Il ”suicidio” del Sinedrio della magistratura

L’elezione del “renzianissimo” Ermini al Csm
di Giorgio Bongiovanni

ermini davide csm c imagoeconomica
C’era una volta il Consiglio superiore della magistratura, ossia l’organo che assicura l’autonomia dell’ordine giudiziario e a cui compete l’autogoverno dei magistrati ordinari, civili e penali. Negli anni abbiamo assistito al tradimento continuo di questo ruolo e con l’elezione a vice presidente di David Ermini, “renzianissimo” deputato del Pd, sembra quasi di assistere ad una sorta di “suicidio volontario” dell’autonomia e dell’indipendenza, nella scelta dell’unico parlamentare presente su 27 membri del Consiglio. Poteva essere l’occasione per un rinnovamento ma così non è stato.
Nel “Sinedrio” della magistratura, ancora una volta, è andata in scena la pantomima delle correnti e ad avere la meglio è stato quel filone più politicizzato di altri, con Magistratura Indipendente ed Unicost (l’area di destra), affiancati dai capi della Cassazione (sempre rappresentanti di MI ed Unicost), e dallo stesso Ermini che si è autovotato. L’alternativa era data dal docente indipendente Alberto Maria Benedetti, indicato dal Movimento cinque stelle, che ha saputo raccogliere le preferenze dei pentastellati, dei leghisti, dei quattro togati di Area (notoriamente corrente di sinistra) e la corrente Autonomia e Indipendenza, rappresentata dall’ex pm di Milano Pier Camillo Davigo e da Sebastiano Ardita. Quest’ultimi avevano colto l’invito del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che nei giorni scorsi aveva ricordato come i togati non dovessero decidere “secondo logiche di pura appartenenza”.
Era il 1990 quando Giovanni Falcone, intervistato da “La Repubblica”, diceva apertamente che “Il Csm è diventato, anziché organo di autogoverno e garante dell’autonomia della magistratura, una struttura da cui il magistrato si deve guardare… (con) le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica”.
E l’impressione è che sia proprio una lotta politica quella che si è consumata ieri durante il plenum di Palazzo dei Marescialli con l’indipendenza della magistratura che resta, ormai, uno sbiadito ricordo. Tra i soggetti che avrebbero spinto alla “soluzione Ermini” vi era anche Cosimo Ferri, ex leader di Magistratura Indipendente che partecipò ai governi Letta e Renzi in quota FI e che oggi siede in Parlamento quale deputato del Partito democratico. Ma i segnali del condizionamento della politica sulla magistratura non sono una novità. Sono ormai oltre trent’anni che, in maniera unilaterale, la politica attacca la magistratura, accanendosi in particolare contro quella inquirente. E puntualmente il Csm è intervenuto a colpi di provvedimenti disciplinari aperti nei confronti di certi magistrati “scomodi” (dal pm Henry John Woodcock al sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo o il Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, per citare alcuni dei casi più eclatanti).
Nel recente passato il Csm aveva anche mostrato qualche segno di indipendenza e logica nominando magistrati come Cafiero de Raho a capo della Procura nazionale antimafia, Nicola Gratteri come Procuratore capo di Catanzaro, Giovanni Bombardieri come Procuratore capo a Reggio Calabria e Giuseppe Lombardo come procuratore aggiunto dello stesso distretto. Le stesse nomine di Nino Di Matteo e Francesco Del Bene come sostituti procuratori nazionali antimafia e quella di Luca Tescaroli come procuratore aggiunto a Firenze rappresentavano un barlume di speranza e di rinnovamento subito spento.
Affinché si torni ad un Csm che sia veramente organo garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura è necessaria una riforma forte e decisa (così come avevamo già scritto in passato). Una riforma costituzionale che preveda l’abolizione dei membri laici provenienti dal parlamento e designi i togati col sorteggio, anziché seguendo le logiche delle correnti. Correnti che andrebbero abolite in quanto rinsaldano il legame tra politica e magistrato. Se non si avrà il coraggio di effettuare un cambiamento simile ad essere a rischio non sarà solo l’autonomia e l’indipendenza ma anche la libertà dei cittadini. Solo una magistratura sganciata dalla politica potrà essere veramente vigile contro quel potere che mira solo ai propri interessi e che non vuole verità e giustizia.

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fonte: antimafiaduemila.com