Bongiovanni: ”Attentato a Di Matteo? Significa colpo di Stato”

Speciale di Radio In col direttore: processo trattativa e condanna a morte Di Matteo
di Francesca Mondin

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“Il pm Nino Di Matteo in questo momento rappresenta, assieme ad altri magistrati, il simbolo dell’Istituzione pulita al servizio della comunità, quindi attaccarlo significa fare un vero e proprio colpo di Stato per fermare il cambiamento”. Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, ai microfoni di Radio In, nel programma “L’altroparlante”, ha spiegato così uno dei motivi per cui è alto il rischio di attentato nei confronti del magistrato Di Matteo, per il quale, secondo le dichiarazioni di alcuni pentiti, sarebbe già arrivato il tritolo a Palermo.
L’instabile situazione politica e sociale che sta vivendo il Paese, assieme alla grande crisi finanziaria possono permettere a “nuove forze politiche, che vogliono cambiare il potere attuale, di emergere. Ecco perché  – ha precisato Bongiovanni – per evitare che il nuovo avanzi, viene organizzato un colpo di Stato”. Un attacco, quello descritto dal direttore, mirato non solo alla singola figura del pm palermitano ma a tutte quelle forze sociali e istituzionali impegnate al miglioramento del Paese. Di qui l’importanza di scendere in campo come cittadini evidenziata dai conduttori radiofonici Mauro Faso e Dario Costantino e da alcuni rappresentanti di Scorta Civica presenti come ogni puntata allo Speciale andato in onda ieri sera alle 20.45.

Perché Di Matteo dà così fastidio?

 

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A novembre 2014 Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta, inizia a collaborare e rivela che Matteo Messina Denaro ha chiesto alle famiglie mafiose di Palermo di assassinare Nino Di Matteo perché si è spinto oltre” ha spiegato Bongiovanni. “Negli interrogatori Galatolo – ha continuato a raccontare il direttore –  dichiara anche che il tritolo a Palermo è arrivato e che lo stesso Matteo Messina Denaro ha garantito che questa volta sono protetti dall’alto”.  Questo è solo l’ultimo fatto che ha messo nero su bianco l’intenzione di Cosa nostra contro il Pm palermitano. Bongiovanni ha ripercorso la lunga lista di minacce e intimidazioni rivolte ai magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia, senza dimenticare la condanna a morte contro Di Matteo, lanciata dal boss Totò Riina dal Carcere di Opera.
Perché così tante minacce al magistrato palermitano? Cosa significano le parole di Galatolo “è andato oltre”? Di Matteo con Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, rappresentano la pubblica accusa al processo trattativa Stato-mafia, “un processo storico – ha detto Bongiovanni – perché vede alla sbarra i boss mafiosi del calibro di Riina, Bagarella ed altri, assieme a uomini  della vecchia politica, al potere negli anni ’92  ’93, e politici come Marcello Dell’utri che ha preso il potere dopo le stragi, oltre che alti ufficiali dei carabinieri”.
Quello che sta emergendo dal processo è che “la mafia attacca lo Stato e inizia ad uccidere i vecchi interlocutori politici, come Lima, perché non avevano mantenuto le promesse con il maxi processo, e questi per paura cercano un accordo con la mafia. – Ha spiegato Bongiovanni, cercando di bongiovanni radioin2riassumere il complesso quadro della Trattativa Stato-mafia – poi scendono in campo  nuovi interlocutori, i politici come Dell’Utri”. Nel mezzo avvengono le stragi del ’92 e ’93 dove morirono Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e molti altri innocenti. “Io credo – ha continuato Bongiovanni – che Borsellino fosse venuto a conoscenza di questo accordo e si fosse opposto, ecco forse l’accelerazione della strage in via D’Amelio”. “Strage per la quale – ha aggiunto – ci sono state anche altre causali esterne alla mafia”. Un processo con temi complessi insomma, le cui indagini “continuano nella ricerca di altre verità scomode che forse coinvolgono altri personaggi delle istituzioni e dove si toccano fili di potere ancora oggi in mano a politici all’epoca al governo”.

L’isolamento
La storia insegna che la mafia colpisce soprattuto chi è lasciato solo. A far temere una nuova strage, secondo Bongiovanni, è anche l’isolamento nel quale spesso Di Matteo si è trovato, dagli ostacoli incontrati nel concorrere alla Direzione Nazionale Antimafia all’ultima proroga per il ruolo appena ottenuto alla Dna. Proroga voluta dal Procuratore capo di Palermo Lo Voi e concessa dal Ministro della Giustizia con l’avvallo del Csm e del procuratore nazionale antimafia. “Secondo Lo Voi – ha spiegato Bongiovanni –  è più sicuro per Di Matteo restare altri sei mesi a Palermo piuttosto che seguire il processo trattativa da Roma con i relativi spostamenti, a nostro giudizio invece, in questo modo Di Matteo, dovendosi occupare anche di altri processi minori, non può dedicarsi completamente al contrasto alla mafia, cosa che avrebbe potuto fare se trasferito direttamente alla Dna a Roma, lontano da dove Galatolo ha detto essere arrivato il tritolo”.bongiovanni radioin4Anche la stampa ha un ruolo importante nell’isolare o sostenere il lavoro di chi è impegnato nel contrasto alla mafia ed alla corruzione. Per isolare qualcuno “si possono far tacere alcune notizie perché scomode al potere – ha spiegato il direttore – oppure peggio ancora, manipolare la verità”. Nel caso della “trattativa Stato-mafia ad esempio – ha detto Bongiovanni – molti giornali scrivono presunta trattativa, quando invece c’è una sentenza definitiva della Cassazione di Firenze che dice chiaramente che la trattativa c’è stata”. In Italia, secondo Bongiovanni difficilmente a livello nazionale c’è un’informazione libera: “un giornalista di grandi testate, spesso deve accettare le condizioni che impongono i finanziatori del giornale, che sono grandi gruppi di potere come le banche, se non addirittura le mafie stesse, come evidenziano gli ultimi accertamenti giudiziari della procura di Reggio Calabria”.

fonte:antimafiaduemila.com