Capitale naturale, questo sconosciuto: all’ambiente l’Italia dedica appena lo 0,6% della spesa

Era circa il doppio 8 anni fa. E le imposte ambientali sull’inquinamento sono quasi nulle

di
Luca Aterini

Ogni giorno partecipiamo di quella ricchezza naturale diffusa che permette e sostiene la vita – compresa la nostra –, generalmente senza neanche rendercene conto. Tale valore arriva dall’insieme dei servizi ecosistemici che la natura ci fornisce (dalla purificazione naturale dell’acqua che beviamo o dell’aria che respiriamo, al parco urbano o al paesaggio alpino per passeggiare) attraverso il capitale naturale: l’intero stock di asset naturali – organismi viventi, aria, acqua, suolo e risorse geologiche – che contribuiscono a fornire beni e servizi di valore, diretto o indiretto, per l’uomo e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati.

L’obiettivo che persegue il Comitato per il capitale naturale – istituito dalla legge 221/2015 e presieduto dal ministero dell’Ambiente – è soprattutto quello di rendere visibile a cittadini e policy makers il valore di questi benefici. E proprio in quest’ottica il Comitato ha appena pubblicato il secondo Rapporto sullo stato del capitale naturale in Italia. Se la prima edizione, pubblicata nel 2017, ci informava che il valore complessivo stimato per i servizi ecosistemici in Italia era pari (nel 2015) a 338 miliardi di euro, questo secondo Rapporto analizza il capitale naturale italiano ancora più in profondità. Misurare il capitale naturale (e gli impatti delle politiche su esso) è ormai una necessità ineludibile per la nostra società, perché senza proteggerlo e valorizzarlo perdiamo molto di più di 338 miliardi di euro: perdiamo la vivibilità del Paese. Quanto ce ne stiamo prendendo cura?

Per capire il ruolo e l’attenzione dedicate al capitale naturale e ai servizi ecosistemici a livello di spesa pubblica, nelle decisioni di bilancio e di intervento dello Stato, il Comitato – tra i cui esperti figura anche Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf e firma storica di greenreport – analizza l’ammontare delle spese ambientali occorse nell’ultimo anno disponibile (2016) e l’andamento delle imposte ambientali a partire dal 1980.

Non incoraggia notare che «le risorse destinate dallo Stato alla spesa primaria per la protezione dell’ambiente e per l’uso e la gestione delle risorse naturali ammontano nel 2016 a circa 4,8 Mld €», pari ovvero ad appena lo «0,6% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato». Una cifra già ridotta che tra l’altro è calata in picchiata nel corso degli anni, passando «da 8,3 Mld € del 2010 a 4,8 Mld € del 2016». Eppure si tratta di risorse volte a finanziare partite fondamentali per il Paese: oltre la metà delle risorse (56%), è stata infatti destinata «verso la “protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e di superficie” (32,4%), la “protezione della biodiversità e paesaggio” (12,1%) e la “gestione dei rifiuti” (11,8%)».

È evidente che per mantenere in salute il capitale naturale italiano, continuamente sottoposto a stress dall’attività umana, non è sufficiente stanziare lo 0,6% del bilancio statale. Per incrementare le risorse a disposizione ci sono molte strade, una delle quali passa attraverso le tasse verdi. Le imposte ambientali esistono già, e si suddividono in tre categorie: quelle sull’energia, quelle sui trasporti (che includono anche le imposte sulla proprietà e l’uso dei veicoli) e quelle sull’inquinamento (che sono misurate in relazione alle emissioni prodotte in aria e acqua e riguardanti la gestione dei rifiuti e l’inquinamento acustico). E anche su questo fronte – come documenta il Comitato – rimane molto da lavorare.

L’andamento del gettito delle imposte ambientali è infatti sì crescente a partire dal 1980, fino ad attestarsi ai 58,8 Mld € del 2016, ma si tratta pur sempre dell’8,2% sul totale delle imposte e contributi sociali (e del 3,5% sul Pil nazionale), ma le imposte che hanno come basi imponibili l’inquinamento e l’uso delle risorse naturali sono praticamente nulle. Il loro valore è circa l’1% sul totale.

Per questo tra le raccomandazioni del Comitato spiccano quelle di «attuare il principio Chi-Inquina-Paga in modo da internalizzare nei prezzi i costi ambientali» e di «riorientare il sistema fiscale per ridurre le pressioni sul capitale naturale e sui servizi ecosistemici, consentendo in questo modo di ridurre altre tasse distorsive (ad es., imposte sul reddito)».

Un impegno che non può più attendere, e che dovrebbe offrire a noi cittadini un importante bussola per orientarci tra i programmi elettorali in corsa per le elezioni di domenica: in una democrazia il valore che ognuno dà alla sostenibilità si pesa infatti anche – e soprattutto? – nell’urna.

fonte: greenreport.it