L’ultimo colpo di rasoio alla memoria di Giovanni Falcone

di Saverio Lodato

Caro Giovanni Falcone, tutto avremmo potuto pensare, e prevedere, tranne che, proprio in occasione del venticinquesimo anniversario del tuo sacrificio, insieme a quello di Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani, la Cassazione avrebbe aperto la cella del tuo carnefice, Totò Riina.
Che avrebbe messo nero su bianco che chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.
Che lo avrebbe fatto qualche giorno dopo avere santificato il vostro sacrificio in quel di Capaci, in un lontanissimo 23 maggio 1992.
Che questo nostro Stato fosse quello che è, lo sappiamo da tempo.
E anche tu, caro Giovanni, lo avevi cominciato a capire benissimo quando, all’indomani del fallito attentato dell’Addaura contro la tua persona, mi parlasti apertamente di “menti raffinatissime”.
Da allora quanta acqua è passata sotto i ponti: acqua sempre torbida, inquinata, avvelenata. Nonostante i cittadini chiedessero che scorresse acqua finalmente limpida, cristallina, in materia di mafia e di lotta alla mafia. Ma non c’è verso. E’ uno scenario nero che sembra non cambiare mai.
Eppure tante cose sono cambiate. E lascerebbero ben sperare.
Che la strage di Capaci venga usata da decenni come occasione di parate politiche e istituzionali, la stragrande maggioranza degli italiani dotati di cervello, buon senso, e buona fede, lo hanno capito da tempo. E ne hanno la nausea.
Come hanno capito da tempo che se la Mafia esiste ancora dopo un secolo e mezzo dalla sua nascita l’unica spiegazione sta nel fatto che Mafia-Stato e Stato-Mafia andavano a braccetto mentre facevano finta di farsi la guerra. E a nausea aggiungono altra nausea.
Il che non significa che non esistano tanti magistrati e investigatori che hanno dedicato esistenza e professionalità affinché questa rotta sia invertita. Così come si contano tantissimi rappresentanti delle istituzioni che sono persone per bene.
Ma che dire oggi di fronte a un provvedimento della prima sezione di Cassazione che rappresenta un colpo di rasoio per le vittime di Capaci e per i familiari di tutte le vittime mandate al macello da un Totò Riina oggi “gravemente ammalato”?
Esiste – dice la Suprema Corte – “l’esistenza di un diritto a morire dignitosamente”.
Ma è proprio la scelta di questo avverbio – “dignitosamente” – che stona nel caso di Totò Riina, il quale, sin quando godette di “buona salute”, si comportò da Iena.
Altro sarebbe stato se i giudici avessero ribadito la necessità di curarlo “al meglio” e “sino all’ultimo istante di vita”.
Nessuno può restituire “dignità” a Totò Riina in punto di morte, nemmeno la Cassazione.
Totò Riina, con centinaia, centinaia e centinaia di cadaveri e stragi sulle spalle, non riusciamo a considerarlo “uno di noi”.
Scusateci, per questo.

saverio.lodato@virgilio.it