Trattativa Stato-mafia, per la difesa Dell’Utri un ”fantastico mondo”

L’avvocato Centonze chiede l’assoluzione dell’ex Senatore
di Aaron Pettinari


Un’accusa “eccentrica”, per un fatto “penalmente irrilevante”, basata su “ricostruzioni contraddittorie”. Sono questi alcuni dei termini che l’avvocato Francesco Centonze, legale assieme a Giuseppe Di Peri dell’ex Senatore Marcello Dell’Utri, ha usato oggi nella sua arringa a difesa del proprio assisto, già condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Ovviamente nessun accenno è stato fatto a quelle parti in cui la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto che per 18 anni, dal ’74 al ’92 è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra sottolineando la “decisività dell’opera di Dell’Utri nel dare vita all’accordo fonte di reciproci vantaggi dei contraenti” fornendo “consapevolmente e volontariamente un contributo causale determinante che senza il suo apporto non si sarebbe verificato, alla conservazione del sodalizio mafioso e alla realizzazione, almeno parziale del suo programma criminoso, volto alla sistematica acquisizione di proventi economici ai fini della sua stessa operatività, del suo rafforzamento e della sua espansione”. Diversamente sono stati evidenziate le parti per cui i giudici avevano assolto l’ex politico di Forza Italia, con la formula “perché il fatto non sussiste”, per i fatti successivi al 1992.
Ed è con questa stessa formula che il legale chiede oggi l’assoluzione per il proprio assistito (in subordine “per non aver commesso il fatto”), imputato con l’accusa di attentato a corpo politico dello Stato.

Il “nodo” dell’articolo 338
Secondo il legale non c’è la prova che Dell’Utri sia stato “veicolo della minaccia al Governo” e in questo senso l’atto d’accusa dei pm è stato descritto come un “mondo fantastico” che commetterebbe già l’errore nella scelta del capo di imputazione (l’art.338 per “attentato a corpo politico”). Così come in passato avevano fatto i legali di Mori e Mannino, anche Centonze, sposando le tesi di altri giuristi come Fiandaca, avanzando un problema di legittimità costituzionale sul capo di imputazione che, a suo dire, avrebbe dovuto essere quello previsto con l’articolo 289 c.p.p. (“Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali”). Già in apertura di requisitoria il pm Roberto Tartaglia aveva spiegato i motivi che avevano portato alla configurazione del reato tra l’altro come ribadito dalla sentenza della Corte di Cassazione del 2 settembre 2005. Con riferimento all’articolo 338 gli ermellini hanno di fatto sancito che: “Per corpi politici vengono intesi quegli organismi che svolgono una funzione politica, come il Parlamento, il Governo e le Assemblee Regionali, purchè il fatto se configurabile non realizzi l’ipotesi del reato di cui all’art. 289, che sanziona invece la condotta quando essa sia impeditiva e non soltanto turbativa dell’attività del corpo politico minacciato”.

Mancata analisi del 1992
Secondo la tesi difensiva per quel che riguarda il 1992 la posizione di Dell’Utri “non va considerata in quanto al tempo non c’era alcun governo Berlusconi”. Poco importa se ci sono dichiarazioni come quelle di Ezio Cartotto che evidenziava come già nel 1992, “tra l’omicidio Lima e la strage di Falcone”, fosse già viva l’idea della creazione di una nuova forza politica. Alla stessa maniera si sceglie di non affrontare quegli elementi che secondo la prospettazione dell’accusa sarebbero emersi, con il rinnovo delle interlocuzioni con i vertici di Cosa nostra, dopo le carcerazioni di Riina e Vito Ciancimino per poi arrivare alle contestazioni per il periodo che va dalla fine del 1993 al 1994-1995. “A fine ’93 Marcello Dell’Utri si è reso disponibile a veicolare alle istituzioni il messaggio intimidatorio per conto di cosa nostra: cioè stop alle bombe in cambio di norme che avrebbero attenuato il regime carcerario per i mafiosi” aveva detto nella requisitoria il pm Francesco Del Bene. Ma per i difensori del fondatore di Forza Italia non c’è alcuna prova di quell’azione e, qualora vi fosse “agevolare la minaccia e favorire la ricezione non è di per sé un reato”. Centonze accusa i pm di “essere caduti in una trappola mentale” per cui Dell’Utri diventa “il personaggio fondamentale senza il quale non c’è la trattativa”.
In un colpo solo vengono sminuite le dichiarazioni di Brusca sul contatto cercato con Dell’Utri e Berlusconi per il tramite di Vittorio Mangano. Secondo i difensori in quelle dichiarazioni non appare “alcuna componente di minaccia” ma al più “una richiesta di un accordo politico”.
Alla stessa maniera sono stati sminuiti i contributi dichiarativi degli altri pentiti che, a suo dire, “non hanno mai fatto cenno alla trasmissione di un messaggio ricattatorio di Cosa nostra nei confronti del governo Berlusconi”. Poco importa se una schiera di pentiti, da Siino, a Cannella, passando per Totò Cancemi, Nino Giuffré, Calvaruso, Di Filippo, La Marca, Ciro Vara, Malvagna, Monticciolo e Giuliano, ha parlato di Dell’Utri e delle indicazioni di voto, in seno a Cosa nostra, a Forza Italia.

Gli incontri con Mangano
Per il legale di Dell’Utri anche gli incontri tra l’ex Senatore e Mangano non sono provati. Se nella sentenza d’appello in cui l’ex politico viene assolto per i fatti successivi al 1992 si dice che non vi sono sufficienti elementi indiziari per individuare l’esatta datazione degli incontri con Vittorio Mangano resta un dato che è documentale che rappresenta una coincidenza singolare. In un block notes rinvenuto presso la segretaria di Dell’Utri nella sede di Publitalia vi sono due annotazioni. La prima è in data 2 novembre 1993 ed è scritto: Mangano Vittorio sarà a Mi per parlare problema personale”. Nel foglio successivo si aggiunge: “Mangano verso il 30.11”. La Corte d’appello decise di non considerare quegli appunti perché non vi sarebbero ulteriori elementi per stabilire con certezza assoluta che gli incontri si tennero in quei giorni. Certo è che Dell’Utri, interrogato dai magistrati, si giustificò dicendo che “Mangano era solito ogni tanto venirmi a trovare a Milano prospettandomi questioni di carattere personale, spesso attinenti a motivi di salute”.
Ugualmente vengono sminuite le dichiarazioni di Spatuzza sull’incontro nel mese di gennaio, prima del fallito attentato all’Olimpico, con Giuseppe Graviano al Bar Doney, in cui il capomandamento di Brancaccio facendo rifeirmento a Marcello Dell’Utri e a Silvio Berlusconi gli disse che “grazie a loro c’avevamo il Paese nelle mani”. E poco importa se proprio in quei giorni è riscontrata la presenza dell’ex senatore di Forza Italia proprio a Roma, all’Hotel Majestic, vicino al suddetto bar. Una strana coincidenza che fa il paio con l’affermazione di Cartotto che durante l’istruttoria dibattimentale ha dichiarato che in quel periodo Dell’Utri avrebbe frequentato il bar Doney.
Ancora una volta il legale fa ricorso alla Sentenza d’appello Dell’Utri anche se in molteplici processi l’attendibilità delle dichiarazioni di Spatuzza non sono mai state messe in discussione.
Ultimo tema è quello legato agli interventi legislativi che secondo l’accusa dimostrerebbero non solo la percezione della minaccia di Cosa nostra da parte del Governo ma anche il tentativo di dare esecuzione ai suoi desiderata. Per i legali di Dell’Utri non vi sarebbe stato nulla di anomalo nel tentativo di correzione del decreto Biondi, che avviò un’accesissima reazione da parte di Roberto Maroni. Quel decreto, che venne poi ritirato per una questione relativa alla ritenuta mancanza di motivi di urgenza, portò l’allora ministro degli Interni ad intervenire al Tg3 e dichiarare apertamente di essere stato “imbrogliato” e che quella norma era stata inserita a sua insaputa.
Il processo riprenderà la prossima settimana quando sono previste le arringhe dei difensori del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca e di Massimo Ciancimino.

fonte: antimafiaduemila.com