I falsi epiteti del direttore del Riformista, Piero Sansonetti
Il neo vice capo del Dap, Tartaglia, nel mirino prima ancora di iniziare
di Giorgio Bongiovanni
Neanche
il tempo di iniziare il proprio lavoro come vice-capo del Dap (oggi il
plenum del Csm ha autorizzato la conferma di collocamento fuori ruolo)
che il pm Roberto Tartaglia finisce nel mirino dei
soliti “giornaloni” e commentatori “antiprocesso trattativa
Stato-mafia”. A rendersi protagonista è il solito Riformista, diretto da Piero Sansonetti (in foto).
“Un piccolo Di Matteo a capo delle carceri. Santocielo!” titola in prima pagina. E poi all’interno: “Un Travaglista vero, antimafioso di professione”.
Certo,
non c’era bisogno di leggere il quotidiano di oggi per sapere come
Sansonetti la pensasse su certi temi. E’ uno di quelli che sostenne
apertamente che “la trattativa Stato-mafia fu sacrosanta” perché “salvò
vite umane” nonostante sia un dato di fatto che dopo quel dialogo,
avviato tra i carabinieri del Ros ed il sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, non furono salvate vite, anzi, morirono vittime innocenti con gli attentati di via d’Amelio, Firenze, Milano e in Calabria.
Bombe
che, piaccia o non piaccia, in qualche maniera furono percepite come
una minaccia dagli alti vertici delle nostre istituzioni. Basti
ricordare la testimonianza dell’ex Capo della Stato, Giorgio
Napolitano, di cui più volte ha parlato anche il nostro editorialista e
scrittore Saverio Lodato, che, ascoltato in un’udienza straordinaria al Quirinale, il 28 ottobre 2014, disse in maniera chiara che le bombe del ’92 e ’93 furono un “aut-aut” allo Stato, un “ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema”.
Certi
argomenti, oggi, tornano prepotentemente alla ribalta nel momento in
cui vi sono magistrati che lanciano un grido d’allarme sulle
scarcerazioni di una serie di boss mafiosi detenuti in Alta Sicurezza o
al 41 bis.
Ed ecco che la solita stampa torna alla carica, a priori,
andando oltre il diritto di critica che può essere anche aspro
nell’esprimere la libertà di pensiero, ma senza sfociare in uno
spudorato attacco alla persona.
Ogni volta che accade si prova una
sensazione di costernazione. Molte volte il nostro giornale si è trovato
a difendere nel merito dei fatti i magistrati dagli attacchi che
arrivano dagli ambienti più disparati (della politica, da altri pezzi
delle istituzioni, da funzionari di Stato, avvocati o intellettuali), ma
restiamo in qualche maniera feriti ogni volta che queste invettive
provengono da una stampa che, certamente, può esprimere citriche ed
opinioni in maniera costruttiva, ma senza travalicare i fatti che, è
noto, restano fatti e non possono essere cancellati.
Cosa c’entrano gli attacchi personali e gratuiti?
E’ quello che è accaduto oggi con Roberto Tartaglia
la cui figura è stata denigrata già per l’aver fatto parte del pool di
magistrati che ha avuto l’ardire di mettere sotto processo, oltre ai
boss, anche ufficiali dell’arma ed ex senatori, ottenendo delle condanne
pesantissime in primo grado. Come se cercare di far luce su certi fatti
sia qualcosa di aberrante.
Ma si sa che quel pezzo di storia, tanto scomodo da ricordare e su cui ancora non si ha una verità piena, è indigesto.
Nel
suo doppio articolo, Sansonetti scrive una lunga serie di spudorati
attacchi, inesattezze e falsità che dimostrano quantomeno una certa
ignoranza (nel senso che si ignora) nell’esposizione dei fatti che sono
fin qui emersi da sentenze e processi. Dalle stragi, alla trattativa
Stato-mafia, fino ad arrivare alla carriera del generale Mario Mori,
dipinto come il “solito” eroe di Stato nonostante le stesse sentenze di
assoluzione rimarchino delle gravi responsabilità su certe azioni che
si sono consumate, sia rispetto alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina, che per il mancato blitz a Mezzojuso, dove si nascondeva Bernardo Provenzano, nel 1995. Una litania ripetuta allo sfinimento. Di fronte ad un giornalista di lunga data come il direttore de Il Riformista,
vogliamo pensare che sia davvero per un’arrogante supponenza rispetto
ad una non conoscenza dei fatti. Anche se vi è più di un sospetto che
possa esservi pura e semplice malafede.
E non è solo questione di
dialettica. Perché si è sibillini nel momento in cui si usa
l’espressione “professionista dell’antimafia” e si cita Sciascia,
si cerca di far tornare alla mente vecchie considerazioni, anche se,
vale la pena di ricordarlo, quella locuzione non fu mai usata da
Sciascia.
Eppure, ogni volta che il bersaglio ha il volto di un
magistrato, di un investigatore, o di un collaboratore di giustizia,
ecco che si torna a parlare di professionismo dell’antimafia.
Ma c’è
dell’altro. Perché Sansonetti rimescola il falso per attaccare, come
fosse un mantra, il pm Di Matteo e su Tartaglia propone una biografia
pubblicata dall’Ansa, dando libero sfogo ad una lunga serie di
cattiverie gratuite. Scrive Sansonetti: “C’è scritto che ha indagato sui
corleonesi di Totò Riina e ha svolto indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro. Vabbè: Riina è stato catturato (dal generale Mori,
cioè quello che Tartaglia ha contribuito a mettere sotto processo) nel
gennaio 1993: Tartaglia aveva 10 anni. Quinta elementare. E Messina
Denaro, se non siamo male informati, è ancora libero. Ecco: le carceri
ora sono in mano a questo qua. Al ‘piccolo Di Matteo'”.
Se gli
sproloqui si commentano da soli può essere utile andare a vedere cosa
c’è scritto nell’agenzia incriminata. E viene difficile comprendere
quale sia lo scandalo. Si dà atto, infatti, dell’impegno di Tartaglia
nell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia ma anche delle
decine di inchieste condotte sui clan, come quella ‘Apocalisse’, che ha
portato all’arresto di oltre 100 boss mafiosi e che, si legge
nell’agenzia, “ha fatto luce sugli assetti delle più potenti ‘famiglie’
palermitane, tra cui quella dei corleonesi di Totò Riina, si è occupato di diversi filoni investigativi sulle ricerche del boss latitante Matteo Messina Denaro”.
Ma
Tartaglia, nel corso dei suoi anni palermitani si è occupato anche di
misure di prevenzione antimafia, ed ha gestito diversi detenuti al 41
bis – Riina, Bernardo Provenzano e Salvatore Madonia per citarne alcuni – e collaboratori di giustizia importanti come Giovanni Brusca e Gaspare Spatuzza. Anche per questo motivo non può lasciare stupiti la nomina a numero due del Dap accolta oggi dal Csm.
Ma
per i Sansonetti di turno il vero problema, forse, è un altro. Che
Tartaglia, assieme ai suoi colleghi, è stato tra quei magistrati che ha
investigato cercando di far luce su quelle trame oscure tra eversione
nera, Servizi deviati e criminalità organizzata. Tutte cose che, è
emerso nel corso dei processi, il “buon” generale Mario Mori conosce. Ma di queste cose i lettori de Il Riformista non sentiranno mai parlare.
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fonte: antimafiaduemila.com