World Happiness Day, la Norvegia è il Paese più felice del mondo. Repubblica Centrafricana la più infelice

Italia insoddisfatta al 48esimo posto, una (in)felicità sostanzialmente stabile

di
Umberto Mazzantini

Oggi è il World Happiness Day e l’Onu ha pubblicato il quinto “World Happiness Report, il Rapporto Mondiale sulla Felicità, che classifica 155 Paesi in base al loro livello di felicità, e sottolinea che questo documento «continua a guadagnare riconoscimenti a livello mondiale mentre governi, organizzazioni e società civile utilizzano sempre più gli indicatori di felicità per orientare le loro decisioni politiche». Oltre alla classifica, la relazione di quest’anno include un’analisi della felicità sul luogo di lavoro e un approfondimento su Cina e Africa.

Il Rapporto mondiale sulla felicità 2017 esamina le tendenze nei dati che registrano come le persone valutano la loro vita su una scala che va da 0 a 10. La classifica fornisce un punteggio medio di 5.1 (su 10). Sei variabili chiave concorrono a spiegare tre quarti della variazione annuale nei punteggi nazionali medi nel tempo e tra paesi: Pil reale pro capite, aspettativa di vita, avere qualcuno su cui contare, libertà percepita nelle scelte di vita, assenza di corruzione e generosità.

Jeffrey Sachs, direttore del Sustainable development solutions network, sottolinea che «il Rapporto mondiale sulla felicità continua ad attirare l’attenzione mondiale sulla necessità di creare una saggia politica per ciò che conta di più per le persone – il loro benessere. Come dimostrato da molti Paesi, questo rapporto prova che la felicità è il risultato della creazione di solide fondamenta sociali. È il momento di costruire fiducia sociale e una vita sana, non pistole o muri. Responsabilizziamo i nostri leader verso questo fatto».

Da questa analisi il Paese più felice del mondo risulta stavolta la ricchissima Norvegia (punteggio 7,537), che risale tre posizioni rispetto al 2016 e scavalca la Danimarca (7,522), che ha troneggiato al primo posto per 3 degli ultimi quattro anni. A completare il resto della top ten sono Paesi con alti livelli di reddito e un buon stato sociale: Islanda (7,504), Svizzera (7,494), Finlandia (7,469), Olanda (7,377), Canada (7,316), Nuova Zelanda (7,314), Australia (7,284) e Svezia (7,284). Gli Stati Uniti si classificano 14esimi (6.993, nel 2016 erano 13esimi), mentre la Cina è 79esima a 5, 273 punti

L’Italia resta ferma ad un mediocre e sconsolante 48esimo posto (5, 964 punti), anche se risale due gradini rispetto al 50esimo posto dove veniva collocata nella scorsa edizione del rapporto: una (in)felicità sostanzialmente stabile.

Chiudono la classifica due Paesi africani devastati dalla guerra civile: Repubblica Centrafricana (2,693 punti) e Burundi (2,905), preceduti da Tanzania (3,349), Siria (3,462)e Rwanda (3,471).

Il rapporto fa notare che «nonostante i recenti cali del prezzo del petrolio, di cui è ricca, la Norvegia ha comunque raggiunto il primo posto, dimostrando ancora una volta che la felicità dipende più da altri fattori che dal reddito». Per John Helliwell dell’università della British Columbia, quello norvegese «è un esempio perfettamente calzante. Scegliendo di produrre petrolio responsabilmente e investendo i profitti a beneficio delle generazioni future, la Norvegia si è protetta dai volatili saliscendi di molte altre economie di Paesi ricchi di petrolio. Questa enfasi sul futuro anziché sul presente è facilitata da elevati livelli di fiducia reciproca, obiettivi condivisi, generosità e buona gestione. Tutti questi elementi si trovano in Norvegia, così come negli altri paesi in cima alla classifica».

Il World happiness day 2017 è particolarmente attento alle basi sociali della soddisfazione, in particolare alla felicità sul posto di lavoro: «Le persone tendono a trascorrere la maggior parte della loro vita al lavoro – sottolinea Jan-Emmanuel De Neve, della Saïd business school dell’università di Oxford – quindi è importante comprendere il ruolo dell’occupazione e della disoccupazione nel plasmare la felicità. La ricerca rivela che la felicità differisce considerevolmente a seconda dello stato di occupazione, del tipo di lavoro e dei settori industriali. Le persone con ruoli ben retribuiti sono più felici, ma i soldi sono solo una delle misure predittive della felicità: l’equilibrio vita-lavoro, la varietà del lavoro e il livello di autonomia sono altri fattori rilevanti. C’è una netta distinzione nella felicità tra i colletti bianchi e le tute blu, con i manager o professionisti che valutano la qualità della loro vita a un livello molto superiore rispetto alle persone impiegate nei lavori manuali, anche dopo aver depurato eventuali possibili fattori di confusione».

Il rapporto evidenzia anche i fattori personali che condizionano la felicità, e Layard sottolinea un fatto rilevate, considerando anche i dati sulla crescente diffusione della depressione resi noti dall’Oms: «Nei Paesi ricchi la più grande causa di infelicità è la malattia mentale».

fonte: greenreport.it