Covid-19, rapporto di 60 agenzie globali: per uscire dalla crisi, sviluppo sostenibile e no alla destabilizzazione dei Paesi meno sviluppati

Ilo: nei prossimi tre mesi a rischio 195 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. La peggiore crisi dopo la Seconda Guerra Mondiale

Secondo il nuovo “Financing for Sustainable Development Report 2020” dell’Inter-Agency task force on financing for development dell’Onu, «I governi devono prendere delle misure immediate per prevenire una crisi del debito potenzialmente devastante e rimediare ai danni economici e finanziari causati dalla pandemia Covid-19». Il rapport presente delle misure per far fronte alle conseguenze della recessione mondiale e alle turbolenze finanziarie, in particolare nei Paesi più poveri del mondo e le sue raccomandazioni si basano su ricerche e analisi congiunte del sistema delle Nazioni Unite, del Fondo monetario internazionale (Fmi), del Gruppo della Banca Mondiale (BM) e di oltre 60 agenzie Onu r organizzazioni internazionali.

Presentando il rapporto, la vicesegretaria dell’Onu Amina Mohammed ha ricordato che «Anche prima della comparsa del Covid-19, un Paese su cinque – dove vivono miliardi di persone in povertà – rischiava di vedere il suo reddito pro-capite stagnare o diminuire nel 2020. Oggi, miliardi di persone rischiano di essere colpiti, perché i loro governi lottano per far fronte alla pandemia. La comunità mondiale è già in ritardo nei suoi sforzi per mettere fine alla povertà, prendere iniziative a favore del clima e ridurre le ineguaglianze. Il Covid-19 è la prima emergenza dello sviluppo di questo tipo e tutti i Paesi devono affrontare la sfida di salvare delle vite e di preservare i mezzi di sussistenza nel quadro della nostra risposta e della nostra ripresa. Abbiamo una chance di ricostruire meglio insieme per le persone e per il pianeta».

La Task Force sottolinea che «A causa della crisi del Covid-19, durante il mese scorso, i mercati finanziari mondiali hanno conosciuto pesanti perdite e un’intensa volatilità. Gli investitori hanno ritirato circa 90 miliardi di dollari dai mercati emergenti, il che rappresenta la più importante fuoriuscita di capitali mai registrata. La prospettiva di una nuova crisi del debito, aggravata dal crollo dei prezzi del petrolio e di altre materie prime essenziali, è particolarmente allarmante. Numerosi Least developed country (LDC, Paesi meno sviluppati, ndr) sono già molto esposti al rischio di sovraindebitamento e le ricadute della crisi potrebbero aumentarne considerevilmente il numero».

Il rapporto 2020 sul finanziamento dello sviluppo sostenibile chiede di «Prevenire urgentemente una crisi del debito, sospendendo immediatamente i pagamenti del debito degli LDC e di altri Paesi a basso reddito che chiedono tolleranza». Allo stesso tempo, «E importante ristabilire la stabilità finanziaria fornendo liquidità sufficienti e rafforzando la rete di sicurezza finanziaria mondiale, in particolare per i mercati emergenti. E’ inoltre necessario contenere il forte calo dell’attività economica e sostenere i paesi che ne hanno maggiormente bisogno con una risposta coordinata a livello globale: aumento della spesa per la sanità pubblica, protezione sociale, mantenimento a galla delle piccole imprese, trasferimenti governativi, astensione dal rimborso del debito e altre misure nazionali e miglioramento significativo dell’accesso al finanziamento internazionale a condizioni di favore. Infine, è necessario promuovere il commercio e stimolare la crescita inclusiva, eliminando le barriere commerciali che limitano le catene di approvvigionamento».

Secondo il rapporto, nonostante le enormi pressioni interne, i donatori dovrebbero immediatamente invertire la tendenza al ribasso dell’assistenza ufficiale allo sviluppo (APS), in particolare quella ai Paesi meno sviluppati, «che potrebbe essere gravemente influenzata dalle ripercussioni sociali ed economiche del Covid-19 e per i quali l’APS rimane essenziale». A proposito dell’ormai dimenticato slogan “aiutiamoli a casa loro” il rapporto evidenzia che «Nel 2018, l’APS è diminuita del 4,3% e l’APS ai Paesi meno sviluppati è diminuito del 2,2% in termini reali».

Di fronte ai risultati del rapporto, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che «Siamo lungi dall’avere un programma globale per aiutare i Paesi in via di sviluppo a creare le condizioni sia per sradicare la malattia, sia per far fronte alle drammatiche conseguenze sulle loro popolazioni. E’ necessaria una risposta multilaterale ampia, coordinata e globale, che rappresenti almeno il 10% del PIL globale. Al di là della risposta immediata alla crisi, la pandemia di Covid-19 dovrebbe essere l’impulso che permetta di mantenere i progressi e di accelerare l’attuazione delle misure tanto attese per mettere il mondo su un percorso di sviluppo più sostenibile e rendere l’economia globale più resistente agli shock futuri».

E il “Financing for Sustainable Development Report 2020” espone le principali misure necessarie per un nuovo sviuppo sostenibile e equo e, prima di tutto sostiene «l’accelerazione degli investimenti a lungo termine in infrastrutture resilienti per lo sviluppo sostenibile, attraverso investimenti pubblici e incentivi per il settore privato» e poi «maggiori investimenti nella gestione e prevenzione del rischio e nel rafforzamento della protezione sociale».

Il rapporto raccomanda anche di «migliorare i quadri normativi, ad esempio per scoraggiare un eccessivo indebitamento privato quando il debito non è destinato a investimenti produttivi (anziché aumentare i rendimenti per gli azionisti). Ma anche per rafforzare la rete internazionale di sicurezza finanziaria e il quadro di sostenibilità del debito».

Le agenzie Onu e le altre istituzioni globali forniscono anche opzioni politiche per sfruttare il potenziale delle tecnologie digitali e dicono che «La crisi del Covid-19 fornisce un esempio tempestivo del potenziale delle tecnologie digitali, ma evidenzia anche lacune e nuove sfide e rischi. Queste e altre risposte politiche devono essere sostenibili ed eque, al fine di evitare una ripetizione della ripresa lenta e protratta dalla crisi del 2008 e garantire l’attuazione dell’ Addis Ababa Action Agendal’Accordo di Parigi e il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg)».

Liu Zhenmin, sottosegretario generale dell’Onu agli affari economici e sociali e presidente della task force che ha pubblicato il rapporto, conclude: «Solo una risposta collettiva, ispirata dalla responsabilità condivisa e dalla solidarietà, sarà sufficiente per far fronte alle sfide senza precedenti della pandemia di Covid-19. Governi, partner dello sviluppo, settore privato e altre parti interessate devono lavorare insieme per combattere il Covid-19 e sostenere tutti gli sforzi per porre rimedio ai suoi impatti sociali ed economici».

A tre settimane da un suo rapporto nel quale preconizzava la possibile perdita di 25 milioni di posti di lavoro a causa della pandemia di Covid-19, l’ International labour organization (Ilo) lanca un nuovo tragico allarme: «Gli effetti economici in rapido aumento di COVID-19 sul mondo del lavoro si stanno rivelando molto peggiori della crisi finanziaria del 2008-9, con tagli equivalenti a quasi 200 milioni di lavoratori a tempo pieno previsti solo nei prossimi tre mesi». Infatti, secondo ‘ultima terribile valutazione dell’agenzia Onu per il lavoro, questo è il riflesso delle misure di blocco parziale o totale che stanno colpendo quasi 2,7 miliardi di lavoratori, 4 su 5 della forza lavoro mondiale.

Durante una videoconferenza, il direttore generale dell’Ilo, Guy Ryder, ha fatto notare che «All’inizio dell’anno – prima che il Covid-19 si diffondesse in tutto il mondo – la disoccupazione globale era già di circa di 190 milioni. Con l’ulteriore shock del virus, era “ovvio” che il mondo del lavoro subisse un crollo assolutamente straordinario a causa degli effetti della pandemia e delle misure prese per affrontarla».

I quattro settori nei quali i lavoratori hanno subito gli effetti più drastici della malattia e che hanno subito un maggior calo produttivo a livello globale sono: vendita al dettaglio e all’ingrosso (482 milioni di lavoratori disoccupati); produzione (463 milioni) servizi alle imprese e amministrazione (157 milioni); cibo e alloggi (144 milioni). »Questi settori rappresentano insieme fino al 37,5% dell’occupazione globale ed è qui che la “fine acuta” dell’impatto della pandemia si fa sentire ora«, ha aggiunto il capo dell’Ilo.

Ryder ha ricordato i lavoratori che sono in prima linea nella lotta contro il virus: i 136 milioni di professionisti sanitari e sociali del mondo, e ha sottolineato che «Per loro, il maggiore impatto potenziale è stato la contrazione del Covid-19 sul posto di lavoro. Dobbiamo assicurarci che coloro che sono al lavoro siano adeguatamente protetti … che abbiano i giusti tipi di protezioni».

Anche se tutte le regioni del mondo sono colpite dalle ricadute del Covid-19, sono i Paesi Arabi e l’Europa ad aver registrato il peggior impatto sull’occupazione in termini percentuali, mentre le maggiori perdite numeriche sono negli Stati dell’Asia-Pacifico, la regione più popolosa del mondo. Nel complesso, l’Ilo ritiene che «Per il secondo trimestre del 2020, da aprile a giugno, le ore di lavoro probabilmente diminuiranno del 6,7%. In base a una settimana lavorativa di 48 ore, questo significa che 195 milioni di lavoratori a tempo pieno rischiano di soffrirne gravemente».

Nel suo ultimo rapporto l’Ilo aveva giù avvertito che nussuno può pensare di uscirna da solo: «Non importa in quale parte del mondo o in quale settore, la crisi sta avendo un impatto drammatico sulla forza lavoro mondiale. Le risposte politiche devono concentrarsi sulla fornitura di aiuti immediati ai lavoratori e alle imprese al fine di proteggere i mezzi di sussistenza e le imprese economicamente sostenibili, in particolare nei settori più colpiti e nei Paesi in via di sviluppo». Per l’Ilo, un’ulteriore preoccupazione è rappresentata da fatto che «Nei paesi a basso e medio reddito, le industrie e i servizi più colpiti hanno un’alta percentuale di lavoratori a basso salario in condizioni di lavoro informale, con accesso limitato ai servizi sanitari e alle reti di sicurezza del welfare statale. Senza adeguate misure politiche, i lavoratori affrontano un alto rischio di cadere in povertà, sperimenteranno maggiori sfide nel riguadagnare i mezzi di sussistenza durante il periodo di recupero. Circa due miliardi di persone lavorano in modo informale, la maggior parte dei quali nei Paesi emergenti e in via di sviluppo» e gli effetti del Covid-19 hanno già colpito decine di milioni di lavoratori informali. Come se non bastasse, nelle aree urbane questi lavoratori in nero tendono anche a lavorare in settori economici che «non solo comportano un alto rischio di infezione da virus, ma sono anche direttamente influenzati dalle misure di blocco», Si tratta di riciclatori di rifiuti, venditori ambulanti, di street food o di servizi di cibo a casa, operai edili, lavoratori dei trasporti e lavoratori domestici. L’Ilo fa l’esempio di quanto sta avvenendo in India, dove quasi il 90% delle persone lavorano nell’economia informale e circa 400 milioni di lavoratori già vulnerabili devono ora affrontare un maggiore impoverimento. «Le attuali misure di blocco hanno avuto un impatto significativo su questi lavoratori, costringendo molti di loro a tornare nelle aree rurali – ha spiegato l’Ilo – il Brasile e la Nigeria avevano un livello di occupazione informale analogo a quello dell’India e si trovavano ad affrontare gli stessi rischi».

Sebbene l’impatto economico non sia ancora stato avvertito nell’agricoltura, ancora la più grande fonte di reddito e manodopera nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, secondo l’Ilo «Ora i rischi di insicurezza alimentare sono emergenti, Questo è dovuto alle misure di contenimento, comprese le chiusure delle frontiere. Nel tempo, i lavoratori di questo settore potrebbero subire un impatto crescente, in particolare se il virus si diffonde ulteriormente nelle aree rurali».

Secondo l’Ilo , quella in atto è la crisi più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale e, come ha già fatto Guterres, ha sottolineato l’incertezza dovuta agli impatti a lungo termine. Per Ryder, «Molto dipende dalle azioni intraprese dai governi per attenuare il colpo garantendo le condizioni per una pronta ripresa, ricca di posti di lavoro, una volta che la pandemia sarà sotto controllo».

Accogliendo con favore le misure di stimolo fiscale già concordate dai Paesi del G20, il capo dell’Ilo ha però chiesto «Interventi molto più mirati per le imprese, che erano già praticabili in qualsiasi circostanza normale. E’ essenziale che queste imprese siano a loro volta in grado di sostenere i propri dipendenti, poiché l’esperienza delle crisi passate dimostra quanto sia importante quel tipo di intervento a lungo termine, in particolare in termini non solo di sopravvivere, ma per riemergere dalla crisi».

Secondo l’Ilo i 4 pilastri sui quali deve basarsi la ripresa post-Covid sono: «Stimolare l’economia e l’occupazione, sostenere imprese, posti di lavoro e redditi, proteggere i lavoratori sul posto di lavoro e fare affidamento sul dialogo sociale per trovare soluzioni».

fonte: greenreport.it