Onu, serve un’Agenzia internazionale per governare le risorse minerarie

Il 70% della produzione è concentrata in soli 10 Stati con la Cina in testa, mentre l’Ue importa il 91% di minerali di cui ha bisogno. L’economia circolare non basta, occorre un trattato globale per superare la maledizione delle risorse

di
Luca Aterini

Nonostante la necessità di un approccio circolare all’economia stiano crescendo in tutto il mondo, senza una governance internazionale delle risorse minerarie – attraverso un’Agenzia dedicata o un trattato globale – sarà molto difficile centrare l’obiettivo di uno sviluppo più sostenibile: è questa la realtà cui ci mette di fronte il rapporto Mineral resource governance in the 21st Century, elaborato sotto il cappello dell’Onu dall’International resource panel (Irp).

Basta dare un’occhiata ai numeri in gioco per rendersi conto delle dimensioni del problema: in un solo anno (2016) l’umanità ha estratto almeno 65 miliardi di tonnellate di minerali per un valore di circa 3.394 miliardi di dollari, alimentando l’economia globale insieme a profondi impatti ambientali, disuguaglianze e una concentrazione di potere enorme nelle mani di pochi Paesi ed aziende.

Si stima infatti che ci siano più di 30mila miniere nel mondo – per oltre un terzo ancora attive –, ma la produzione di metalli e minerali non energetici è altamente concentrata, con 10 paesi che rappresentano quasi il 70% della produzione mondiale; non sorprende notare che in cima alla classifica svetta la Cina, da dove arriva in media il 37% di tutta la produzione globale di settore, con primati che spaziano dall’alluminio (54% della produzione globale) al cobalto (38%), dal rame (38%) al piombo (50%) all’acciaio (50%).

La Cina, insieme ad altri nove Stati, rappresenta il 70% della produzione di risorse minerarie non energetiche, ma per molti l’ampia disponibilità di materie prime rappresenta una maledizione. Sotto questo profilo il Congo rappresenta l’esempio più tristemente noto, ma sono molti i Paesi poveri (con qualche eccezione, come la ricca Australia) la cui economia dipende in larga parte dall’export di risorse: Mongolia, Zambia, Burkina Faso, Mali, solo per citare alcuni tra i primi messi in fila dall’Irp. Dei primi 50 paesi dipendenti dall’estrazione mineraria, solo 4 economie sono ad alto reddito, mentre 16 sono a reddito medio-alto, 18 a reddito medio-basso e 12 a basso reddito. Al contempo poche, grandi aziende come Vale, Rio Tinto o Bhp Billiton dominano il comparto tranne che in alcune nicchie – ad esempio nel settore dei materiali da costruzione come sabbia e ghiaia – dove le Pmi conservano un ruolo di primo piano.

Dall’altra parte della barricata ci sono Paesi come il nostro, di antica industrializzazione ma storicamente carenti di materie prime (o poco propensi a sopportare l’impatto sociale e ambientale delle miniere). Lo stesso vale a livello europeo, con l’Ue (dati 2013) che ha importa circa il 91% dei minerali e dei metalli necessaria alla propria economia; non a caso l’Unione nel 2017 ha identificato 26 materie prime fondamentali, con tassi di dipendenza dalle importazioni che arrivano anche al 100%, la cui sicurezza d’approvvigionamento risulta cruciale.

Come farvi fronte, in un contesto che vede la popolazione globale in crescita fino a 11,2 miliardi di persone entro fine secolo? Il rapporto sottolinea che i paesi ad alto reddito (come il nostro) devono lottare per raggiungere un disaccoppiamento assoluto dell’uso delle risorse vergini dalla crescita economica, mentre per i paesi in via di sviluppo il massimo cui si può sperare al momento è un disaccoppiamento relativo. Realizzare un’economia più circolare rappresenta dunque una sfida cruciale, ma non basterà per far tramontare l’estrazione di minerali e materie prime.

Anzi: sotto alcuni aspetti il progresso verso un’economia a impatto climatico zero comporterà una maggior pressione in termini di risorse naturali consumate, in quanto «la produzione di energia da fonti energetiche rinnovabili richiede quantità molto più elevate di metalli comuni e rari rispetto alla produzione di energia da combustibili fossili».

Occorre dunque ripensare in profondità la governance delle risorse minerarie, perché gli oltre 80 strumenti internazionali già esistenti ed analizzati nel report non hanno portato i risultati sperati. Per questo gli esperti dell’Irp auspicano la creazione di un’Agenzia mineraria internazionale, o almeno un trattato globale che possa promuovere benefici condivisi e collegare l’estrazione di materie prime con lo sviluppo delle economie locali: non possiamo più permetterci di dare soluzioni parziali a problemi globali.

fonte: greenreport.it