Trattativa Mannino, in appello il confronto tra Brusca e La Barbera

di Aaron Pettinari
Il 25 febbraio inizierà la requisitoria della Procura generale

aula tribunale c imagoeconomica 23

Prenderà il via il prossimo 25 febbraio la requisitoria della Procura generale per il processo d’appello nei confronti dell’ex ministro Dc Calogero Mannino, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato. Il processo, che si celebra con il rito abbreviato, nell’udienza odierna ha visto il confronto tra i collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e Gioacchino La Barbera dopo che la Presidente della Corte d’appello, Adriana Piras, aveva accolto alla scorsa udienza la richiesta presentata dalla Procura generale.
Entrambi hanno riferito in passato di un attentato nei confronti dell’ex politico ma fornendo indicazioni diverse sui tempi del progetto di morte. In particolare Brusca, ascoltato nel corso del processo d’appello lo scorso maggio in cui disse che “subito dopo la strage di Capaci fui incaricato di uccidere l’onorevole Mannino. Mi adoperai per studiare le abitudini. Poi Riina, tramite Biondino mi bloccò. In sostanza mi disse che ci avrebbe pensato lui”. Secondo La Barbera, che sarebbe stato incaricato di compiere quel delitto, l’ordine sarebbe arrivato dopo la strage di via D’Amelio, nell’agosto del 1992. Brusca, il 16 ottobre 2018, è stato nuovamente sentito dai magistrati, ed ha dichiarato che, dopo aver letto le motivazioni della sentenza del processo trattativa Stato-mafia (in cui lo stesso Brusca era imputato, ndr) aveva riscontrato delle imprecisioni nelle dichiarazioni riportate nella stessa sulla versione data da La Barbera nel riferire del progetto di attentato in quanto evidenziava che non era possibile collocare nella seconda metà del 1992, settembre-ottobre, il progetto di attentato a Mannino. Brusca oggi in aula ha ribadito che la tempistica di quel processo di attentato è tra le stragi di Capaci e via d’Amelio: “Anche io all’inizio della mia collaborazione collocavo questo fatto dopo settembre e ottobre. Ma ho ricostruito alcuni fatti, come l’omicidio dell’ispettore Lizio e coinvolsi i catanesi per dare un contributo affinché queste entità esterne ritornassero a trattare. Dunque quella data è precedente. E io cominciai a lavorare all’omicidio con la mia persona fidata che era Antonino Gioé. Poi Biondino, tramite Gioé mi manda a dire di fermarsi”.
La Barbera da parte sua è rimasto nella sua posizione: “Io le date non le ricordo di preciso. Però la mia conferma, visto che c’era stato un fermo, posso dire che quando Biondino o Bagarella mi dice di chiedere di portare il ‘vino’ in via Ventura, dove c’era la segreteria di Mannino, è la conferma che il fermo non c’era più. Io lo collego ai tempi di settembre-ottobre e perché ci eravamo dati da fare che erano pronti i telecomandi per Grasso”. Secondo La Barbera, “portare il vino” era il messaggio che si poteva andare avanti con l’attentato. Ma Brusca ha ribadito: “Io non ho mai parlato cifrato con Riina per andare avanti, parlavamo chiaro. Ed io non ho mai ricevuto il messaggio. Possibile che quel messaggio fosse riferito a qualcosa di reale?”.
Il processo è stato dunque rinviato al prossimo 25 febbraio quando avrà inizio la requisitoria del pm. In primo grado l’ex politico Mannino, è stato assolto dal gup di Palermo Marina Petruzzella, a novembre 2015, per non aver commesso il fatto. L’ex ministro democristiano si è sempre difeso negando ogni coinvolgimento nelle vicende che gli sono state contestate, anche se sullo sfondo restano degli enormi punti interrogativi su certe condotte tenute. Nel processo che si è tenuto con il rito ordinario sono stati condannati ex ufficiali dei carabinieri, politici come Marcello Dell’Utri, Massimo Ciancimino e boss come Leoluca Bagarella.

fonte: antimafiaduemila.com

Foto © Imagoeconomica