Depistaggio Cucchi: “Dopo la sua morte c’era fibrillazione nell’Arma”

Ieri la testimonianza del piantone della stazione di Tor Sapienza

“Da quando uscì la notizia della morte di Stefano Cucchi mi chiamavano tutti i giorni. Luciano Soligo (ex numero uno della compagnia di Talenti Montesacro, ndr) mi chiamò in coincidenza con l’uscita del primo articolo. Nell’Arma c’era fibrillazione”. A dirlo ieri nel corso del processo sui depistaggi seguiti dalla morte del geometra 31enne, è stato il carabiniere Gianluca Colicchio. Imputati sono otto militari dell’Arma.
Rispondendo alle domande del pm Giovanni Musarò Colicchio ha ricordato che dopo la morte di Cucchi gli venne chiesto dai superiori di scrivere una nota sull’arresto, ma il giorno dopo gli venne presentata un’annotazione diversa da firmare che lui disconobbe. Nella prima, datata 26 ottobre del 2009 alle 18.40, Colicchio così scrisse: “Trascorsi circa 20 minuti Cucchi suonava al campanello di servizio presente nella cella e dichiarava di aver forti dolori al capo, giramenti di testa, tremore e di soffrire di epilessia”. A questa annotazione ne seguì una seconda, più sfumata, nella quale si dava conto che “Cucchi dichiarava di soffrire di epilessia, manifestando uno stato di malessere generale verosimilmente attribuito al suo stato di tossicodipendenza e lamentandosi del freddo e della scomodità della branda in acciaio”. “Il 27 ottobre del 2009 – ha ricordato Colicchio che ha ripetuto con più precisione quanto già dichiarato in altri processi – il maggiore mi mise davanti una copia dell’annotazione di servizio su Cucchi non firmata e mi disse di firmare. La firmai ma rileggendola mi resi conto che era stato cambiato un passaggio importante, per cui feci presente al maggiore che non era l’annotazione che avevo redatto il giorno prima, non era ‘farina del mio sacco’. Stravolgeva il senso di quello che mi aveva detto Stefano. Presi in mano il foglio che avevo appena firmato e dissi che non volevo che l’annotazione modificata fosse trasmessa perché ne disconoscevo il contenuto”. “Soligo cercò di farmi calmare – ha riferito ancora il teste – ma io non volevo sentire ragioni. In quel momento il maggiore stava parlando al telefono con il suo superiore, il tenente colonnello Francesco Cavallo per cui me lo passò dicendogli ‘il carabiniere è un po’ agitato’. Parlai dunque con Cavallo, il quale mi chiese per quale ragione non volessi firmare l’annotazione e dissi a lui quello che avevo già detto a Soligo e cioé che non era ‘farina del mio sacco’ e ne disconoscevo il contenuto. A questo punto Cavallo mi evidenziò che rispetto all’annotazione che avevo redatto la sera prima, era stato cambiato solo un passaggio, ma io non volevo sentire ragioni perché mi ero reso conto che quella piccola modifica cambiava completamente il senso di quello che intendevo attestare. Per cui presi l’annotazione e la portai via”.
Colicchio, che anche oggi ha precisato di non aver mai subito minacce o intimidazioni da parte dell’Arma, ha spiegato al tribunale di avere la sensazione che Soligo “stesse dando esecuzione ad ordini provenienti dalla sua gerarchia. Ritenni per questo che la ‘regia’ veniva dal Gruppo di Roma, circostanza confermata dal fatto che Soligo non cambiò i files delle due annotazioni sul posto (cioè presso il Comando di Tor Sapienza) ma i files furono trasmessi al Gruppo e tornarono modificati dal Gruppo”.
Nel corso della mattina è stato sentito anche un altro carabiniere, Ciro Grimaldi che ha ricordato come proprio lo stesso Colicchio, all’epoca dei fatti piantone alla caserma di Tor Sapienza, a cui fu consegnato il geometra romano dai militari della stazione Appia, disse: “Ma come si fa a pestare uno così”.

In foto: Ilaria, sulla destra, e Stefano Cucchi © Imagoeconomica

fonte: antimafiaduemila.com