Di Matteo: ”Assordante silenzio della politica su mafia e stragi”

‘Anche al Csm il tema è centrale e mi candido per difendere autonomia e indipendenza magistratura’
di Aaron Pettinari, Jamil El Sadi e Marta Capaccioni – Fotogallery e Video

Il contrasto della criminalità mafiosa? Io non ne sento più parlare come oggetto principale della nostra democrazia. Non ne ho sentito parlare in campagna elettorale nel 2018 e ne sento parlare poco, ora, ma in maniera generale. E’ assordante da parte della politica il silenzio sulla questione stragi. E’ vero che le indagini le devono fare i magistrati ma vi assicuro che di fronte a elementi così importanti sarebbe necessario uno sforzo in impiego di uomini, mezzi, risorse e una denuncia politica. Ormai queste indagini sono lasciate soltanto a pochissimi magistrati e altrettanto pochissimi investigatori visti dagli altri come gli ultimi giapponesi che non credevano finita la guerra e non si arrendevano. La politica se vuole essere autorevole lo deve essere anche su queste questioni“.
E’ una considerazione tanto amara quanto realista quella del sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo, intervenuto a “La Versiliana”, festa ormai tradizionale de “Il Fatto Quotidiano” che quest’anno festeggia i dieci anni di vita. Dalla riforma della giustizia, alle inchieste sulle stragi e la trattativa Stato-mafia passando per il ruolo che dovrebbe avere il Consiglio superiore della magistratura in questo momento delicato della storia del Paese. Sono questi alcuni dei temi affrontati dal magistrato, intervistato dal vicedirettore e responsabile libri ‘Paper firstMarco Lillo nell’incontro intitolato “Magistrato, nonostante tutto”.
Inevitabile ricordare l’imminente impegno che vede Di Matteo candidato, da indipendente, proprio al Consiglio superiore della magistratura dopo aver accettato la proposta di Autonomia&Indipendenza, la corrente fondata da Piercamillo Davigo, di concorrere alle elezioni suppletive che si svolgeranno il 6 e il 7 ottobre prossimi, necessarie dopo le dimissioni di Luigi Spina (Unicost) e Antonio Lepre (Mi) a seguito degli scandali emersi nell’inchiesta di Perugia sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara accusato di corruzione.
Nel momento in cui è emerso lo scandalo – ha detto il magistrato palermitano – ho sentito, anche parlando con colleghi che stimo, che poteva essere questo il momento per cercare di dare un contributo per cambiare le cose.
Ho speso tutto il mio impegno nell’attività propria e giudiziaria del magistrato. E devo dire che per tanti versi ho visto con sospetto, prendendo pubbliche posizioni in determinati momenti, l’attività dei professionismi dell’associazionismo e in certi momenti del Csm. Quando noi, da esponenti delle istituzioni, venivamo accusati a proposito del processo della Trattativa e per la citazione del presidente della Repubblica Napolitano, di essere magistrati ‘eversivi’, ‘assassini’, non c’è stato né un membro della giunta esecutiva centrale della Anm, né un consigliere del CSM, così come tanti magistrati, che ci ha difesi. In quest’ultimi decenni Csm ed Anm hanno spesso lasciato soli i magistrati più impegnati nell’attività giudiziaria e questo non è giusto. Perché la funzione del Csm è altissima e l’autogoverno dovrebbe essere teso a difendere la magistratura ma anche il singolo magistrato, quello che lavora spesso camminando su un filo senza rete sotto“. Di Matteo ha ribadito con forza di non essere iscritto alle correnti (“e non intendo inscrivermi“) e di voler rappresentare null’altro che una figura autonoma e indipendente: “Vorrei andare a fare il giudice, quello che studia e valuta le cose come stanno, respingendo al mittente ogni pressione, opportunismo personale o di gruppo, scambi di favore. Dal modo di essere magistrati e dalla capacita del Csm, dimostrando di valorizzare i magistrati veramente preparati e indipendenti passa la lotta per la democrazia e per l’indipendenza“.
Quindi è tornato sulla propria candidatura: “Lo sto facendo con umiltà e determinazione. ‘Campagna elettorale’ è un’espressione che non mi appartiene, ed è già negativa perché evoca il concetto di clientela, e dobbiamo uscire da questo sistema. Il criterio di appartenenza e di clientela sono concetti che trovano stazione nel sistema mafioso e non nel potere di autogoverno della magistratura. Io ho fiducia nella grande maggioranza dei magistrati e credo che questa parte continui ad essere animata dalla voglia di essere veramente al servizio della collettività. Vorrei cercare di mettere entusiasmo a disposizione dell’autogoverno“.

Gli scandali della magistratura
Dopo aver ricordato il ruolo della magistratura come “avamposto più efficace per l’attuazione dei principi costituzionali” capace di contrastare il terrorismo, le mafie e di essere “argine contro le derive del potere politico, economico e finanziario” Di Matteo ha espresso un pensiero critico rispetto agli scandali che si sono consumati all’interno della magistratura esplosi nei mesi scorsi. Grazie a questi “si è venuta a determinare agli occhi dell’opinione pubblica una delegittimazione del ruolo del magistrato, e temo che molti possano approfittare di questo momento“. Secondo il sostituto procuratore nazionale antimafia vi è un potere che “da sempre mira alla normalizzazione della magistratura e a fare di quest’ultima un potere collaterale e servente“. Secondo Di Matteo la magistratura dovrebbe fare autocritica, guardando ai propri errori e prendendo atto che “un tarlo molto insidioso si è insediato nel corpo della magistratura. Un tarlo rappresentato dal collateralismo politico, un tarlo che fa considerare prioritarie ragioni di opportunità, piuttosto che doverosità giuridiche. Il tarlo del carrierismo. Il tarlo della gerarchizzazione, a mio avviso impropria, contrario alla costituzione (sistema diffuso) e ancora il tarlo del correntismo, divenuto uno strumento per fare carriera, per trovare protezione nei momenti di difficoltà della carriera. E infine il tarlo della formazione. Alcuni pretendono di esercitare poteri che non sono propri e che dovrebbero essere propri ed esclusivi di organi di governo della magistratura. E ancora, il tarlo della rassegnazione di tanti“.

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  • La rimozione dal pool stragiTra le domande non è mancata neanche quella sulla rimozione subita dal pool stragi della Dna, su decisione del Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, dopo un’intervista rilasciata dallo stesso Di Matteo alla trasmissione “Atlantide” di La7.Un caso a cui è chiamata ad esprimersi la Settima commissione del Csm dopo il ricorso presentato dal sostituto procuratore nazionale antimafiaLillo, ricordando anche le intercettazioni tra Palamara e Sirignano, magistrato della Dna, proprio sulla inopportunità della nomina di Di Matteo nel pool stragi, ha espresso un pensiero sul punto: “Io non penso affatto che De Raho abbia rimosso Di Matteo per via delle pressioni di Palamara, bensì da altri uffici. Pressioni dovute a gelosia vista la visibilità ottenuta da Di Matteo. Ma ora non è in quell’ufficio. Da cittadino ritengo che questo sia un danno e non saprei come si possa ricucire questa ferita. Mi sembra un danno troppo grande rispetto alla causa“. Da parte sua Di Matteo, senza entrare nello specifico ha ribadito di ritenere ingiusto il provvedimento subito: “Ho fatto le mie osservazioni al Csm che è l’organo che può vagliare i provvedimenti del Procuratore capo e sto aspettando che il Csm si pronunci su quel provvedimento. Spero che lo faccia presto. Posso solo dire che io quell’intervista la rifarei e direi le stesse cose perché io, per una serie di eventi anche casuali, dall’inizio del ’94 mi sono occupato di queste vicende per più di 20 anni e conosco bene gli atti processuali pubblici e le sentenze“. Quindi ha aggiunto: “Non mi stancherò mai di dire che i cittadini non sono messi nelle condizioni di conoscere ciò che è emerso dalle sentenze anche da sentenze definitive. Io trovo grave che certe cose non si sappiano, trovo grave che dopo il 18 aprile 2018 a seguito della sentenza trattativa e, soprattutto, dopo il deposito delle 5000 pagine della sentenza si sia alzato un muro di silenzio“. Il pm palermitano ha poi ribadito alcuni passaggi della sentenza, seppur di primo grado, che fissa dei fatti indiscutibili: “È emerso che mentre saltavano in aria i nostri magistrati, poliziotti, mentre c’erano stragi, mentre per un incidente falliva l’attentato allo Stadio Olimpico di Roma, dove si trovavano centinaia di poliziotti, c’era chi trattava. C’era una parte dello Stato che chiedeva a Riina e ai fratelli Graviano ‘cosa volete per cessare quest’attacco alle istituzioni?’. Queste informazioni dovrebbero essere rese pubbliche in un paese serio, e anche elementi di sentenze che rendono possibile, anzi probabile, che nelle stragi abbiano avuto ruolo anche soggetti diversi dagli appartenenti a Cosa Nostra. Io continuerò a battermi perché penso che la magistratura non debba mai parlare delle indagini ma penso che la magistratura abbia il diritto e il dovere anche, quando ci sono di mezzo morti e stragi, di ricordare quello che è emerso“.
il patto sporco integrale

La riforma della giustizia
Altro tema affrontato è quello della riforma della giustizia promossa “dall’ormai fu governo gialloverde“. Secondo di Matteo “ci sono delle riforme che possono contribuire al miglior funzionamento della giustizia ma non vorrei passassero delle riforme che rappresentano un passo indietro e muovessero da un intento punitivo. Quando è emerso pubblicamente lo scandalo all’inchiesta di Perugia ho sentito parlare anche della separazione delle carriere tra pm e giudici e non capisco cosa c’entri con l’emersione della gestione sporca dell’autogoverno della magistratura separare i pubblici ministeri e giudici. Ma capisco che è un sogno di coloro che vorrebbero trattare inevitabilmente il pubblico ministero nell’orbita dell’esecutivo“. Parlando della riforma l’ha definita come “in chiaro scuro. Dove ci sono aspetti condivisibili in funzione del processo penale, per la ricerca di una maggiore speditezza del processo penale, ma in cui si presentano anche delle norme che non mi convincono. Quando si accorciano i termini delle indagini preliminari non si considera un dato: i processi si rendono più veloci fornendo alle Procure della Repubblica il materiale umano, o passando ad una seria penalizzazione cercando di capire che la domanda di giustizia in Italia è eccessiva rispetto alla possibilità che la giustizia dia delle risposte“.
Poi ancora ha ravvisato un’altra pressione “inopportuna”: “Decorsi i 3 mesi dalla scadenza del termine è previsto il deposito senza che il pm abbia preso le sue determinazioni. Così si determinano 2 conseguenze: da una parte il deposito degli atti a favore dell’indagato e della parte offesa, e quindi la conoscibilità di tutto quello che è stato fatto, dall’altra parte la valutazione se il pm meriti un provvedimento disciplinare per avere fatto scadere i termini senza prendere delle determinazioni del caso. Altro pericolo è quella possibilità che i capi uffici stabiliscano periodicamente i termini di priorità che i sostituti procuratori devono seguire“. Secondo Di Matteo, dunque, si dovrebbe “colpire le patologie“, anche con forza, ma senza “sanzionare la magistratura futura“.
Inoltre ha ravvisato un’ipocrisia nel momento in cui si parla di politica e magistratura: “Il problema non è quello di impedire ad un magistrato di poter occupare incarichi politici, perché se un magistrato ritiene di farlo, e si dimette dalla magistratura, secondo me lo può fare. A me preoccupa più il fatto che in Parlamento ci sono soltanto due o tre magistrati e decine o centinaia di avvocati.
La separazione tra politica e magistratura non riguarda solo i paletti messi per passare da un ruolo ad un altro ma il modo in cui si svolge l’attività giudiziaria e l’autogoverno della magistratura, riguarda la promozione e la valorizzazione dei colleghi indipendenti, coraggiosi, fuori dal sistema, che sono senza reti e senza protezione“.
Tornando a parlare del ruolo della politica il pm ha espresso il desiderio di vedere, prima o poi, una “polizia che nella lotta alla criminalità sia in prima linea e non aspetti la fine di un processo ignorandone tra l’altro le responsabilità politiche. Le sentenze possono anche essere criticate o non condivise ma nel nostro paese succede che vengono volutamente dimenticate. E questo lo reputo molto grave. Soprattutto quando poi la politica tende ad appropriarsi ipocritamente della memoria di chi è caduto in questa lotta. Non è democrazia compiuta quella in cui determinati argomenti devono essere rimossi“.

Il processo trattativa come punto di partenza
Rispondendo ad una domanda sulla sentenza Stato-mafia e sulla ricerca della verità sulle stragi Di Matteo ha ribadito come “non sia vero che non sappiamo nulla. Sappiamo molto e tutto il lavoro sulla trattativa finisce per riguardare le stragi. Tutte le stragi di Cosa nostra, e non solo, sono viste in un’ottica politica. Bisognava fare la guerra per poi fare la pace. Le stragi mirano a stabilire le condizioni per fare la trattativa e settori delle istituzioni hanno trattato. Il processo trattativa è il punto più alto arrivato ma anche il trampolino da cui partire. In quella sentenza c’è scritto tanto, ad esempio che molte cariche dello Stato hanno mentito davanti alla Corte d’assise. In quella sentenza è scritto e spiegato che tra governi della Repubblica percepirono la minaccia di Cosa nostra attraverso degli attentati. Nessuno parlò delle richieste di Riina nonostante le percepirono. Io da questo punto di vista, almeno dopo la sentenza, mi sarei aspettato molta attenzione”.
Proseguendo nella risposta a Marco Lillo, che aveva rappresentato come assieme al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio ha scritto un libro (Padrini Fondatori) per rendere più conosciuta alle masse la sentenza Stato-mafia, simpaticamente Di Matteo ha ricordato di aver preceduto quella pubblicazione con il libro scritto assieme a Saverio Lodato, “Il Patto Sporco”, edito da Chiarelettere: “Voi avete scritto il libro; io l’ho scritto prima di voi con Saverio Lodato. Inizialmente avevo pensato di non scriverlo ma rispetto al silenzio che era calato sulla sentenza, abbiamo ricordato i punti salienti del processo e della sentenza del processo ma non è servito. Nella sentenza si parla delle intercettazioni di Riina nel carcere Opera di Milano. Si dice che era inconsapevole di essere intercettato e, pertanto, le sue dichiarazioni sono ritenute genuine. Anche le intercettazioni tra Graviano ed il suo interlocutore vengono considerate in questo modo perché, nonostante sospettassero di essere intercettati, mettevano in atto delle cautele come abbassare il tono della voce o coprendosi per non mostrare il labiale. Graviano dice che quando sono state fatte certe cose è stato per fare una cortesia a qualcuno“. Ed alla luce di questo dato ha chiesto con forza: “Si può vivere in un Paese in cui non si faccia di tutto, a tutti i livelli, giudiziario, investigativo e politico per capire se questa cosa è vera o meno?“.

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fonte: antimafiaduemila.com