La Mafia in Germania: il pm Lombardo spiega il livello alto della ‘Ndrangheta in Europa
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Da quando il quotidiano tedesco “Die Welt” ha sollevato il dibattito sui coronabond e gli aiuti da non dare all’Italia per la presenza della mafia nel Belpaese, una lunga serie di addetti ai lavori (magistrati, giornalisti, politici) sono intervenuti per ricordare ai tedeschi che quello della criminalità organizzata non è un fenomeno “squisitamente” italiano e che proprio in Germania, come emerso da decine e decine di inchieste, nel corso degli anni si è sempre più sviluppato.
Dati di fatto che si preferisce non ricordare, nonostante vi siano state violentissime stragi, come quella di Duisburg del 15 agosto 2007, che hanno sicuramente acceso un faro sugli interessi che le mafie hanno in quei territori.
Per fortuna c’è anche una parte di Germania che vuole conoscere e cerca di portare alla luce certi temi. Proprio la strage di Duisburg ha portato alla nascita di un’associazione come “Mafia? Nein Danke!”, in prima linea nella difesa della legalità e partner di organizzazioni internazionali come Libera, che ogni anno fa un lavoro di sensibilizzazione della società civile tedesca e dell’ambiente della politica attraverso eventi culturali, dibattiti pubblici, contatti e scambio di informazioni con i giornalisti. “E’ molto difficile parlare di queste cose – ci ha raccontato Sandro Mattioli, giornalista freelance attivo all’interno del progetto ed esperto di questi temi – Assieme a Margherita Bettoni cerchiamo di mettere in fila i pezzi e puntare il dito su questo fenomeno che viene colpevolmente taciuto“.
Per spezzare questo silenzio, e commemorare la strage di Duisburg, nel luglio del 2017, si è tenuta a Berlino una conferenza dedicata al tema “Libertà e sicurezza. Come affrontare la criminalità organizzata in Europa?”, presso l’ambasciata d’Italia. Ospiti dell’ambasciatore Pietro Benassi, vi erano, tra gli altri, l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, l’omologo tedesco Thomas de Maiziere, il procuratore nazionale Antimafia del tempo, Franco Roberti, il vicepresidente del Bundeskriminalamt Peter Henzler, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo e la presidentessa Uip Italia Laura Garavini.
Proprio Lombardo, in questi anni, con le sue inchieste ha offerto un
importante contributo nel disvelamento dell’evoluzione del fenomeno
‘Ndrangheta che, come Cosa nostra e Camorra, è sempre più divenuto “fenomeno criminale transnazionale“, che vede protagonisti “soggetti
non immediatamente identificabili che operano, in modo infedele e su
scala mondiale, nei principali ambiti strategici: politico,
istituzionale, professionale, informativo, finanziario, imprenditoriale,
sanitario, bancario ed economico“.
Una relazione, la sua,
molto dettagliata di cui vi proponiamo alcuni passaggi, in cui si
evidenzia in maniera chiara come, già allora, vi fossero tutti gli
strumenti per comprendere la reale dimensione del fenomeno, a cui la
Germania e gli altri paesi europei non possono considerarsi estranei.
Ma, come dice il detto, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e
cieco di chi non vuol vedere.
Conoscenza come strumento di lotta
“(…) Noi magistrati, in Italia, viviamo sulla nostra pelle quello che sono le mafie, quelle che sono le difficoltà operative nel momento in cui sono diventate un fenomeno transnazionale e, soprattutto, viviamo una difficoltà che ogni giorno, purtroppo, rallenta l’azione di contrasto, ovvero l’enorme fatica collegata all’interlocuzione con chi quei fenomeni li ha conosciuti forse troppo tardi.
Il problema vero ruota attorno alla conoscenza del fenomeno, il concetto di criminalità organizzata: dovremmo parlare di un linguaggio comune, soprattutto a livello europeo, ma così non è.
Il fenomeno criminale di tipo mafioso nel sistema italiano è estremamente evoluto e complicato da spiegare, è un sistema che, purtroppo, ha affinato le sue strategie attraverso passaggi difficili e significativi legati a stragi, omicidi, attacchi di tipo militare che lo Stato italiano ha subito per molto tempo. Oggi le mafie perseguono l’obiettivo di annientare la tensione morale che rende vincente la strategia di contrasto. La tensione morale è fondamentale nell’azione che ognuno di noi è tenuto a compiere, ogni giorno, con costanza. Con la consapevolezza diffusa che le mafie non sono uno dei tanti problemi italiani: sono invece il Problema“.
L’internazionalizzazione della ‘Ndrangheta
Questa, nel 2017, era la mappa dell’insediamento mafioso in Europa, mostrata durante il convegno. Già da essa si evince chiaramente lo sviluppo tentacolare della criminalità organizzata calabrese nel continente e nel resto del mondo.
“(…) I Paesi che voi vedete in grigio non sono immuni dalla presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso”. Il Procuratore aggiunto evidenziava, quindi, come vi siano stati episodi, come la strage di Duisburg, “dove le mafie in realtà non hanno mostrato la propria forza, ma la loro debolezza”.
Per
poter comprendere la ‘Ndrangheta di oggi e capire come sia arrivata ad
essere leader nel traffico internazionale di stupefacenti e
interlocutrice necessaria per una serie di ambiti operativi, non solo
criminali, è necessario fare anche un passo indietro e ripercorrere la
storia dalle sue origini.
“Dopo la strage di Duisburg ci siamo interrogati – spiegava il magistrato –.
Non ci siamo sorpresi per il fatto che avessero consumato delitti
gravissimi apparentemente legati ad una banalissima ‘lite di carnevale’.
Ci siamo interrogati sul metodo investigativo che avevamo utilizzato
sino a quel momento, che forse non ci aveva consentito di acquisire
tutte le informazioni di cui avevamo bisogno. Avevamo tutta una serie di
elementi di conoscenza che provenivano dall’imponente mole delle
attività di indagine svolte in quegli anni. Ma non avevamo colto a fondo
alcune sfumature, che dovevano, invece, emergere con forza da quelle
immagini cruente.
Ci siamo resi conto, in altri termini dopo
la strage di Duisburg, che l’attività investigativa non aveva ancora
fornito tutte le risposte alle domande che bisogna porre a se stessi
quando si avvia un’indagine finalizzata al contrasto del crimine
organizzato di tipo mafioso.
Era arrivato il momento di
recuperare fino in fondo una caratteristica fondamentale del modo di
essere della magistratura italiana: la capacità di studiare un fenomeno
non soltanto sulla base delle verità giudiziarie ma anche sulla base di
un insieme di conoscenze ulteriori, non ancora sottoposte al vaglio
processuale. Oggi ho ascoltato con piacere il professore che mi ha
preceduto di tutta una serie di aspetti sociologici che reputo
importanti anche per noi. Come ovviamente è importante il dato
giudiziario per chi approfondisce il fenomeno in ambito universitario.
È
arrivato il momento di comprendere fino in fondo, nell’era delle nuove
tecnologie, che va svolta con attenzione una fase decisiva della ricerca
della verità giudiziaria, che è la fase della cosiddetta
pre-investigazione.
Cosa significa? Prima di avviare l’attività di investigazione – per esempio connessa alla strage di Duisburg o relativa a quella faida di San Luca di cui parlava il ministro Minniti
– è fondamentale studiare a fondo non solo uno-due-tre-x soggetti
appartenenti alla ‘Ndrangheta, ma gli interi ceppi familiari, è
fondamentale capire se, ad esempio, in quella faida apparentemente come
tante altre si innestavano antiche ruggini, si innestavano interessi di
altra natura, si innestavano, magari, mancati accordi spartitori.
Perché una cosa è il movente prossimo. Altra cosa è il movente remoto.
Facendo
questo è possibile comprendere se abbiamo perso qualcosa per strada,
magari facendo uso di automatismi investigativi non più attuali. Curare
fino in fondo la fase pre-investigativa consente di non disperdere
fondamentali fonti di conoscenza ed individuare con precisione il tema
dell’investigazione.
Ecco che, applicato questo metodo di
lavoro, per comprendere quello che stava succedendo nel 2007, per capire
come si era trasformato il fenomeno mafioso da tipicamente locale a
fenomeno nazionale, e poi a fenomeno internazionale, transnazionale,
intercontinentale, era necessario effettuare una ricostruzione a ritroso
che consentisse di recuperare tutta una serie di parti conoscitive di
grande rilievo.
Per fortuna eravamo in possesso di
tantissimo materiale e siamo riusciti a ricostruire tutto, praticamente a
partire dalla fine degli anni ‘60“.
Prima e dopo Duisburg
“(…) Fino alla strage di Duisburg ed anche oltre
ci hanno raccontato che la struttura della ‘Ndrangheta fosse
orizzontale. Cioè fosse un insieme di famiglie, più o meno importanti,
aventi determinate caratteristiche, con un forte radicamento
territoriale, una fortissima componente familiare e familistica.
Questa impostazione comportava una investigazione che riguardava un fenomeno criminale diverso da quello che era”.
Quella
struttura, spiegava Lombardo, si era rappresentata fino al summit di
Montalto, del 1969. Successivamente vi erano stati i “moti di Reggio” ed
i programmi di golpe, in cui la ‘Ndrangheta aveva avuto un ruolo. Da
quegli eventi, tra il luglio ’70 e il gennaio-febbraio ’71, nasce la
cosiddetta ”’Ndranghera evoluta”.
“(…) Qualcuno la
chiama ‘Ndrangheta imprenditoriale, per distinguerla dalla ‘Ndrangheta
arcaica, che erroneamente si pensava non fosse legata a logiche di
impresa, e invece lo era già.
Questa è la seconda fase che
vive la organizzazione criminale di origine calabrese, che si apre con
la cosiddetta prima guerra di mafia che viene combattuta nella città di
Reggio Calabria tra il 1974 e il 1977. È la guerra che, sostanzialmente,
segna l’ulteriore e più rilevante salto in avanti dell’organizzazione
mafiosa. Si tratta di uno stadio evolutivo imprescindibile per
comprendere tutto il resto. Siamo in presenza, ancora, di una struttura
criminale tendenzialmente orizzontale. Le grandi famiglie, in altri
termini, controllano il loro territorio. Non tutte hanno lo stesso peso,
tanto è vero che quelle più importanti hanno già proiezioni in altri
territori rispetto a quelli di origine. Sono questi gli anni in cui, ad
esempio, il Piemonte e la Lombardia diventano terra di conquista”.
L’ulteriore evoluzione si registra con la seconda guerra di mafia, quando si passa “dalla struttura orizzontale, in cui i grandi capi dialogano quasi alla pari, ad una struttura di tipo tendenzialmente verticale, che non è necessariamente sinonimo di organizzazione di tipo verticistico. Ci sono alcune famiglie che hanno un peso criminale enormemente superiore a tutte le altre. Sono quelle di più alto rango le famiglie che decidono le strategie: non per questo possono banalmente essere considerate il vertice della ‘Ndrangheta. Cioè la struttura criminale non dipende solo da loro, anche se è fortemente influenzata da esse”.
Struttura verticale e verticistica
“Questo tipo di struttura è stata ricostruita in circa 8 anni di
lavoro dalla procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria,
attraverso una serie di indagini che sono sfociate in processi,
conclusisi con sentenze passate in giudicato. La struttura verticale di
tipo verticistico potrebbe far pensare che oggi la ‘Ndrangheta ha una
cellula di comando, un capo, che ne determina l’esistenza, l’operatività
degli obiettivi. Non è banalmente così. La ‘Ndrangheta è dotata di una
filiera di comando molto sofisticata.
Sulla base di quel
lavoro di raccordo, recupero e rilettura unitaria di cui parlavamo prima
si è scoperto che le numerosissime intercettazioni telefoniche e
ambientali in cui si parlava di livello provinciale facevano riferimento
a qualcosa che aveva un significato più ampio di quello che, prima
facie, era sembrato ovvio.
E si è soprattutto scoperto,
operando anche in questo caso una lettura a ritroso, che i riferimenti
alla cosiddetta Provincia, erano riferimenti che già emergevano nel
corso delle indagini relative al summit di Montalto dell’ottobre 1969”.
Lombardo evidenziava come molte risposte siano venute nel momento in cui la Regione Calabria è stata interessata, tra il 2007 e il 2008, dai lavori relativi a tre grandi opere pubbliche di importanza strategica: il ponte sullo stretto di Messina, l’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, la dorsale Ionica, Reggio Calabria-Taranto.
La Provincia: la ‘Ndrangheta come “brand”
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, proseguendo nel suo intervento, spiegava come la Provincia non sia chiamata a svolgere compiti di comando: “(…) Chi compone la Provincia ha compiti di gestione centralizzata dell’organizzazione, di garanzia della sua unitarietà e di tutela delle sue regole fondamentali. Cioè la ‘Ndrangheta esiste, ed ha determinate caratteristiche, non perché i suoi appartenenti rispettano determinate regole, ma perché quei soggetti si riconoscono in un sistema mafioso, in cui il termine ‘Ndrangheta diviene un brand criminale conosciuto nel mondo, in cui non sei libero di fare quello che vuoi: se non ti comporti da ‘ndranghetista c’è qualcuno che ti richiama all’ordine”. Tutto passa dal ruolo centrale riconosciuto alla provincia di Reggio Calabria, unica nel mondo ad essere abilitata ad autorizzare l’uso del “marchio criminale”. Scoperto l’attuale ruolo della Provincia, e definita correttamente la sua alta funzione, è stato agevole comprendere che oltre a quella struttura collegiale di vertice esistevano anche delle strutture di coordinamento intermedio, a cui era riservato un taglio più pratico ed operativo”.
I Mandamenti
Quali sono, dunque gli organismi decisionali? Per rispondere a questa domanda dobbiamo spostarci al livello mandamentale.
“(…)
I mandamenti principali, quelli storici, da cui dipendono anche le
articolazioni estere, sono tre: Ionico, quello di San Luca, la “mamma”;
Tirrenico, quello di Palmi, Gioia Tauro e Rosarno; Centro, quello della
città di Reggio Calabria. Immaginate queste tre zone della Calabria: è
da qui che partono gli ordini che devono essere eseguiti dalle
articolazioni di ‘Ndrangheta nel mondo. Quindi, per quelle che sono le
attuali conoscenze, il livello mandamentale è quello propriamente
operativo“.
Il terzo livello
Chi decide le strategie? Le grandi operazioni imprenditoriali, immobiliari e finanziarie passano da un livello diverso. “Sempre per effetto di questa opera di revisione critica e di ricostruzione a ritroso – spiegava Lombardo nel 2017 – si scoprono anche altre tracce che portano all’operazione Mammasantisisma dell’estate 2016. Un’operazione che consente di ipotizzare l’esistenza del terzo livello. È la cosiddetta direzione strategica della ‘Ndrangheta, quella che ha il compito di effettuare la pianificazione di programmi articolati e duraturi. Non dimenticate che le strutture criminali di tipo mafioso sono, tendenzialmente, delle strutture ad alto tasso di segretazione. Questo ci serve per dire che la direzione strategica appare – sulla base delle conoscenze attuali che devono trovare ancora conferma processuale definitiva – ulteriormente segretata. Non è nota agli stessi appartenenti alla ‘Ndrangheta visibile (o militare/territoriale). In altre parole, non tutti sanno che esiste un cervello, una testa pensante dell’intera struttura criminale di tipo mafioso. Il soggetto di ‘Ndrangheta che non è abilitato a sapere – e sono pochissimi ad accedere a questa componente riservata – è portato a pensare che la decisione venga presa dall’organismo provinciale di cui vi parlato prima, che poi ne affida l’esecuzione alla direzione operativa. In realtà quegli organismi sono soltanto incaricati della fase esecutiva di una decisione che viene presa altrove. Ma tutto questo, ovviamente, a un uomo di ‘Ndrangheta di livello medio-basso non viene detto”.
La pericolosità della direzione strategica
Una direzione strategica tanto invisibile quanto pericolosa, non solo in Italia, ma anche in Europa. “Come mai – si domandava Lombardo nell’intervento – molti anni fa la ‘Ndrangheta ha pensato, per ipotesi, alla Germania, alla Francia o alla Gran Bretagna per effettuare determinati investimenti? Perché l’organizzazione criminale ha sempre avuto in sé la cosiddetta “componente dialogante”. Quella che non si presenta in modo tipicamente mafioso e che è tenuta, in una sorta di percorso di mimetizzazione molto evoluto, ad interloquire in tutti i settori strategici di rilevanza nazionale ed estera, con particolare predilezione per quelli a carattere politico, istituzionale, professionale, informativo, finanziario, imprenditoriale, sanitario, bancario ed economico, generato anche qui sulla base di verifiche sul campo. Avete già oggi la possibilità di verificare che quanto accertato da Reggio Calabria è già recepito nella relazione della Direzione Nazionale Antimafia (relazione dell’anno 2016, n.d.r.), in cui si parla dell’esistenza di una struttura riservata di comando, che in origine si chiamava Santa o Mammasantissima, presenti in tutti i settori, scrive la Dna, nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia“.
Sistema criminale allargato
Ma, come spiegato da Lombardo, il perimetro della ‘Ndrangheta non si conclude con quella struttura. Vi è un ulteriore stadio da investigare: “(…) La ‘Ndrangheta diventa, infine, parte di un sistema criminale allargato che abbraccia anche Cosa nostra, la Camorra e le altre strutture criminali che operano seguendo metodi, e per finalità, tipicamente mafiosi. Ecco la vera essenza della direzione strategica, che non è più esclusiva di una sola componente criminale ma che esiste in relazione a tutte le mafie storiche. Si instaura, per questa via, un legame alto in grado di trasformare la mafia italiana (in tutte le sue componenti principali prima dette) in una vera e propria agenzia di servizi criminali. Cioè non esiste più la ‘Ndrangheta come organizzazione criminale di origine calabrese, non esiste più Cosa nostra come organizzazione criminale tipicamente siciliana, non esiste più la Camorra come organizzazione campana. Il sistema criminale di tipo mafioso, nelle sue componenti riservate di vertice, diventa qualcosa di diverso, notevolmente più pericoloso ed infiltrato nel tessuto legale”. Il magistrato, dunque, faceva anche un esempio esplicativo del fenomeno: “(…) quando un capomafia calabrese ha necessità di investire in ambito finanziario in Germania, e deve interloquire con il banchiere, col finanziere, col broker o col commercialista si rivolge al sistema criminale unitario di cui fa parte, non si presenta più come uomo di ‘Ndrangheta”.
Strumenti contro una mafia che non spara più
E’ un dato di fatto che da diverso tempo le mafie hanno smesso di sparare. Lombardo, augurandosi che non vi sia più un’altra Duisburg, lanciava un monito: “Speriamo di non accorgerci, tra qualche anno, che interi sistemi di tipo finanziario, economico e imprenditoriale, sono controllati dal sistema criminale di cui vi ho appena parlato. È arrivato il momento di aprire gli occhi, di impedire che questo avvenga. Quando sarà troppo tardi avremo tutti poco da fare. La capacità di gestire gli enormi capitali, liquidi, che diventano ancora più appetibili in momenti di crisi – e non voglio assolutamente dire che le crisi sono generate dalle mafie, ma non mi stupirei neanche di questo – diventano un problema politico, perché le scelte politiche non sono libere nel momento in cui la grande economia subisce il condizionamento mafioso.
Per farvi comprendere quanto sia stretto il legame tra tali mondi, mi piace rileggere insieme a voi alcuni passi di una sentenza emessa dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria in data 26 febbraio 1953, in cui l’estensore scriveva: “Che il mondo della mafia tenda costantemente a fare binomio con il mondo della politica è una verità ormai notoria. Si tratta di un fenomeno inevitabile perché nasce dalla natura delle cose, e cioè dall’esigenza vitale della mafia di profittare degli strumenti di azione pubblica, una volta che, a seconda dei casi, sia neutralizzata o resa inefficiente al massimo grado l’azione punitiva dello Stato. Naturalmente la politica, qui considerata come termine dell’infame binomio, non ha nulla a che vedere con la nobilissima arte del governare e si risolve semplicemente in una forma gravissima di delinquenza, che sta alla vera politica come la prostituzione sta alla femminilità”.
Secondo il Procuratore Aggiunto sono queste le considerazioni di base che devono orientare le moderne strategie di contrasto, proprio perché rispetto al passato oggi c’è una crescente consapevolezza che “le mafie, ormai, siano un soggetto che interferisce. Come un enorme campo magnetico, che disturba da una parte ed attrae dall’altra”.
È arrivato il momento, secondo il magistrato, di pensare ad un intervento normativo che possa attualizzare il dettato dell’articolo 416bis del codice penale, tanto da permettere a questa straordinaria norma incriminatrice di estendere la sua efficacia verso le forme più evolute e subdole dell’agire mafioso. “Bisogna dire con chiarezza che le mafie sono tali non solo quando commettono delitti eclatanti, quando acquisiscono la gestione ed il controllo di attività economiche; le mafie non sono solo quelle che realizzano profitti o vantaggi ingiusti. Oggi è mafioso ogni comportamento che interferisce in profondità sulla vita di ognuno di noi, soprattutto quando l’attività di interferenza incide sulla libertà di autodeterminazione di organi di rango costituzionale, delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici anche economici nonché dei servizi pubblici essenziali. La mafia del Terzo millennio è questa e non si riconosce sempre ad occhio nudo. Non tutto è mafia, ma quello che è mafia oggi noi, tutti insieme, in Italia ed all’estero, dobbiamo essere in grado di capirlo subito, senza fare inutili giri di parole”.
ARTICOLI CORRELATI
fonte: antimafiaduemila.com