Nino Di Matteo in Commissione antimafia: ”Ecco tutta la verità”
Il consigliere togato sentito su caso Bonafede, mancata nomina Dap, scarcerazioni e molto altro
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari – Video
C’era attesa per l’audizione del consigliere togato Nino Di Matteo davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Da quel 3 maggio in cui il magistrato raccontò per la prima volta pubblicamente,
durante la trasmissione di La7, Non è l’Arena, la vicenda della sua
mancata nomina al vertice del Dap (Dipartimento amministrazione
penitenziaria), con tanto di proposte e clamorosi ripensamenti in appena
24 ore da parte del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
E’ passato poco più di un mese, ma il rumore su quanto avvenuto, così
come per le scarcerazioni dei detenuti al 41 bis ed in Alta sicurezza,
si è tutt’altro che attenuato.
Perché ad oggi ci sono risposte che il Guardasigilli non ha ancora dato, in particolare sui motivi
oggettivi che lo portarono a preferire al pm che indagò sulla
trattativa Stato-mafia il magistrato di Potenza, Francesco Basentini.
Prima o poi si troverà a dover dare ulteriori spiegazioni su tutta la
vicenda (anche oggi è stata chiesta una nuova audizione dopo quella
dello scorso 21 maggio),
intanto i fatti raccontati da Di Matteo hanno offerto ulteriori
particolari rispetto alle telefonate e agli incontri che si susseguirono
tra il 18 ed il 20 giugno 2018 ricordando che già nei primi giorni di
quel mese, in alcuni articoli di giornale, era comparsa l’indiscrezione
di una sua possibile nomina a capo del Dap.
A colloquio con Bonafede
“A
giugno del 2018 ricevetti una proposta per assumere la direzione del
Dap. Ricordo la telefonata, alle 13, del ministro Bonafede. Fino a quel
momento, lo avevo incontrato solo 2-3 volte in occasione di alcuni
dibattiti. In quel momento, il 18 giugno 2018, ero un magistrato della
procura nazionale Antimafia ed io quel giorno ero a Palermo. Bonafede mi
disse che aveva pensato a me o come capo del Dap e mi fece capire che
la nomina avrebbe prodotto effetti immediati o come direttore degli
Affari penali. Già al telefono, il ministro mi specificò che poiché il
ministro uscente (Andrea Orlando; Ndr) – cito le parole Bonafede – aveva
scorrettamente nominato, dopo l’esito delle elezioni, la dottoressa
Donati, questo secondo incarico mi sarebbe stato attribuito solo in un
secondo momento, a settembre-ottobre, se la dottoressa Donati avesse
rinunciato a questo incarico per un altro. Mi disse che per lui quella
nomina aveva un significato simbolico perché incarico ricoperto prima
dal dottor Giovanni Falcone. Mi propose,
sostanzialmente, o di fare il generale subito e certamente, oppure di
accettare un ruolo futuro di capitano se avesse convinto la Donati ad
abbandonare il ruolo che le era stato attribuito”.“Quella telefonata secondo me è importante – ha aggiunto –
Io chiesi al ministro 48 ore di tempo per dare una risposta, il
ministro mi disse che voleva una risposta veloce perché voleva inoltrare
subito al Csm la richiesta di collocamento fuori ruolo, perché avrebbe
voluto sfruttare il plenum del mercoledì successivo. ’48 ore sono
troppe, mi dia una risposta prima’. Presi atto dell’urgenza e dissi che
lo avrei incontrato la mattina dopo, ma nel corso della telefonata
“accennai alle reazioni di alcuni detenuti delle sezioni del 41 bis
appena saputo dai giornali della possibilità di una mia nomina. Accennai
al ministro i contenuti di una nota del Gom in data 9 giugno e mi
sembrava corretto chiedere se ne fosse a conoscenza.
Lo feci
senza alcun timore di violare alcun segreto perché avevo avuto modo di
leggere quella nota che avevo visto essere indirizzata, oltre che a
tutta la scala gerarchica del Dap, e quindi al ministero, anche ad
alcune procure della Repubblica, come quella de L’Aquila e Roma. Il
ministro mi disse che aveva avuto una qualche contezza. Dalla risposta
telefonica del ministro non sono stato in grado di capire quanto fosse
informato dei contenuti di quella nota. Mi disse sì sì, sì, ma non
scendemmo nei particolari”.
Di Matteo ha ribadito più volte nel corso dell’audizione che “nel corso della telefonata il ministro Bonafede”, riferendosi alle alternative prospettate, “mi disse: scelga lei, ripetuto tre volte ed al termine della telefonata”.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede
Nessun dubbio sul Dap
“Io – ha continuato Di Matteo –
non ho avuto nessun dubbio. Già lo stesso pomeriggio ho riferito la
telefonata a familiari ed amici. Stavo lavorando con il giornalista Saverio Lodato
alla redazione di un libro pubblicato a settembre 2018 e gli dissi che
non potevo lavorare e che non avevo alcun dubbio per accettare il Dap.
Io sono venuto a Roma il giorno dopo, il 19 maggio, non per discutere
con il ministro e per vedere quale delle due opzioni fosse preferibile,
io ero sicuro. Sono andato dal ministro, visto che mi disse di
scegliere, nell’intenzione di comunicare la risposta di accettazione
dell’incarico di capo del Dap. Non avevo dubbi ad accettare
quell’incarico perché molte indagini giudiziarie mi avevano fatto sempre
più comprendere quanto, soprattutto negli ultimi anni, una gestione
corretta ed efficiente del sistema penitenziario poteva contribuire agli
obiettivi della lotta alla mafia e al terrorismo. Volevo dare un
contributo nell’azione di contrasto complessivo alla mafia”.
Quindi ha proseguito la ricostruzione di quell’incontro avuto nell’ufficio del Guardasigilli in via Arenula:
“Alle 11 io e Bonafede ci incontrammo al ministero, ho un ricordo
nitido. Dopo i convenevoli di rito gli dissi che accettavo l’incarico al
Dap, meno di 24 ore dopo la sua richiesta al telefono. Ma il ministro
cominciò a dire che l’incarico al Dap non era confacente alle mie
attitudini, che in fondo ci si occupava di rapporti con i sindacati e di
appalti. Mi permisi di dire che da molte indagini si capiva come i
mafiosi stragisti detenuti che potenzialmente potevano decidere di
collaborare, erano in realtà condizionati dalla controspinta di
aspettarsi un alleggerimento delle condizioni del 41 bis. Il Dap si
occuperà di appalti, ma nella mia prospettiva la direzione del Dap era
fondamentale per un contrasto a 360 gradi alla mafia. Lui mi disse che
non la vedeva questa possibilità e continuò a chiedermi di accettare gli
affari penali, ma prima doveva convincere Donati ad accettare altro
incarico. Mi ricordò che era l’incarico avuto da Falcone. Io risposi al
ministro che l’assetto organizzativo dal ’91 al 2018 era cambiato.
Falcone aveva una interlocuzione diretta con Martelli mentre quello
attuale dipende dal Dag”.
“Ero rimasto stupito dal ridimensionamento che il ministro faceva del ruolo del Dap – ha proseguito –
ed anzi in quella occasione mi disse che aveva pensato al dottor
Basentini, dopo meno di 24 ore dall’avermi fatto la proposta. Quando
vado lì per portare la mia risposta positiva, nello stesso giorno il
ministro aveva fatto la richiesta al Csm per il collocamento fuori ruolo
del dottor Basentini”.
Poi ha anche ribadito di non aver mai chiesto “né
direttamente né indirettamente al ministro o altri esponenti politici
alcunché. Io sono stato cercato, non ho contattato nessuno, ed ho
ricevuto una precisa proposta. E’ chiaro che ci sono rimasto male, ma
non per me, ma per quell’improvviso dietrofront”.
Una volta uscito dal ministero, ha raccontato ancora Di Matteo,
“presi il telefono, richiamai il ministro e gli chiesi di potergli
parlare di nuovo il giorno dopo, lui mi disse di sì e quando andai, la
mattina del giorno successivo, gli dissi di non tenere assolutamente in
conto la mia disponibilità per gli Affari penali, che era inutile che mi
ricontattasse a settembre”. Bonafede, ha aggiunto il togato del Csm, “insistette
più volte, e al momento di congedarci mi disse ‘ci sto rimanendo male,
la prego di rifletterci, per quest’altro incarico non ci sono dinieghi o
mancati gradimenti che tengano’. Non chiesi – ha continuato Di Matteo –
chi o cosa avesse rappresentato il problema che lui mi prospettava di
diniego o mancato gradimento. Mai mi sarei sognato di chiedere al
ministro cosa fosse accaduto”. “Io – ha proseguito il consigliere togato –
ho ritenuto di dover raccontare la verità e non me ne sono pentito.
Perché a questo punto la vicenda non è più personale ma è diventata
istituzionale nel momento in cui il ministro Bonafede fa dietrofront in
22 ore facendomi intendere che per il ruolo di capo Dap aveva ricevuto
dei dinieghi. A chi si riferisse io non lo so, lo può dire solo
Bonafede”.
Di Matteo aveva già dato alcune spiegazioni in un’intervista al quotidiano La Repubblica. Una volta riferito i fatti Di Matteo ha anche precisato come “fare passare il tutto per percezioni non è corretto”.
L’ex capo del Dap, Francesco Basentini
Il perché della telefonata da Giletti
Il
consigliere togato del Csm ha spiegato i motivi che lo hanno portato a
parlare di questa vicenda a due anni di distanza spiegando di non averlo
fatto prima “per ragioni istituzionali”. “Nonostante avessi
giudicato gravemente incomprensibile la decisione, non volevo comunque
delegittimare il lavoro del ministro Bonafede e del Capo del Dap
Basentini” ha proseguito rispondendo ad alcune domande dei
parlamentari della Commissione sui motivi che lo portarono ad
intervenire alla trasmissione condotta da Massimo Giletti.
“Poi – ha spiegato –
sono accadute alcune cose che mi hanno indotto a parlare: le rivolte
dei detenuti, le scarcerazioni di detenuti per mafia, avevo letto sui
media della circolare del 21 marzo, le dimissioni di Basentini e il
fatto che iniziavano nuovamente a filtrare le voci di un incarico a me
come capo del Dap”.
Di Matteo ha ricordato anche gli articoli di giornali come “Il Riformista” che lo indicavano come possibile nuovo vertice del Dap immediatamente dopo la nomina a vice di Roberto Tartaglia,
collega con cui condusse le indagini ed il processo sulla trattativa
Stato-mafia. Poi vi fu anche la nomina di Dino Petralia al vertice del
Dap e a quel punto non vi erano davvero ulteriori motivi per non
intervenire su una vicenda che non era mai stata chiarita nonostante già
nel 2018 proprio sulla stampa era emerso il clamoroso “niet” di Di Matteo al Dap.
Le scarcerazioni
“Era
chiaro che ero preoccupato. C’erano state delle rivolte che,
dall’esterno, ho pensato che potessero essere organizzate a un livello
più alto di quelli che salgono sui tetti. Poi sono conseguite le
scarcerazioni”, tra cui alcune dal 41-bis. “In quel momento ero preoccupato e anche abbastanza arrabbiato – ha continuato Di Matteo –
Confesso che quello che stava accadendo con le scarcerazioni a me
faceva ricordare delle vicende processuali che a Palermo abbiamo vissuto
e approfondito. Mi preoccupava sostanzialmente il dato di una
sostanziale analogia tra quanto avvenne nel 1993, quando ci furono
stragi in contemporanea a Roma e Milano tanto da far ritenere al
presidente del Consiglio che era in corso un colpo di Stato. Sappiamo
che vennero fatte in funzione di un ricatto allo Stato per alleggerire
il 41-bis e far piegare le ginocchia alle istituzioni”. “Effettivamente
nel processo sulla trattativa Stato-Mafia – ha ricordato in Commissione antimafia – noi apprendemmo dai vertici dello Stato, e lo disse Giorgio Napolitano, che tutti i vertici dello Stato ritenevano che quelle bombe fossero un ‘aut aut’ per alleggerire il circuito penitenziario”.
Una
volta conclusa la propria ricostruzione di quei giorni è stata la volta
delle domande fatte dai vari membri della Commissione antimafia. E
proprio rispetto ad una domanda sulle scarcerazioni avvenute durante i
mesi di emergenza Covid-19 ha aggiunto: “Penso che scarcerare
250-260 mafiosi sia stato un segnale devastante dal punto di vista
simbolico e sia stato un segnale che dal punto di vista mafioso
purtroppo sarà stato visto di cedimento, un segnale per loro di
speranza. Per me il segnale è stato questo, perché non era mai accaduto
che siano stati ammessi agli arresti domiciliari. Non era mai accaduto,
neanche in situazioni di gravissima salute per Riina e Provenzano, che
siano stati ammessi i domiciliari per i boss. I mafiosi detenuti con
condanna all’ergastolo vivono di segnali e speranze che si legano anche
all’alleggerimento del sistema carcerario”.
A domanda rispondo
A
chi gli ha chiesto se quella mancata nomina al Dap rientrasse in una
nuova logica di trattativa Stato-mafia o se non fosse stato opportuno
denunciare già allora certi fatti ha risposto con chiarezza che “se
avessi avuto notizie di reato avrei avuto la sede per riferirle, ossia
le procure della Repubblica, se avessi avuto elementi per ritenere che
il ministro aveva cambiato idea perché indotto dai mafiosi lo avrei
detto. Non ho timore delle conseguenze dei miei atti. In quel momento,
l’idea che ho avuto è che il ministro non era in grado di valutare bene
certe dinamiche della lotta alla mafia, visto che a proposito del Dap
affermava che l’aspetto preponderante del Dap erano gli appalti ed i
rapporti con i sindacati”. E rispetto a quelle dichiarazioni dei boss che furono riportate dal Gom ha aggiunto: “Non
ne ho parlato al ministro per farmi bello, ma perché avevo dubbi che
non ne sapesse nulla, e lo volevo avvertire, per un senso di
collaborazione istituzionale. Io continuo a non sapere se l’avesse letta
in quel momento o meno. Quando parlammo non l’aveva nelle mani. Quella
nota era rivolta a uffici ministeriali, non al ministro o al capo di
gabinetto, quindi in quel momento ho pensato di essere leale con una
persona che mi aveva scelto come capo del Dap”.
A chi ha puntato
il dito contro la sua scelta di intervenire nella trasmissione di La7,
asserendo che così facendo si sia compromessa “la credibilità istituzionale“, il magistrato ha risposto con nettezza che questa “era già compromessa nel 2018, non ora che si cerca di fare chiarezza”.
E
proprio per fare chiarezza Di Matteo ha anche escluso che il ministro
Bonafede, nel fargli la proposta per un posto al Dag, possa avergli
parlato della possibilità di ristrutturare e rimodellare l’ufficio.
La nota del Gom
Nel
corso dell’audizione il magistrato ha spiegato anche i contenuti della
nota del Gom (reparto di polizia penitenziaria), datato 5 giugno,
laddove sono riportate delle reazioni anche di alcuni mafiosi detenuti
al 41 bis: “Per quello che mi riguardava direttamente, alcuni esponenti di Cosa nostra, come Cesare Lupo e Alessandro Lo Piccolo ed altri. Si trattava di sostanziali proteste ad alta voce contro quelle ipotesi (la nomina di Di Matteo al Dap, ndr).
Uno diceva che se viene Di Matteo siamo tutti consumati, l’altro che
dobbiamo fare “l’ammuina” e cioè organizzare delle proteste e altri
ancora dicevano che qui ci vogliono chiudere per sempre, perché vogliono
riaprire Pianosa e Asinara. La cosa che mi colpì, non erano tante le
esternazioni, ma che a quella nota era allegata un’altra nota
proveniente dalla casa circondariale de L’Aquila nella quale
sostanzialmente veniva riportato un episodio che un detenuto, da un
piano all’altro del carcere, aveva ordinato a tutti gli altri del 41bis
che per protesta dovevano mettersi a rapporto con il magistrato di
sorveglianza”. Di Matteo ha anche parlato di un’altra nota, del giorno successivo, in cui si dava conto di come “51
detenuti al 41bis di quel carcere si erano effettivamente messi a
rapporto con il magistrato di sorveglianza. Quindi sostanzialmente, a me
è rimasta la curiosità su cosa avessero scritto in quelle istanze e
sentiti dal magistrato di sorveglianza e cosa dissero, ma queste non
furono delle reazioni estemporanee, ma fu la contestualità di 51
detenuti che chiedono di parlare con il magistrato di sorveglianza per
protestare”.
Allontanamento pool stragi
Tra
gli argomenti toccati nel corso dell’audizione anche la vicenda
dell’allontanamento dal pool della Procura nazionale antimafia che
indaga sulle “stragi ed i mandanti esterni”. Una questione che è ancora
oggetto di valutazione al Consiglio superiore della magistratura e che
nelle scorse settimane è tornata di attualità in quanto rievocata nel
corso della trasmissione di Non è L’Arena, con la telefonata del Procuratore nazionale Cafiero de Raho.
“Se avessi raccontato qualcosa di segreto rispetto alle riunioni, penso
che sarebbe stato obbligo denunciarmi all’autorità giudiziaria” ha detto Di Matteo rispondendo a chi gli chiedeva il perché era stata estromesso. Poi ha aggiunto: “L’intervista
era stata resa prima della riunione e mandata in onda dopo. Per cui non
potevo parlare di una riunione che ancora non c’era stata. De Raho ha
dato una sua versione in Tv, io ho difficoltà a rispondere per non
violare il segreto. Quando ho letto il provvedimento di immediata
estromissione ho fatto delle osservazioni al Csm per contestare nel
merito e nella legittimità e il Csm ha avviato una pratica attualmente
pendente ed è secretata. Non posso dire altro”.
E su quanto detto in merito alla figura di Luca Palamara, ha sottolineato:
“In un’intercettazione ambientale una decina di giorni prima rispetto
al provvedimento di esclusione dal pool, parlando con un altro
magistrato della direzione nazionale antimafia, il dottor Cesare Sirignano,
si era lamentato del fatto che il dottor Cafiero mi avesse inserito nel
pool stragi”. “Nel momento in cui viene pubblicata per la prima volta
dal sito La Repubblica la notizia dell’espulsione – ha ricordato – il dottor Palamara manda a Sirignano un messaggio ‘grande Federico (de Raho, ndr). E il dottor Sirignano risponde ‘noi siamo seri’. Perché non lo so”.
Palamara e la trattativaRicordando la serie di “attacchi virulenti”
ricevuti durante il processo Stato-mafia, il magistrato palermitano ha
riferito un episodio molto particolare che riguardava, ancora una volta,
Palamara: “Se non ricordo male, a un certo punto, nel momento più aspro della polemica dovuta al conflitto di attribuzione Antonio Ingroia,
che all’epoca era ancora alla Procura di Palermo e conduceva le
indagini con noi, disse, a me e all’allora procuratore Messineo, una
cosa buttata lì, anche perché noi l’abbiamo subito stoppato. Io
all’inizio pensavo che scherzasse, disse che a Roma aveva incontrato un
noto giornalista, il direttore di un noto quotidiano, che gli aveva
detto che dal Quirinale volevano sapere se c’era la possibilità di un
qualche contatto con la Procura di Palermo, per risolvere questa
situazione, e in quel caso il punto di collegamento poteva essere
sperimentato dal dottor Palamara”. “Io pensavo che Antonio scherzasse – ha aggiunto
– sia io sia Messineo, e Ingroia era d’accordo, ‘stiamo scherzando,
questi vogliono fare una trattativa sulla trattativa’, questa fu una
battuta. Fu una cosa estemporanea. Ricordo che fece il nome come
possibile mediatore di Palamara. In quel momento – ha spiegato Di Matteo
– non capivo cosa potesse entrarci con le vicende del procedimento
sulla trattativa Stato-mafia e con le rimostranze del Quirinale. Questo è
un dato di fatto. Non sono mai più tornato con Ingroia su questa cosa
ma ricordo questo riferimento estemporaneo, credo che il direttore a cui
aveva fatto riferimento Ingroia fosse l’allora direttore di Repubblica Ezio Mauro,
Ingroia potrebbe essere più preciso. Io ricordo che eravamo nella
stanza del procuratore, Ingroia tornava da Roma e fece questo
riferimento che noi bloccammo subito anche Ingroia era convinto che
andasse bloccato subito, la pensava esattamente come me”. Tra gli
interventi c’è stato anche quello del presidente Nicola Morra. Quest‘ultimo ha ricordato una frase espressa da Matteo Renzi che, in occasione del dibattito sulle mozioni sfiducia al ministro Alfonso Bonafede
in Senato, dopo che era stato richiamato in Aula il nome dello stesso
Di Matteo, aveva rivolto un “pensiero affettuoso” al presidente emerito
della Repubblica Giorgio Napolitano. Il consigliere del Csm ha semplicemente risposto che, pur avendo notato quel riferimento, non può sapere
“perché in quel momento il senatore Renzi abbia sentito la necessità o
l’opportunità di ringraziare il presidente Napolitano, non lo dovete
chiedere a me”.
L’ex consigliere togato del Csm, Luca Palamara
La circolare del 21 marzo
Tra
le domande rivolte al consigliere togato anche una sulle valutazioni
rispetto alla ormai famosa circolare del 21 marzo, oggetto di
approfondimento di numerose audizioni della Commissione antimafia stessa, sospesa due giorni fa dai nuovi vertici del Dap.
“Appena vidi la circolare saltai in aria e pensai ad un gravissimo
errore. C’era già stato il Cura Italia, che prevedeva l’ammissione alla
detenzione domiciliare per coloro che avevano un residuo di pena di un
anno e sei mesi che rispondeva all’esigenza di sfoltire le carceri.
C’erano già state le rivolte. E nel documento non c’era distinzione tra
condannati per reati gravi e meno gravi. Si mettevano sullo stesso piano
il ladro di polli ed il condannato per stragi”. “In particolare mi
colpiva il riferimento a considerare in particolare situazione di
rischio contagio tutti gli ultra settantenni. Molti capi di Cosa nostra
siciliana hanno oltre settant’anni. Ed ho anche il ricordo che tra i
punti del papello di Riina, di cui ci parlano i pentiti ed anche scritto
nel documento di Ciancimino, non asseverato come certamente veritiero
ma neanche smentito, si parlava di affievolire il 41 bis, abolire
l’ergastolo e di non dare il carcere a chi aveva oltre 70 anni. Questo
ho pensato”. Alla domanda su cosa avrebbe fatto se fosse stato capo del Dap Di Matteo ha risposto che “non
solo non avrei mai fatto quella circolare, ma comunque avrei avvisato
il ministro e il giorno dopo l’avrei revocata. Perché il diritto alla
salute deve essere garantito a tutti. Ma se c’è un’esigenza di
deflazionare il numero dei detenuti si comincia dai poveracci che ci
sono nelle carceri”.
Di Maio e la proposta per essere ministro dell’Interno
Altra rivelazione del magistrato è quella rispetto un incontro con Luigi Di Maio nel settembre 2017, a Palermo, e pochi mesi prima delle elezioni del 2018, a Roma: “Io
sono stato cercato da Luigi Di Maio che mi propose di fare il ministro
dell’Interno. In realtà la prima volta Di Maio mi parlò o del ministero
della Giustizia o di quello dell’Interno. La seconda fu più preciso, e
mi propose, sempre nell’eventualità che fossero andati al Governo da
soli o con alleati che non avessero avuto nulla da dire su questo, il
ministero dell’Interno. Io all’epoca avevo completato la requisitoria
del processo trattativa, ma ancora non c’era stata sentenza. Di Maio mi
disse: ‘Non lo annunciamo prima, la metteremmo come magistrato nel mare
magnum delle polemiche'”. Dopo quelle interlocuzioni, ha continuato Di Matteo
“nessuno mi ha più chiamato né io ho chiesto nulla, non ho mai cercato
nessuno. Ho espresso le mie opinioni e i miei convincimenti in tema di
giustizia in occasioni pubbliche. E in queste occasioni non ho chiesto
‘perché non mi avete cercato più?’. Io leggevo i giornali e vedevo che
si stava facendo il governo, ma quando vengo chiamato da Bonafede per
fare il capo del Dap immagino che lui sappia che mi era stata proposta
una cosa da far accapponare la pelle, il ministero dell’Interno. Quando
mi si dice del mancato gradimento e del diniego non posso pensare ad un
equivoco. Perché non sono quello che va a cercare il posticino o che
viene chiamato per la prima volta. Chi mi chiama per fare il capo del Dap devo presumere conosca che c’è un pregresso, ma non so se avessero parlato tra di loro”, Bonafede e Di Maio, di quell’offerta per il Viminale.
Il ministro degli esteri ed ex capo politico del M5s, Luigi Di Maio
Le domande per Bonafede
Proseguendo
nell’audizione Di Matteo, rispetto alla vicenda specifica della mancata
nomina al Dap ha fatto alcune considerazioni: “Nel momento in cui
mi venne fatta la proposta non era un periodo di normale attività di un
magistrato antimafia. Nell’ambito dell’inchiesta sul processo
Stato-mafia era accaduto di tutto. Non fu un’indagine facile, né il
processo fu facile. Avevamo come imputati ufficiali dell’arma, ex
direttori dei Servizi, non c’erano solo Riina e Bagarella. Nel processo è
emerso che un Capo dello Stato come Oscar Luigi Scalfaro
aveva mentito e fu possibile dirlo sulla base di documenti messi a
disposizione dallo stesso Quirinale nel periodo della presidenza
Mattarella. Ci imbattemmo anche nelle telefonate tra Mancino ed il
Presidente della Repubblica allora in carica, Giorgio Napolitano e vi fu una reazione particolare”.
Di Matteo ha così ricordato il conflitto di attribuzione sollevato dal
Capo dello Stato nei confronti della Procura della Repubblica di
Palermo, ed anche il procedimento disciplinare che fu aperto nei suoi
confronti nonostante avesse immediatamente dichiarato che le
intercettazioni (poi distrutte su disposizione della Consulta) non erano
penalmente rilevanti. Quindi ha ricordato gli attacchi della carta
stampata, quando morì il consigliere giuridico del Quirinale Loris D’Ambrosio, che fu interrogato dai pm dopo le intercettazioni con Mancino, così come “le parole dei mafiosi e la condanna a morte di Riina”.
“Anche per questo rimasi sorpreso del repentino dietrofront di Bonafede. Lui sapeva chi aveva chiamato per l’incarico. – ha proseguito Di Matteo – Bonafede sapeva che stava chiamando non un magistrato gradito a tutti, ma un magistrato che molti non gradivano”.
E sempre rimanendo sul punto ha ancora una volta ribadito che per questo motivo “l’equivoco
non esiste e non c’è nemmeno da fare una pace. Perché non c’è stata una
guerra. Questa non è una tematica di invidiuzze e posti che si
reclamano. Io non avevo bisogno, e non ho mai avuto bisogno di andare al
ministero o di stare a rivolgermi a correnti e correntine”.
Alla
luce di tutto questo Di Matteo, rivolgendosi idealmente al ministro
della Giustizia, ha posto alcuni quesiti non solo legittimi ed
opportuni, ma determinanti: “Quello che io mi chiedo è: perché mi
hai chiamato? Perché mi hai esposto ancora rispetto ai mafiosi che non
mi volevano? Perché mi hai fatto fare la figura di quello che viene
chiamato e poi, come si dice in gergo mafioso, viene ‘posato’? Io ero
alla procura Antimafia, ora sono al Csm. Io non avevo bisogno e non ho
bisogno di andare al ministero. Io non ho chiesto niente a nessuno, non
ho capito il motivo del dietro-front”. Di fatto, dunque, il
magistrato Di Matteo, così come ha ripetuto più volte nel corso
dell’audizione, per tutti gli incarichi (ministro della Giustizia,
ministro degli Interni e Capo del Dap) non ha mai cercato nessuno, ma ha
ricevuto proposte e voltafaccia per bocca del Capo politico del
Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio e, successivamente, dal Guardasigilli Alfonso Bonafede.
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Foto © Imagoeconomica
fonte: antimafiaduemila.com