dentro cui poi questi Procuratori devono trovarsi ad operare e a non dimenticare che ci sono dei parametri anche molto importanti nella valutazione del lavoro del pubblico ministero che è difficile riportare in una circolare, ma che sono comunque rilevanti“.
Ardita ha evidenziato alcuni punti fondamentali, come quello della “gestione delle risorse investigative che comportano possibilità di investire risorse, anche economiche, in attività tecniche; in utilizzo della polizia giudiziaria; o nella possibilità di sviluppare o meno un’ipotesi investigativa“.
Quando ci si trova di fronte ad un fatto di reato si può decidere se istruirlo così come è, approfondendo quello che si è già rilevato, oppure se svilupparlo. Perché è possibile che quel reato nasconda dietro un’attività in forma organizzata, con un certo tipo di apporto sul territorio in termini di devastante capacità di diffusione del delitto – ha ricordato – Non è che la Procura è un ministero. Si può fare una scelta investigativa e non è detto che ci sia un risultato“. Ma non è questo a dover essere determinante in una valutazione. “Ciò che è determinante è l’analisi dei fenomeni criminali che vengono esaminati. Perché ci sono due modi di fare il pubblico ministero e questo è il punto fondamentale. Se noi vogliamo mettere mano a qualcosa che dia un indirizzo agli uffici – ha proseguito rivolgendosi ai colleghi – noi dobbiamo spiegare qual è la nostra posizione e non blindarci dietro un modello organizzativo che somiglia molto a una burocrazia centrale di un ministero. Noi dobbiamo essere capaci di dire le cose come stanno. Ci sono reati perseguiti i quali si ottiene un beneficio perché quei reati creano altri reati. Perché mettono in piedi un meccanismo di disagio che moltiplica i fenomeni criminali“. Ovviamente, secondo il magistrato, tutti i reati vanno perseguiti in un’ottica di obbligatorierà dell’azione penale, ma è chiaro che i reati incidono in maniera differente. Il riferimento è ai “reati di criminalità mafiosa che oltre a creare meccanismi di incistamento in quelle che sono le realtà pubbliche determinano posizioni di disagio e che creano altri reati. Reati che quindi comportano per il Procuratore della repubblica una priorità importante“. Inoltre ha evidenziato l’importanza dell’adozione di criteri, nella scelta dei sostituti per i gruppi di lavoro o le coassegnazioni, che vadano oltre alla rotazione o la contiguità, ma che tengano conto anche della “cultura, l’indipendenza ed il coraggio di ciascun sostituto, o di un gruppo di sostituti a svolgere una determinata indagine in coassegnazione o ad occuparsi di determinate indagini. Perché anche l’intuito personale è importante in questa scelta”.
“Occorre dare un segnale forte e chiaro ai Procuratori della Republbica – ha concluso Ardita – e cioè che il Csm non vuole una gestione burocratica della procura, ma incoraggia le indagini di mafia, le indagini sui rapporti oscuri tra mafia e istituzioni, le indagini sulla politica deviata, le indagini sulla corruzione politica, le indagini sui grandi scandali che riguardano il territorio. Questo dovrebbe essere il segnale che arriva. E per far sì che questo arrivi occorre necessariamente svolgere una funzione di stimolo e chiarire, anche in un testo come questo, quali sono le nostre priorità“.
In attesa del voto, che salvo imprevisti dovrà avvenire mercoledì prossimo, oggi si sono discussi una serie di emendamenti volti a correggere alcuni punti del nuovo “vademecum”.
Alcuni di questi sono stati presentati dal consigliere togato Nino Di Matteo che già stamattina, pur comprendendo e condividendo lo spirito di fondo che anima la proposta di delibera, ha espresso alcune perplessità.

La proposta di Di Matteo
“Noi – ha dichiarato sin da subito il magistrato – abbiamo a che fare con una riforma, quella dell’ordinamento giudiziario del 2006-2007, che molto pericolosamente ha accentuato una deriva gerarchizzata degli uffici del Pubblico ministero. Una riforma che la magistratura non ha saputo, o non ha voluto, contrastare con la dovuta veemenza in funzione dell’ottica di preservare veramente la sua autonomia e indipendenza dal potere politico, e non solo”. Ed è proprio da questo punto di vista che, secondo Di Matteo, è apprezzabile lo sforzo fatto dalla Settima Commissione nel momento in cui “ci si dirige verso una maggiore garanzia nella trasparenza delle scelte del Procuratore e tende verso una pari dignità dei magistrati che cooperano nell’esercizio della giurisdizione. Inoltre tende anche a tutelare l’autonomia e l’indipendenza dei singoli magistrati. Un’autonomia che è pericolosamente più esposta, in quanto più subdolamente, ad attacchi interni rispetto gli attacchi esterni”.
Tuttavia, secondo il magistrato palermitano vi sono anche dei rischi: “Bisogna stare attenti a non imbrigliare le attività delle Procure e dei Procuratori in un reticolo troppo fitto di lacci e adempimenti che pregiudichino la funzionalità e l’efficacia dell’azione investigativa. Noi dobbiamo stare attenti a non avallare una deriva di ulteriore burocratizzazione per combattere una pericolosa deriva di gerarchizzazione degli uffici di Procura, che abbiamo accettato supinamente, con la riforma dell’ordinamento giudiziario 2006-2007”.
Di Matteo ha ricordato come, rispetto al passato “dove il singolo sostituto procuratore sentiva veramente di vivere la sua piena autonomia nelle scelte investigative e processuali che gli competevano” oggi sia stato “cambiato il Dna del Pm, tendendo a valorizzare quei magistrati che sono pronti, o troppo pronti, ad assecondare i desiderata dei Capi degli uffici, in funzione di una benevolenza che può essere utile in termini di giudizi, di scelte nella composizione dei gruppi, nelle scelte di composizione di componenti Dda e quant’altro”.
Nello spiegare il perché di alcuni emendamenti presentati il consigliere togato ha evidenziato come vi sia la necessità di “porsi nell’ottica del sostituto procuratore, cioè del magistrato che materialmente porta avanti le indagini, rappresenta la parte esposta, che è quello che fa interrogatori e mette la propria faccia in tutta l’attività dell’ufficio; che va in udienza a sostenere l’accusa anche in processi particolarmente difficili e complessi”. Da questo punto di vista si può comprendere che “il sostituto procuratore della Repubblica, oltre a volere un Procuratore che sia trasparente nelle sue scelte, responsabile e che le motivi, vuole un Procuratore della Repubblica che sia in grado di supportare effettivamente il suo lavoro, tanto da fungergli da scudo e stimolo, da fungere da magistrato più esperto che può anche consigliarlo e supportarlo. E per fare questo il procuratore della repubblica ha una necessità: conoscere le indagini del sostituto procuratore”. Nello specifico, dunque, Di Matteo ha ravvisato la necessità non che il Procuratore “tratti o sia indotto a trattare i procedimenti, ma che conosca il lavoro dei suoi sostituti per poterlo supportare”. Al contempo ha espresso la necessità che il Procuratore capo, nel momento in cui si trovi a designare un componente della Dda, “non sia imbrigliato da mille regole tassative che impongono di scegliere, e possono portare alla scelta di quello che ha fatto più corsi presso la scuola superiore di Firenze, o di quello che magari perché si è occupato solo di traffici di droga e non di corruzione e ha più esperienza di rapporti internazionali. O di quello che, magari perché è uno ‘yes man’, che ha sempre lavorato ottimamente secondo il giudizio degli altri, ha mostrato sempre una notevole capacità di gruppo. Ma possa, comunque motivando la propria scelta, scegliere quello che è il più valido, il più coraggioso, il più appassionato”.
In questo senso, infatti, sono stati approvati alcuni emendamenti proposti proprio dal consigliere togato.
Al contempo Di Matteo ha anche espresso una considerazione positiva rispetto all’esplicitazione delle regole che riguardano nello specifico il funzionamento della Procura nazionale antimafia. “Sarei ipocrita se dicessi che non mi riferisco anche alle vicende che mi hanno coinvolto, ma mi riferisco anche a vicende che riguardato anche altri colleghi – ha spiegato con forza – Su questo equivoco di fondo, che secondo me è ingiustificato, dell’applicabilità o meno di certe regole della circolare del 2017, quali quelle sulla procedura da seguire per revocare una assegnazione di un fascicolo, in questo caso della Procura nazionale antimafia ad un gruppo di lavoro, si è consumata una delle pagine tristi della Procura nazionale antimafia. Con la sottrazione di indagini importanti a colleghi, e non parlo della mia vicenda ma di precedenti, che comunque si erano molto esposti soprattutto sul crinale di ricerca di possibili mandanti e partecipi esterni alla mafia per le stragi del 1991-1994. E allora bene avete fatto a togliere la possibilità dell’alibi di questo equivoco”.
“La Procura nazionale antimafia ideata e voluta da Giovanni Falcone – ha ricordato il magistrato – ha rischiato nel tempo di diventare un ibrido tra un ufficio giudiziario, come lo concepiva Falcone dotato di penetranti poteri di coordinamento, ma anche di impulso delle attività delle Dda, ed un ufficio che sta in mezzo tra quello giudiziario e quello politico amministrativo. Che rischia di avere un ruolo di mera rappresentanza e di essere percepito, e vi assicuro che è così, come un fastidio dalle procure Distrettuali antimafia”. Quindi ha concluso plaudendo al capitolo della riforma dedicato alla Procura Nazionale Antimafia “parificata in tutto e per tutto la Procura nazionale antimafia, quanto alle regole di funzionamento interno, alle altre Procure della Repubblica” anche valorizzando “la connotazione giudiziaria e chiarendo che si tratta di un ufficio giudiziario di merito”: “Questa parte credo sia molto importante e può segnare una direzione di svolta, nel senso del ritorno di una caratterizzazione fortemente giudiziaria dell’ufficio, creato con legge del 1991”.
Fonte:Antimafiaduemila

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