Global Strike for Future: le piazze italiane e del mondo piene della speranza che nasce da un futuro che fa paura

L’istinto di sopravvivenza di una generazione che non fa sconti alla politica e all’economia insostenibili

di
Umberto Mazzantini

Le piazze di tutta Italia si sono riempite dei giovani dl Global Strike for Future che chiedono ai potenti del mondo, a chi ha in mano i fili che reggono l’economia globalizzata e le briglie politiche che dovrebbero guidare il nostro destino, di agire immediatamente per fermare il riscaldamento globale, per impedire che cambiamenti climatici disastrosi cambino la faccia del nostro pianeta e distruggano il loro futuro.

Questi inattesi ragazzi de ragazze sono un raggio di sole inaspettato, sono le rondini di primavera che tornano ad annunciarci non più che un altro mondo è possibile: è indispensabile. Sono i cuccioli allevati in anni di battaglie ambientaliste che nessuno credeva sarebbero riuscite a spostare una virgola, sono i seguaci – a volte inconsapevoli – dell’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco e delle migliaia di studi scientifici che una di loro, Greta Thunberg ha riassunto in una frase scritta in un cartello che ha innalzato solitaria in un freddo mattino (ma non così freddo)  di fronte al Parlamento svedese. Un cartello che annunciava uno sciopero solitario di una strana ragazza con il corpo da bambina e che è diventato una valanga che ha aperto cuori e menti, che ha spaventato i potenti del mondo che credevano di poter continuare all’infinito a discutere di come salvare il mondo, di come applicare trattati e accordi “ineludibili” ma elettoralmente rischiosi.

Questi giovani sono le Greta risvegliate, i folletti urbani che magari debbono anche sorbirsi le contumelie di intellettuali del calibro di Donald Trump o di Rita Pavone, sono i Gian Burrasca dimenticati dalla generazione che li ha fregati, sono l’innocenza sfacciata che vuole salvare il mondo, che non accetta più scuse, che non vuole mercanteggiare sul futuro e la bellezza. Sono radicalmente innocenti, anche se vivono come pesci nell’acqua nella società dello spreco e dei consumi.

Bimbe e bimbi fantasiosi e sognatori che ci chiedono di ascoltare gli scienziati noiosi, di riscoprire il nostro destino comune che ci lega alla Madre Terra e al pianeta degli esseri viventi, sono la generazione del digitale e della plastica che ha  visto i limiti insuperabili e quelli che abbiamo già catastroficamente superato, sono nuove donne e uomini di pace che vogliono un futuro sicuro e pulito, che vogliono continuare a nuotare in un mare dove i pesci siano ancora più della plastica e dove risuoni ancora il canto delle balene.

Una generazione che credevamo prigioniera del mondo artificiale, impigrita dal benessere, “quelli che hanno tutto”, si è riscoperta connessa con la bellezza e col vivente, ha improvvisamente visto spalancarsi davanti a sé la finestra buia di un futuro che potrebbe non esserci, di un presente senza certezze, senza lavoro, senza prospettive di mettere a frutto anni di studi.

Forse le manifestazioni di oggi in Italia e in tutto il mondo sono quanto di più primordiale è nell’uomo: l’istinto di sopravvivenza. Lo stesso che spinge altri giovani ad attraversare deserti fino ad annegare nel mare. Sono la consapevolezza che il nostro benessere, il riuscire a evitare una barbarie percepita come alle porte, dipende dall’impegno di tutti a stare insieme per affrontare il destino comune creando un mondo più giusto, vivibile, bello, dove vivere non sia una corsa insensata e penosa e dove il futuro non sia un incubo. E’ la casa che brucia di Greta e le ragazze e i ragazzi del mondo sono i pompieri che vogliono spengere l’incendio.

Ma quel che sta succedendo, seppure in maniera confusa e magmatica, è anche una svolta culturale e politica. Culturale perché i giovani escono dal recinto “dell’unico mondo possibile” che si è rivelato insostenibile, politico perché questo si annuncia come un movimento plurale e inclusivo, che, con i suoi cartelli di cartone, non ha paura di contaminare o di essere contaminato, consapevole ormai che quel che resta della politica non è più in grado di strumentalizzare un movimento spontaneo che parla semplicemente di temi così grandi, universali e complicati  che i politici al potere – che in questi anni hanno cercato di ridurre la politica a semplicistici slogan cattivi e accattivanti –  non sono più in grado di capirli e spiegarli.

Anche in Italia la risposta politica ha dimostrato finora di non saper tenere il passo. «Per essere in traiettoria con l’Accordo di Parigi sul clima – documenta Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – nel prossimo trentennio l’Italia dovrebbe tagliare, in media ogni anno, le proprie emissioni di gas serra di circa 13 MtCO2eq: un tasso di riduzione dal quale siamo stati ben lontani negli ultimi 4 anni, anche se inferiore a quello registrato nel decennio 2005-2014. Per stare in questa traiettoria l’Italia dovrebbe produrre ogni anno circa 1,5 Mtep di energia da fonte rinnovabile in più e ridurre i consumi energetici finali di altrettanto, mentre negli ultimi 4 anni la crescita delle rinnovabili è stata di circa 0,5 Mtep, un terzo del necessario, e i consumi di energia sono addirittura aumentati». Dobbiamo fare molto di più.

Greta, nei suoi spietati interventi di fronte agli allibiti leader del mondo, ha detto che la speranza non le interessa, che vuole che abbiamo paura davvero di quel che ci aspetta, di quello che gli scienziati avevano predetto inascoltati da anni e che si sta avverando, travolgendo animali, piante, isole e popoli. Ma anche dietro la grinta di Greta, la speranza ogni tanto si trasforma in un timido sorriso, e oggi le piazze d’Italia, d’Europa e del mondo sono finalmente piene dei sorrisi di questa strana speranza, figlia della paura del futuro, che hanno i ragazzi e le ragazze che insieme a noi e dopo di noi navigheranno su questa fragile e magnifica arancia blu che gira intorno al sole.

fonte: greenreport.it