Blitz alla nuova Cupola

Ma i capi sono sempre gli stragisti e i loro alleati invisibili
di Giorgio Bongiovanni

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Le scorse settimane a Palermo si è tenuta un’importante operazione, coordinata dalla Dda, che ha portato all’arresto di oltre quaranta persone, svelando l’ennesima riorganizzazione di Cosa nostra con tanto di Commissione provinciale ricostituita. Il nuovo “Capo dei capi“, secondo le indagini, sarebbe l’anziano boss di Pagliarelli, Settimo Mineo. Un soggetto sopravvissuto alla guerra di mafia, capace di schierarsi dapprima con il gruppo di Badalamenti-Bontade-Inzerillo, per poi passare sul fronte corleonese, fino a diventare uomo di fiducia del boss Nino Rotolo. Gaspare Mutolo, ex veterano di Cosa nostra e storico collaboratore di giustizia, ha offerto un’analisi semplice sulla scelta del presunto nuovo vertice dopo la morte di Totò Riina e Bernardo Provenzano: “Hanno scelto questo personaggio perché era l’unico facente parte dei due schieramenti ad essere sopravvissuto e quindi poteva essere un nuovo punto di riferimento per i giovani boss“. L’indagine dei carabinieri e della Procura di Palermo mostra dunque il volto di una nuova Cupola che si affida al vecchio per andare avanti nella gestione dei nuovi affari ed è un colpo importante e determinante per quel che concerne la mafia militare che comanda in Sicilia. Altro dato di interesse che emerge nell’inchiesta è il tentativo di agganciare le famiglie degli “scappati“, gli Inzerillo, che in tanti anni non hanno mai visto toccati i loro beni. La ricerca di quello storico canale che porta dritto verso le famiglie americane di Cosa nostra, come i Gambino ed i Calì, offre certamente ulteriori spunti investigativi. C’è un fatto, però, che a nostro avviso viene trascurato in particolare dall’informazione, ovvero l’esistenza di una mafia stragista. La vulgata comune è che oggi Cosa nostra è sempre più immersa e che i padrini che hanno commesso le stragi degli anni Novanta sono tutti in carcere. Tutti, tranne uno: il superlatitante Matteo Messina Denaro, introvabile da venticinque anni.
Nelle carte dell’operazione il nome del boss trapanese non compare e, secondo gli analisti, non sarebbe lui a comandare sulla mafia palermitana. Ciò, a nostro avviso, non sta a significare che il peso di Messina Denaro sulle cose di Cosa nostra sia inferiore. In passato, nel 2008, le famiglie palermitane avevano chiesto un parere alla “primula rossa” per costituire una nuova Cupola a dimostrazione dell’autorevolezza e del carisma che Messina Denaro porta dietro con sé. Certo, quel che accade a Palermo può anche non essere affar suo, ma nel suo ruolo di Capo della Provincia di Trapani la sua opinione continua ad avere un peso specifico non solo in seno all’organizzazione criminale, ma anche oltre. E’ noto che il territorio trapanese sia una concentrazione di poteri mafiosi, criminali, massonici ed economici. Una fotografia che “resiste” sin dagli anni Ottanta. A Trapani si può quasi dire che vi siano più sportelli bancari che cittadini e in molti conti correnti confluiscono i guadagni del riciclaggio di denaro.
Matteo Messina Denaro mette insieme tutte queste realtà tanto che gode di protezioni altre, ed alte, così come ha ricordato più volte l’ex procuratore aggiunto di Palermo, Maria Teresa Principato, che per anni si è dedicata alla ricerca dello storico padrino. Ma Messina Denaro è anche l’ultimo stragista in libertà, e proprio sulle stragi del 1992 e del 1993 potrebbe avere la chiave di numerosi segreti che le stesse portano. Come dimenticare le parole del collaboratore di giustizia Antonino Giuffré che indica nel boss di Castelvetrano il detentore dei documenti contenuti nella cassaforte di Riina? Già questo basterebbe per indicarlo come il vero erede del capomafia corleonese, deceduto un anno fa.
Ma la “vocazione” stragista di Cosa nostra è più che mai presente ancora oggi, tenuto conto che in vita vi sono ancora Leoluca Bagarella, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola o Pietro Aglieri. Ma la lunga lista di boss feroci che hanno messo a ferro e fuoco la Sicilia ed i siciliani è lunga e vede anche figure come Vito Vitale di Partinico, Carlo Greco, Vincenzo Santapaola, Gioacchino Calabrò, Andrea Mangiaracina (che ebbe anche un incontro a quattr’occhi con il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti) ed Aldo Ercolano (per citarne alcuni, ndr). Nomi di peso che anche dal carcere gestiscono gli “affari di famiglia“. E questo è dimostrato anche da altre inchieste giudiziarie.
Il 41 bis non ha impedito ai Graviano di concepire un figlio in carcere né di stabilire chi dovesse essere il rappresentante della famiglia di Brancaccio. In una Cosa nostra che torna ad essere “palermocentrica” il peso di un capomafia che dopo tanti anni resiste in silenzio al “carcere duro” resta ben visibile all’esterno. E’ singolare che i nomi di certi boss non compaiono nelle intercettazioni. Non compare neanche il nome di Giovanni Motisi, storico capomafia di Pagliarelli (lo stesso mandamento di Settimo Mineo) ricercato dal 1998 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage.
In questi giorni è stato ricordato che in alcune intercettazioni tra capimafia si diceva che per vedere “nuova luce” in Cosa nostra si doveva attendere la morte di Riina e Provenzano. Ma sempre in quell’intercettazione, dove a parlare era il capomafia Mario Marchese, si diceva che “non se ne vedono lustro… e niente li frega… ma no loro due soli… ma… tutto u vicinanzo… era sotto a loro… Graviano, Bagarella, questo di Castelvetrano…”.
E a quella corrente appartengono anche boss come i Madonia di Resuttana o i Biondino di San Lorenzo, entrambe con collegamenti diretti anche con ambienti dei servizi di sicurezza, le cui famiglie sono tenute in grandissima considerazione.
I Madonia hanno partecipato a stragi ed attentati come quelli di Pizzolungo, di via Carini (dove morì il generale Carlo Alberto dalla Chiesa) e via Pipitone Federico (dove fu ucciso il giudice Rocco Chinnici), ed anche all’attentato all’Addaura, poi fallito, contro Giovanni Falcone. Ma anche negli anni Settanta si erano resi protagonisti di attentati intimidatori nella città di Palermo e in alcune sedi politiche, anche con la complicità dei Servizi di sicurezza. Delitti che ancora oggi conservano indicibili segreti. Basti pensare all’affermazione fatta da Falcone a Saverio Lodato per cui dietro a quel mancato attentato vi erano “menti raffinatissime“. Segreti che anche i Biondino portano dietro con sé. Di Salvatore Biondino, l’autista di Riina, mi parlò approfonditamente Totò Cancemi non solo indicandolo come uno spietato boss ma anche inserendolo nel gruppo dei soggetti appartenenti alla sfera corleonese in diretto contatto con i Servizi. Appena pochi anni fa, inoltre, collaboratori di giustizia hanno raccontato del progetto di attentato nei confronti del magistrato Nino Di Matteo. Un progetto che vedeva come protagoniste le famiglie dei Biondino, dei Galatolo, dei Graziano, del boss di Porta nuova Alessandro D’Ambrogio, pronte ad accogliere la richiesta inviata con una lettera da Matteo Messina Denaro letta in un summit ristretto. Una missiva in cui si spiegava che il pm doveva essere ucciso perché “si era spinto troppo oltre. Dunque il desiderio stragista è tutt’altro che sopito in seno all’organizzazione criminale.
Tra i capimafia in libertà c’è Giuseppe Guttadauro, appartenente al mandamento di Brancaccio, che oggi vive a Roma e che ha una parentela di peso. Infatti, il fratello Filippo è sposato con la sorella di Messina Denaro e, fino all’arresto avvenuto nel 2006, si occupava degli affari della famiglia di Castelvetrano. Un elemento che mostra ancora come vi sia comunque un asse Trapani-Palermo che non può sfuggire agli analisti.
A questo punto è lecito chiedersi: chi rappresenta davvero questa nuova Cosa nostra? Si è di fronte ad una nuova evoluzione delle scale gerarchiche o c’è una nuova strategia di immersione che passa anche dal “far dimenticare” la componente stragista ed i volti dei suoi protagonisti? Davvero possono essere messe da parte, come se bastasse un colpo di spugna, le famiglie storiche di Cosa nostra? Davvero si può ritenere che questi capimafia, ed i rappresentanti delle loro famiglie possano accettare di farsi “comandare” da una figura come Mineo, sopravvissuto alla guerra di mafia ma a lungo “sottoposto” rispetto a tanti altri uomini d’onore di maggior peso? E’ fatto noto che anche dal carcere, dal 41 bis, certi capimafia hanno continuato a gestire il proprio potere, offrendo non solo indicazioni ma veri e propri ordini tramite i propri familiari. Chi è in carcere, infatti, non è “morto” fisicamente né, tantomeno, “politicamente“. Il conto allo Stato affinché siano rispettati certi accordi del passato è ancora aperto. Basta rileggere alcune delle intercettazioni in carcere (registrate tra febbraio 2016 ed aprile 2017) del boss Giuseppe Graviano con il camorrista Umberto Adinolfi. “Berlusconi – diceva Graviano – quando ha iniziato negli anni ’70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. E poi ancora: “Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta … alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso… e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente“. In un altro sfogo diceva: “Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi“. “Sa che io non parlo – aggiungeva Graviano – perché sa il mio carattere e sa le mie capacità …pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“. “Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia“, concludeva Graviano.
Ma al capomafia di Brancaccio, e agli altri stagisti, è meglio non dare importanza, parlandone il meno possibile. Così, magari, si dimenticano anche i patti segreti tra Cosa nostra e lo Stato.

In foto da sinistra: Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano, Salvatore Biondino e Antonino Madonia

fonte: antimafiaduemila.com