‘Ndrangheta stragista, Graviano: ”Berlusconi mandante stragi? Per il momento non lo ricordo”
“Parlerò solo quando avrò verità su morte mio padre”
Il boss di Brancaccio irritato dalle domande dell’avvocato Ingroia
di Aaron Pettinari
E’ una deposizione particolarmente nervosa, quasi dal doppio volto, quella del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, per la quarta volta intervenuto in video conferenza nel processo ‘Ndrangheta stragista, che lo vede imputato assieme a Rocco Santo Filippone
come mandante degli attentati ai Carabinieri che si verificarono tra la
fine del ’93 e gli inizi del ’94, in cui morirono gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Per un’ora e tre quarti, rispondendo alle domande del proprio avvocato, Giuseppe Aloisio,
è rimasto composto e pacato nella sua invettiva contro i collaboratori
di giustizia che lo hanno accusato in questi anni. Smentisce
categoricamente di aver conosciuto uomini di ‘Ndrangheta come i Mancuso,
i Piromalli o i Molé (“io di calabresi, quando ero in libertà, neanche idraulici e professionisti conoscevo. Poi in carcere li ho incontrati”), che nel tentato omicidio Germanà
non c’entrano nulla né lui (condannato come esecutore, ndr) né il
fratello, afferma di essere stato latitante dal 1984 e di essere stato
anche fuori dalla Sicilia a Courmayeur, a Sanremo (ha anche detto di
essere stato al Casinò di Saint Vincent senza specificare l’anno, ndr),
quindi a Omegna.
Il suo atteggiamento, però, cambia quando la parola passa ad Antonio Ingroia, avvocato di parte civile dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo, esprimendo chiari segnali di nervosismo sin dalla prima domanda.
“Lei
ha detto di rispettare le sentenze. Volevo capire fino a che punto
arriva il suo rispetto, se è solo formale o anche sostanziale. Lei ha
fatto parte di Cosa nostra?” chiede l’ex pm palermitano. E la risposta è secca ed irritata: “Io ho già risposto al pm. Quindi non mi ripeta questa domanda, perché io mi stanco e non riesco a seguire il processo!”.
Da quel momento in poi, come in un duello senza esclusione di colpi, l’avvocato incalza. “Lei ha conosciuto l’ex senatore Marcello Dell’Utri?”.“Non l’ho conosciuto”. Lei ha conosciuto Silvio Berlusconi e ha detto di averlo incontrato almeno tre volte? “Ho già risposto. Sì. Il secondo incontro è stato tra il primo ed il terzo, sempre a Milano in un albergo”.
Sui
luoghi in cui sarebbero avvenuti, stavolta, offre qualche dettaglio
parlando dell’appartamento che era nella disponibilità del cugino (“Non era di proprietà di mio cugino. Ne poteva usufruire per non registrarsi nell’albergo”).
L’esame di coscienza
Quando
Ingroia chiede se nel terzo incontro, del dicembre 1993, potesse
escludere che vi fosse Dell’Utri presente, torna nuovamente a rispondere
con nervosismo: “Ma se io le dico che non lo conosco… Se fosse presente avrei detto che lo conosco”.
Dunque
per quale motivo il 24 giugno 2016, nella conversazione in carcere con
Adinolfi, avrebbe fatto il nome di Dell’Utri dicendo che anche lui “doveva darsi un esame di coscienza?”. “Io questa intercettazione non me la trovo – risponde il boss di Brancaccio –
non la metto in dubbio. L’esame di coscienza è perché il suo principale
stava approvando leggi incostituzionali per non farmi usciere dal
carcere e quindi si faccia l’esame di coscienza che ancora sta a
difendere…”.
Le risposte vaghe proseguono sui soldi che sarebbero stati in qualche maniera restituiti in minima parte (“parliamo di cifre irrisorie di quel 20% che era stabilito, non ricordo se un milione e mezzo si lire”) e sulla società che doveva essere formalizzata (“Procrastinava
sempre, prima c’era la scusa di mio nonno. Poi diceva che si stava
sistemando tutto. Ma era una scusa. Chi seguiva la cosa se non erro era
l’avvocato Canzonieri con mio cugino. C’era la carta privata”).
Quindi spiega che in un’altra intercettazione, dove parla di un “disturbo”, il riferimento era sempre a Berlusconi perché “era
disturbato economicamente giù in Sicilia e si era rivolto a mio cugino
se poteva fare qualcosa. E non poteva lui esporsi a far conoscere a
qualcuno la nostra situazione. Di Carlo indica che la società era con
mio papà che non c’entra niente, ma forse era trapelato qualche cosa.
Forse a causa di mio cugino. Ma questa parte del cd non l’ho sentita
bene. Prima la ascoltiamo bene e poi entro nei dettagli della risposta”.
Berlusconi e le stragi
Il controesame si surriscalda quando viene affrontato il tema delle stragi.
La domanda di Ingroia è estremamente chiara e semplice: “Lei
il 23 gennaio ha detto al pm: ‘indaghi sul mio arresto e troverà i veri
mandanti delle stragi’; sempre il 23 gennaio ‘gli imprenditori di
Milano gli interessava che non si fermassero le stragi’ e quando il pm
le ha chiesto a chi si riferiva ha detto ‘a Silvio Berlusconi‘. Quindi lei cosa vuole dire che Silvio Berlusconi è stato uno dei veri mandanti delle stragi?”.
Giuseppe Graviano, prima risponde con calma (“Allora io su questa domanda ho già risposto al signor pubblico ministero”), poi accusa la Procura di Palermo di aver “nascosto nei cassetti” per 37 anni il processo sulla morte del Padre (“Se
qualcuno in questi 37 anni, siamo arrivati a 38, non ha esercitato la
professione con tutti i crismi non continuate a farmi domande a me?”). Ed infine sbotta alzando repentinamente la voce: “Io
risponderò dopo che comincerò a vedere i fatti. Prima tutti i
responsabili della morte di mio padre e delle persone che ho annoverato.
Se c’è qualcuno che è stato fatto a eroe, anche se è vostro collega,
voi sapete che la storia ci insegna che a volte le medaglie all’onore
vengono tolte. Lì c’è tutto. Si troverà il mio arresto, perché ci sono
dei muri di gomma. Roberto Mandalà (il cugino di Gaetano Grado, ndr)
stava raccontando la verità su tutto, cominciando dall’agenda e tutte
queste cose dall’agenda rossa e lui si è avvalso, disse ‘non rispondo
perché sono stato minacciato’. A Torino è successa questa cosa. Il
presidente lo ha ammonito e lui disse che era meglio prendersi la
denuncia. E come mai non è stato denunciato? Come mai che stava dicendo
la verità su quello che accadeva dal 1981 in poi, sui 40 anni di bugie
che ci raccontate? Basta! Sugnu Stanco! Ancora che mi fa lei domande a
me? Andate ad aprire quei cassetti e vedete cosa avete fatto. Andate
ancora cercando l’agenda rossa e cu ammazzò u poliziotto. Aprite i
cassetti e vedete quello che c’è”. E poi ancora: “Io ho
risposto al signor pubblico ministero tutto. Ho risposto pure al signor
avvocato Ingroia ma mi sembra che stiamo andando un po’ oltre”.
Immediatamente la Presidente della Corte d’assise, Ornella Pastore, richiama l’imputato ricordando che l’avvocato Ingroia “non sta facendo altro che il suo lavoro” e che “le
è stata fatta una domanda ben precisa. Se siamo andati oltre, siamo
andati oltre anche nelle udienze precedenti. E questo tono lei non si
deve permettere di usarlo”.
E a quel punto il boss di Brancaccio cede: “Non mi ricordo dottoressa. Io per il momento non mi ricordo”.
L’ex pm chiede informazioni anche in merito all’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. “Voleva che si fermassero le stragi?”. Ma anche in questo caso Graviano pesa le parole: “Non posso rispondere”. E quando Ingroia chiede se è a conoscenza di un progetto omicidiario nei confronti del ministro Mancino riesplode:
“Ho detto al pm che io il nome non ne faccio di nessuno. Quando saprò
la verità su quelle persone. Io sto aspettando. Il prossimo anno, tra
due, tre anni. Non solo io so le verità. Magari tra dieci, vent’anni. E
chi ci sarà, le prossime generazioni, diranno che i magistrati all’epoca
non hanno esercitato le professioni con tutti i crismi”.
Silenzio su Spatuzza
Altro
argomento riguarda poi il collaboratore di giustizia Spatuzza. Ingroia
ricorda al boss di Brancaccio che proprio il pentito ha permesso, con le
sue dichiarazioni, di scagionare quelli che erano considerati i
colpevoli della strage Borsellino. E il capomafia replica: “Per
convenienza… ma è inutile che mi fate ora queste domande. Aspetterà le
domande del mio avvocato poi potrà farle anche lei”.
Per
l’ennesima volta, infatti, il carcere di Terni non avrebbe provveduto a
dare all’imputato tutti i documenti che gli erano stati spediti. “Questo balletto deve finire” ha detto il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo
affermando che lui stesso invierà a Graviano le trascrizioni che furono
fatte dal perito di Palermo, depositate oggi al processo. Tutto
rinviato, dunque, all’udienza del 27 febbraio (inizio ore 14.30).
L’ultima, forse, per il Graviano show.
Foto © ACFB
fonte: antimafiaduemila.com