I ghiacciai della Novaya Zemlya che si stanno sciogliendo sono radioattivi

Terrificanti rapporti russi sulle conseguenze del riscaldamento climatico nell’Artico

Secondo il giornale norvegese Barents Observer una spedizione scientifica russa in Novaya Zemlya  ha scoperto »grandi concentrazioni di radioattività» e conclude che «i ghiacciai si stanno sciogliendo in mare a velocità record».

Il principale obiettivo dei  ricercatori russi era quello di capire se le centinaia di bidoni pieni di scorie e gli altri rifiuti radioattivi scaricati in epoca sovietica e post-sovietica nel mare di Kara perdessero radioattività. Navigando dal 17 agosto al 20 settembre tra il Mare di Kara e le remote baie lungo la costa orientale della Novaya Zemlya, i ricercatori a bordo della nave da ricerca scientifica Akademik Keldysh hanno concluso che  «Ci sono buone ragioni per continuare a monitorare i container scaricati, ma i risultati preliminari non danno indicazioni di perdite. Tuttavia, soprattutto una chiatta scoperta a 400 metri di profondità, piena di container di rifiuti radioattivi, richiede un’attenzione particolare per il futuro».  Secondo l’agenzia di stampa russa Tass, i filmati sottomarini dimostrano che la chiatta è stata distrutta e alcuni bidoni sono finiti  sul fondale marino.

Ma la cosa più preoccupante è la radiazione scoperta nei ghiacciai che si estendono fino in mare. Il Barents Observerspiega che «Dal 1957 al 1962, nella Novaya Zemlya sono stati effettuati 86 test con bombe nucleari. I test includevano  i più grandi ordigni nucleari mai esplosi, come la cosiddetta bomba Zar da 58 megatoni il 30 ottobre 1961. La maggior parte delle bombe sono state fatte esplodere al di sopra del suolo  nel poligono settentrionale vicino al Matotchin Shar, che divide l’isola settentrionale e meridionale dell’arcipelago. Quando si sono  svolti, la maggior parte delle volte la direzione del vento era verso nord. Sono le conseguenze di questi test che stanno per sciogliersi al mare».

I ricercatori russi hanno prelevato campioni radioattivi  dal ghiacciaio Nally nella baia di Blagopoluchiya, proprio ai confini settentrionali del sito dei test atomici di  60 anni fa e il vicedirettore dell’Istituto di oceanologia russo, Mikhail Flint, ha detto alla Tass che sono stati trovasti «alti livelli di radioattività. Nella Novaya Zemlya, la direzione del vento è tale che la maggior parte dell’inquinamento si accumula sull’isola settentrionale e sulla calotta glaciale del nord. Abbiamo studiato uno dei ghiacciai che potrebbe trasportare questo inquinamento – il ghiacciaio Nally nella baia di Blagopoluchiye, e in questo ghiacciaio abbiamo trovato parti che contengono grandi concentrazioni di radioattività. Non posso dare nessuna stima esatta della scoperta, ma in queste aree del ghiacciaio in movimento sono state trovati livelli  che hanno superato due volte quel livello di base sulla Novaya Zemlya», che è già alto proprio a causa dei test nucleari sovietici.

I ricercatori russi hanno però vedere con i propri occhi la velocità con la quale si stanno ritirando i ghiacciai artici: nel 2014 l’ Akademik Keldysh aveva navigato nella baia di Blagopoluchiye fino al limite  dove il ghiacciaio Vershinsky finisce in mare, oggi quel confine ghiacciato è arretrato di più di 2 chilometri. La maggior parte dell’isola settentrionale della Novaya Zemlya è coperta da ghiacciai che formano banchise sia nelle coste  orientali e occidentali, cioè nei mari di Barents e Kara.   Il Barents Observer fa notare che »Mentre nel Mar di Kara non c’è  praticamente quasi  pesca commerciale, il Mare di Barents ha un’alta produzione biologica e le attività di pesca, in particolare quella di merluzzo, sono di grande importanza sia per la Norvegia che per la Russia».

Proprio mentre veniva lanciato l’ allarme per lo scioglimento dei ghiacci radioattivi della Novaya Zemlya, un nuovo rapporto Rosgidromet  del governo russo dipingeva un’immagine terrificante degli effetti del cambiamento climatico nell’Artico.

«Come se i rapporti sul clima delle Nazioni Unite e del ministero dell’ambiente russo non fossero stati abbastanza gravi – spiega l’ONG scientifica norvegese-russa Bellona – l’agenzia meteorologica federale di Mosca ha dato in seguito una terribile notizia, mettendo in luce i cambiamenti già visibili che il riscaldamento globale sta provocando nell’Artico».

Il rapporto pubblicato dal Rosgidromet,  conferma che nell’Artico continueranno a crescere  le temperature che hanno già infranto record vecchi di decenni. E’ il secondo rapporto allarmante sul clima pubblicato in due mesi emesso da un ente governativo russo, il che potrebbe far sperare che il regime putiniano potrebbe cambiare il suo tradizionale approccio del laissez-faire riguardo al riscaldamento globale.

Rosgidromet dice che «Sopra il circolo polare artico, l’aria è già in media più calda di 2,7 gradi centigradi» ben al di sopra degli 1,5  –  2 gradi Celsius previsti dall’Accordo di Parigi. Si tratta di dati che battono ogni record dal 1936, da quando Rosgidromet ha iniziato a tenere traccia delle temperature. E le cose vanno ancora peggio proprio nella regione del Mare di Kara,  dove negli ultimi 30 anni la temperatura è salita velocemente, facendo registrare circa 4,7° C  in più solo negli ultimi 10 anni.

Come la spedizione scientifica nella Novaya Zemlya, Rosgidromet dice che anche la calotta polare artica si sta restringendo, scendendo a 4,74 milioni di Km2 nel 2017 rispetto a una media di 6 milioni di Km2, anche se il rapporto sottolinea che il livello più basso è stato raggiunto nel 2012 con 3,37 milioni di Km2.

Rosgirdomet è arrivata alle sue spaventose conclusioni analizzando i dati di 250 stazioni meteorologiche e i dati forniti dal suo sistema di boe di meteorologiche posizionate in tutto l’Artico. Le aree più in pericolo comprendono quasi tutta la costa artica  della Russia lunga 6.000 Km, tutti i suoi arcipelaghi maggiori, come la Novaya Zemlya, la terra di Franz Josef e le nuove isole siberiane. mA l’agenzia meteorologica russa evidenzia che  «Gli effetti più sconvolgenti del riscaldamento globale, sono visibili sulla terraferma nella Siberia settentrionale, dove enormi centri industriali e minerari sono in pericolo per la fusione del permafrost». In alcuni posti,  come la penisola di Yamal dove ci sono giganteschi impianti di estrazione di gas, lo spessore del permafrost è diminuito di ben 26 centimetri. A Nadym, un insediamento petrolifero nella Siberia nordoccidentale, il permafrost è calato di 38 centimetri e a Norilsk, dove si trovano le immense fabbriche e fonderie di Norilsk Nickel, lo strato di permafrost si è ridotto del 22%.

Questo è un grosso problema per qualsiasi tipo di infrastruttura e soprattutto per gli oltre 75.000 Km di oleodotti e gasdotti che attraverso la Siberia, molti dei quali potrebbero presto provocare degli sversamenti se il permafrost sul quale poggiano continuerà a sciogliersi.

Gli stessi rischi li dovranno affrontare la rete dei collegamenti stradali e gli edifici, le cui fondamenta cominceranno a corrodersi e si sbricioleranno mano a mano che il terreno diventerà più “soffice”. Ma il rapporto evidenzia che a destare le maggiori preoccupazioni sono i centri industriali che, se iniziano a crollare, «esporranno l’ambiente a sostanze chimiche letali, a rischi biologici e radiazioni».

Intanto, di fronte a questi scenari da disastro ambientale artico, il governo russo non ha trovato di meglio che posticipare al 2020 la sua ratifica dell’Accordo di Parigi. A Bellona fanno presente che «Per giustificare questa posizione, Mosca ha spesso sostenuto che i cambiamenti climatici in inverno porterebbero benefici economici al territorio russo, aumentando la stagione di crescita delle coltivazioni, allungando i mesi durante i quali si può continuare a costruire e sciogliendo il ghiaccio lungo la Northern Sea Route, rendendo possibile la navigazione artica per tutto l’anno. Ma, come suggerisce il rapporto Rosgidromet, tutte le altre catastrofi e le tempeste alle quali il Paese potrebbe essere costretto a far fronte potrebbero mettere in dubbio i vantaggi percepiti».

fonte: greenreport.it