La nuova strage al largo della Libia è «la peggiore tragedia nel Mediterraneo di quest’anno»

Nel 2019, una persona su 6 che ha tentato di raggiungere l’Europa dalla Libia è morta nel Mediterraneo

di
Umberto Mazzantini

Un centinaio di rifugiati e migranti (forse 150) sono affogati nel Mediterraneo dopo il naufragio del loro “barcone”, partito dalla Libia in piena guerra civile, al largo delle coste di Al Khoms, scomparsi in quella che l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, ha definito «La peggiore tragedia nel Mediterraneo di quest’anno». Altre 140 persone sarebbero state soccorse e riportate in Libia, da dove cercavano disperatamente di fuggire. Il portavoce dell’United Nations High Commissioner for Refugees (Unhcr), Charlie Yaxley, sottolinea su Twitter che «La maggioranza dei passeggeri a bordo erano eritrei. Tra i morti figurano delle donne e dei bambini. Sulla barca c’erano anche dei sudanesi».

Il naufragio è avvenuto tre giorni dopo una riunione dei ministri dell’Unione europea – disertata ancora una volta del vicepremier e ministro degli interni italiano Matteo Salvini  – dedicata alla situazione in Libia e nel Mediterraneo. Una riunione alla quale hanno partecipato anche Grandi e António Vitorino, direttore generale dell’International Organization for Migration, che in un comunicato congiunto hanno sottolineato che «La violenza che ha colpito Tripoli nelle ultime settimane ha reso la situazione disperata come mai prima e ha evidenziato l’urgenza con cui è necessario intervenire. Accogliamo con soddisfazione il consenso emerso in occasione dei colloqui di ieri in merito alla necessità di porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti in Libia. È necessario avviare un processo di rilascio ordinato delle persone trattenute nei Centri di detenzione, sia verso le aree urbane sia verso Centri di accoglienza aperti che assicurino una ragionevole libertà di movimento, riparo, assistenza e protezione della propria incolumità, oltre a un monitoraggio indipendente e all’accesso regolare e incondizionato delle agenzie umanitarie. Alla luce dei rischi di abusi, maltrattamenti o morte, nessuno dovrebbe essere ricondotto nei Centri di detenzione in Libia dopo essere stato intercettato o soccorso in mare».

Secondo Grandi e Vitorino, il rinnovato impegno degli Stati Ue presenti a Parigi  a prevenire la perdita di vite umane nel Mar Mediterraneo è incoraggiante: «Lo status quo, che vede le operazioni di ricerca e soccorso spesso lasciate all’intervento di imbarcazioni commerciali o di ONG, non può continuare. È necessario lanciare un’operazione di ricerca e soccorso guidata dagli Stati dell’Unione Europea simile a quelle realizzate negli ultimi anni».

Poi, in evidente polemica con il governo italiano, i capi dell’Unhcr e dell’Iom – così come aveva già fatto l’Onu – ribadiscono che «E’ necessario riconoscere il ruolo fondamentale svolto dalle ONG: esse non devono essere criminalizzate né stigmatizzate per il soccorso di vite umane in mare. Alle imbarcazioni commerciali, sulle quali si fa sempre più affidamento per condurre operazioni di soccorso, non deve essere chiesto né di trasbordare sulle navi della Guardia Costiera libica le persone soccorse, né di farle sbarcare in Libia, dato che non costituisce un porto sicuro. Sono inoltre stati promettenti i colloqui sull’opportunità di istituire un meccanismo di sbarco temporaneo e coordinato per le persone soccorse in mare e di condividere le responsabilità fra Stati in previsione della successiva fase di accoglienza. Chiediamo che tali colloqui continuino, poiché un approccio congiunto a questa situazione è nell’interesse di tutti».

Grandi e Vitorino ricordano che «Nel frattempo, le evacuazioni e i reinsediamenti al di fuori della Libia continuano a costituire un’àncora di salvezza irrinunciabile per coloro le cui vite sono esposte a pericoli immediati. Continuiamo a chiedere agli Stati di collaborare per portare al sicuro i rifugiati più vulnerabili in Libia, e accogliamo con soddisfazione le espressioni di sostegno manifestate al riguardo. Infine, sono necessari sforzi maggiori per trovare soluzioni alle ragioni per cui le persone, in primo luogo, abbandonano le proprie case. Finché i molteplici conflitti in corso nell’Africa settentrionale e subsahariana e le sfide legate allo sviluppo continueranno a restare irrisolti, vi saranno persone che continueranno a cercare alternative per se stesse e per le proprie famiglie. Negoziare una pace duratura in Libia deve rappresentare la priorità assoluta. La comunità internazionale dovrebbe sfruttare ogni mezzo a propria disposizione per riportare a dialogare le parti in conflitto, e adottare una soluzione politica capace di ristabilire stabilità e sicurezza».

Yaxley  evidenzia che il tragico naufragio di ieri ci ricorda quel che il governo Lega-M5S cercano – riuscendoci –  di far dimenticare come fosse un fatto marginale: «Quest’anno una persona su 6 che ha tentato di raggiungere l’Europa dalla Libia è morta nel Mediterraneo. Un tasso di decessi scioccante. Non possiamo ignorare che I viaggi sui barconi stanno diventando sempre più mortali. Non possiamo chiudere gli occhi». E invece è quel che hanno fatto anche ieri milioni di italiani, aiutati anche da telegiornali che considerano le ormai stantie scaramucce tra Salvini e Di Maio o una sibillina dichiarazione di Conte più importanti di 150 esseri umani inghiottiti dal Mediterraneo.

Inoltre l’Unhcr ricorda che «Numerosi interrogativi sussistono sulla sorte delle persone soccorse in mare e che sono state riportate in Libia». L’ufficio Unhcr in Libia ha scritto su Twitter che ieri pomeriggio «140 persone sono state soccorse e sbarcate» e che avrebbero ricevuto «un aiuto medico e uno umanitario» da International Medical Corps (IMC). Ma in tarda serata i sopravvissuti erano ancora confinati al punto di sbarco. E alle 19,30 l’inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale,  Vincent Cochetel, si chiedeva: «Due operazioni di salvataggio/intercettamento soino state operate oggi dai gaudia-coste libici. Dove sono state inviate queste persone soccorse?». Anche Henrietta Fore, direttrice esecutiva dell’uNicef, si è detta molto preoccupata per la sorte dei 150 sopravvissuti riportati in Libia: «Alla luce degli abusi, della violenza e del pessimo trattamento e dei decessi che continuano ad avvenire, nessun bambino deve essere detenuto in questi centri di detenzione in Libia. Senza un’azione urgente, continueremo a vedere morire dei bambini  durante questi peripli».

Cochetel conclude: «Delle soluzioni alternative alla detenzione arbitraria esistono. L’Unhcr e i suoi partner sono pronti a mettere in opera le soluzioni se le autorità libiche accettano di mettere fine all’attuale sistema di detenzione».

Va ricordato che le autorità a cui fa riferimento Cochetel  sono quelle sostenute, finanziate e armate dal governo italiano e da gran parte della comunità internazionale (Onu compresa) mentre, l’altro “governo”, quello di Haftar  che ha circondato Tripoli con il suo esercito finanziato dalla  Francia e da alcuni Stati arabi, i migranti li bombarda direttamente. E intanto in Italia qualche ributtante mangiatore politico di carogne e qualche sadico nazifascista da tastiera esulta per la morte di 150 poveri cristi…

fonte: greenreport.it