Minacce a Borrometi, condannato Francesco De Carolis

Il direttore de “LaSpia”: “Sono felice. Sentenza storica”
di AMDuemila

borrometi paolo dx c imagoeconomica
Una condanna a due anni ed otto mesi di carcere per per tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso, ai danni del giornalista Paolo Borrometi. E’ questa la decisione dei giudici del Tribunale di Siracusa nei confronti di Francesco De Carolis.
Il pm Alessandro La Rosa, aveva chiesto la condanna a tre anni e 2 mesi per l’imputato, fratello di Luciano De Carolis, ritenuto dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia personaggio di rilievo del clan siracusano “Bottaro-Attanasio”, al quale il direttore del sito LaSpia.it e collaboratore dell’Agi aveva dedicato numerose inchieste.
In particolare De Carolis aveva inviato un file audio al cronista in cui esprimeva pesantissime minacce: “Gran pezzo di m…., appena vedo di nuovo la mia faccia, di mio fratello che oggi è la corona della mia testa, in un articolo tuo ti vengo a cercare fino a casa e ti massacro”.
Prima di riunirsi in camera di consiglio i giudici avevano ascoltato la testimonianza dell’imputato, difeso dagli avvocati Sebastiano Troia e Matilde Lipari, che aveva ammesso i fatti dichiarandosi pentito.
“E’ una sentenza storica: una condanna nei confronti di una persona che minaccia un giornalista, aggravata dal metodo mafioso. Io sono veramente felice – ha commentato Borrometi – Un ringraziamento alle forze dell’ordine e alla magistratura che sin dal giorno della mia denuncia si sono messi al lavoro per scongiurare il peggio nelle intenzioni di De Carolis”. “E’ una liberazione – ha continuato il giornalista – Io non sono un superuomo, ho tanta paura. Spero che a Siracusa, dove in pochissimi denunciano, comprendano che denunciare conviene. E poi per la prima volta il Tribunale di Siracusa, sposando la tesi della Procura e le mie paure, ha confermato che quelle minacce sono state fatte in nome e per conto del fratello, reggente fino a qualche giorno fa del clan Bottaro Attanasio di Siracusa”.
E poi ancora: “A poche settimane da quelle drammatiche intercettazioni dalle quali è emerso che il clan di Pachino organizzava un attentato con un’autobomba contro di me e la mia scorta, questa sentenza penso sia la risposta più importante. Lo so che oggi è una tappa, che ci saranno ancora tanti momenti difficili e di grande paura. So che Cosa nostra non lascia inevase le proprie condanne a morte. Ma il mio sorriso, quello che avrebbero voluto farmi perdere, seppure stanco, è ancora presente, così come la voglia di mettere in luce gli affari mafiosi dei clan che, fra Ragusa e Siracusa, vorrebbero togliere il futuro a tutti noi”.
Sulla sentenza sono arrivati anche i commenti di solidarietà e sostegno di Giuseppe Antoci, Responsabile Legalità del Partito Democratico, del segretario generale e del presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. Per Antoci “l’impegno contro la mafia di Paolo Borrometi deve essere sostenuto senza indugi. Tutti coloro che pensano di intimidire o minacciare i giornalisti, solo perché essi raccontano le mafie o fanno inchieste su di esse, devono sapere che lo Stato in tutte le sue forme, non ultimo l’impegno dei suoi cittadini, sarà sempre e con determinazione a loro fianco. A Borrometi – ha concluso Antoci – auguro di continuare il suo lavoro d’inchiesta con la forza e il coraggio che lo ha sempre contraddistinto”.
Secondo gli avvocati Francesco Paolo Sisto e Roberto Eustachio Sisto, rappresentanti della Federazione nazionale della Stampa italiana che si era costituita parte civile insieme con l’Ordine dei giornalisti questa sarà una sentenza che “farà storia”. “Un giornalista ha avuto il coraggio, in un contesto mafioso, di dire la verità – hanno aggiunto i due legali –. La reazione è stata durissima, ma non tale da impedirgli di continuare a combattere. Oggi questa lotta, grazie anche alla Fnsi, che abbiamo rappresentato quale parte civile, trova ampio riconoscimento in una sentenza che, non è esagerato ritenere, farà storia e segnerà uno degli episodi più fulgidi del giornalismo di inchiesta. La condanna con l”aggravante mafiosa’ costituisce il riconoscimento che nel nostro Paese l’informazione e la giustizia sono più forti di qualsiasi tentativo di intimidazione”.

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fonte:antimafiaduemila.com