Escobar jr: mio padre si ispirò a Riina e Cosa nostra

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di Jean Georges Almendras e Matías Guffanti

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Scagliandosi letteralmente (e letterariamente) contro la continuità che vuole che ogni figlio debba doverosamente seguire i passi del padre, come modello della propria vita, il figlio del più grande – e mediatico – narcotrafficante degli ultimi tempi – principalmente del Sud-America, negli anni ’80 e ’90 – Juan Pablo Escobar (o Sebastián Marroquín) ha presentato il suo recente libro “Pablo Escobar: In Fraganti. Lo que mi padre nuca me contó” nella città di Buenos Aires. Una pubblicazione che dà il via libera alle riconciliazioni di pace, ma allo stesso tempo – per il suo contenuto e le sue rivelazioni – apre le porte alle restrizioni, come quella di non poter mettere più piede negli Stati Uniti. Il motivo? Nel libro racconta che suo padre lavorava per la Cia vendendo cocaina per finanziare la lotta contro il comunismo in America Centrale.
A 39 anni (ne compirà 40 il prossimo 24 febbraio), Escobar jr, primogenito del capo narco, risiede in Argentina vicino alla sua famiglia. Architetto di professione e designer industriale, decide di ribaltare la situazione rispetto allo stigma di essere un Escobar, e dopo aver cambiato la propria identità (come hanno fatto sua sorella e sua madre), si appresta a stupire il mondo intero presentando nel dicembre del 2009 il documentario biografico “Pecados de mi padre”, spezzando così la catena della spirale mafiosa nella quale è cresciuto fino al momento di uscire dalla Colombia, trasformandosi in un “Escobar antimafioso”, pur senza rinnegare l’affettività paterna, che valorizza e riconosce in ogni momento, nonostante la più che evidente discrepanza con il ruolo criminale del padre.
Cinque anni dopo esce il suo libro “Pablo Escobar, mi padre”, per arrivare al suo più recente lavoro “Pablo Escobar: In Fraganti. Lo que mi padre nuca me contó”. Ed è proprio la presentazione di questo libro che ci porta a Buenos Aires, all’Auditorio BajaLibros, il pomeriggio del 16 Febbraio. In questa occasione Escobar jr ha dichiarato pubblicamente che suo padre si ispirava a Cosa Nostra per i metodi violenti che utilizzò in Colombia negli anni del terrore.
Nemmeno il più esimio romanziere avrebbe mai immaginato il primogenito del “Patrón del Mal”, a quasi 24 anni dalla sua morte, abbracciare una causa opposta alla traiettoria paterna, seduto di fronte ad un pubblico a cui parla delle storie dei suoi nemici, tema trattato nel suo ultimo libro. Nemici che ha cercato espressamente per incontrarsi con loro, personalmente o tramite skype: “Ho ritenuto che la cosa più giusta e più diretta per raccontare e chiudere la vera storia di Pablo Escobar è giustamente dare voce a coloro che lo hanno affrontato e che gli sono sopravvissuti, come nel caso di Ramón Isaza e dei suoi figli. E sentire dalla voce dei figli che dobbiamo guardare in avanti, che non dobbiamo rimanere intrappolati nel passato, dobbiamo superarlo. Dobbiamo andare avanti”.
E andare avanti, non rimanere ancorati nel passato e guardare oltre, per Juan Pablo Escobar (come lui stesso dice alla stampa ripetutamente) è una costante, una filosofia di vita, perché dopo la proiezione del documentario “Los pecados de mi padre”, la vita del figlio del narco più temuto della Colombia e della regione – immortalato in diverse serie televisive – è cambiata in modo eclatante.
Ricorrendo a tutte le risorse di promozione e marketing, ed alle reti social, Juan Pablo Escobar/Sebastián Marroquín, tiene conferenze e presenta i suoi libri: “Ho diritto ad una nuova opportunità. Mi sento responsabile dei peccati di mio padre. Io chiedevo a mio padre di non mettere bombe”.
Nelle presentazioni del suo libro e nelle conferenze pubbliche, approfondisce come la sua proposta letteraria mira a far prendere coscienza che la strada scelta da suo padre non è – e non era – la più esemplare e che lui, come figlio, non volle seguire la sua stessa traiettoria.
pablo escobar in fragrantiDurante la presentazione del suo ultimo libro ha raccontato al pubblico le diverse circostanze che lo hanno visto incontrare alcuni dei più acerrimi nemici del padre, come Ramón Isaza, Willian Rodriguez Orejuela ed il figlio di Barry Seal e ha puntualizzato che nel progetto ci sono storie vere, di tutti quei personaggi, mostrando le due facce della medaglia.
Juan Pablo Escobar ha detto che ci sono stati dialoghi con “quelli che hanno la possibilità di dirmi se sto sbagliando o no, dirlo a me direttamente. Perché credo che è il modo migliore di costruire queste storie, raccontandole, e quindi raccogliere altre esperienze. Io credo che siano tanti i fatti accaduti e le testimonianze che ci permettono di riconciliarci anche da fronti opposti o, diciamo, settori politici, perché è chiaro che il paramilitarismo è completamente legato all’ultradestra in Colombia, mentre nel caso di M 19 è ovvio che stiamo parlando della sinistra. Ad esempio Willian Rodríguez pubblicò un libro dal titolo “No elegí ser el hijo del cartel de Cali” (Non ho scelto di essere il figlio del cartello di Cali, ndr). E lui riconosce il suo legame con l’organizzazione di suo padre, con il Cartello di Cali. Amministrava l’area politica di quel Cartello ed era l’addetto a gestire le tangenti per i politici. Era lui l’incaricato di incontrarsi con tutti i politici che davano sostegno totale ed assoluto al Cartello di Cali. Racconto questo dialogo, perché fu un incontro tremendo. Un incontro che avrebbe dovuto concludersi con gli spari,  ma non fu così, perché abbiamo parlato tramite skype per l’impossibilità di incontrarci fisicamente. Lui non può uscire dagli USA ed io, dopo la pubblicazione di questo libro, per il resto della mia vita non posso andare da lui. Questo libro rappresenta anche una rinuncia al mio visto. A maggior ragione adesso nell’era di Trump. Quindi ho avuto la possibilità di parlare con Willian Rodríguez e lui ha riconosciuto il mio lavoro per la pace, l’atteggiamento che ho assunto di fronte alla vita, di non continuare le orme di mio padre e di non trasformarmi in un Pablo Escobar 2. Io dico che il mio treno è già passato ed è troppo tardi. Ho, sommando i due libri, oltre 700 pagine di ragioni per le quali io ho fatto la mia scelta. In questo racconto diciamo che Willian Rodríguez riconosce per la prima volta la paternità intellettuale di suo padre e di suo zio, nell’attentato all’edificio Monaco che alcuni mezzi di comunicazione della Colombia ricordano come la risposta di tutti gli attentati che fece mio padre, quando in realtà la notizia fu tergiversata molto convenientemente. La verità è che rappresenta il primo attentato che dà inizio al grande narco-terrorismo nella storia della Colombia. Il 3 gennaio 1988, alle cinque e tredici del mattino, esplode un’autobomba con 700 chili di dinamite che distrugge i vetri della città nel raggio di un chilometro e siamo rinati quel giorno. Allora per me è stato molto rivelatore sentire Willian Rodríguez, riconoscere totalmente la paternità e la responsabilità della sua famiglia in un fatto per il quale persino io fui obbligato a negare quella paternità”.
Mettendo insieme i vissuti personali e gli incontri con i nemici del padre il libro ha preso forma. Una linea di denuncia, a maggior ragione quando afferma che il padre lavorava per la DEA, spiegando nel dettaglio questo legame.
Nel raccontare l’intensa vita del massimo capo del Cartel di Medellín – dice il figlio Juan Pablo – non sempre si parla di violenza, ci sono anche fatti ed episodi di diversa natura, e non mancano barlumi di speranza. Una di quelle storie, dove la realtà si scontra con epiloghi inaspettati, riguarda un pilota informatore della DEA. Si tratta di Barry Seal, che strinse vincoli con Pablo Escobar abbandonandolo in seguito per accumulare denaro, lavorando come spia. Fu lui ad ottenere le prime foto che legavano il Cartello di Medellin al governo sandinista di Nicaragua. E non appena Pablo Escobar fu a conoscenza del suo tradimento ne ordinò la morte.

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“Ho parlato con suo figlio Aron Seal in Messico nel 2016, gli ho fatto leggere il capitolo e ha riscontrato un ritratto verace di suo padre. Barry Seal era senza protezione. C’è stato un complotto per facilitare il suo assassinio. Lo dimostro nel libro. La famiglia Seal mi ha mandato degli auguri di Natale. E con Aron Seal ci lega un’amicizia, abbiamo perfino fatto una conferenza insieme per i giovani”, racconta Juan Pablo Escobar. E riguardo il tesoriere del padre (del Cartello de Medellín), alias “Quijada” ci dice: “È stato perseguitato più di mio padre”, “viveva nel lusso”. “L’ho visto in Colombia totalmente impoverito”.
Sicuramente questo secondo libro, di per sé, non è sufficiente per far conoscere la profondità del messaggio del suo autore alla società colombiana e mondiale. La storia di suo padre ha devastato vite, violenze che hanno lasciato l’impronta. Storie che hanno superato limiti inimmaginabili. E quelle “due facce della medaglia” presentate dal figlio del boss del Cartello di Medellín racchiudono sicuramente anche vissuti di minore importanza rimasti fuori dalle pagine dei due libri pubblicati. Storie che rimarranno anonime, o forse materiale per un terzo libro?
Il voluminoso curriculum criminale di un bandito che ha insanguinato, stravolto, colpito,  destabilizzato la Colombia in quei giorni, che ha coinvolto anche il nucleo familiare degli Escobar, può indurci a ritenere in buona fede che la scelta degli involontari protagonisti di quegli anni aprirà le menti delle generazioni future? E le acque che scorreranno sugli eventi accaduti, a volte anche torbide e agitate, permetteranno di conoscere aspetti differenti di un uomo che coraggiosamente (e in coscienza), mette le carte sul tavolo, in un tempo carico di intrighi, conflitti e rivelazioni? Scommettiamo, onestamente, che si apriranno molte menti e molte strade, ma non scartiamo la possibilità che se ne chiudano altre. Sono le regole del gioco di chi scommette per costruire, portando un cognome come quello di Escobar. Una scommessa fatta a costo di sangue e piombo, con un compito pacificatore, in un’inevitabile contesto di ricerca (e denuncia) della verità, da cercare nelle viscere stesse di una società, culturalmente violenta, e di una famiglia paterna dove non sono stati pochi i tradimenti e le lotte interne.
“È stato duro vedere mia nonna. La famiglia di mio padre vive ancora, anche se lo hanno consegnato” – dice Juan Pablo Escobar. Ed aggiunge: “tutti i giorni li perdono, li perdono sistematicamente, perché i loro attacchi sono sistematici. Roberto, suo fratello (di Pablo Escobar, ndr), era informatore della DEA e contribuì alla sua morte”.  
Il figlio del “Padrone” non risparmia critiche a suo padre o, per meglio dire, alla sua condotta criminale. Al punto che, rispondendo ad una delle domande sul possibile vincolo con i capi mafiosi siciliani di Cosa Nostra negli anni ‘80 e ‘90, fa delle rivelazioni che dimostrano come Pablo Escobar conoscesse perfettamente il contesto mondiale e non fosse per niente isolato o distanziato dalle realtà criminali di altre latitudini.
“Mio padre si è suicidato sul tetto. Non ha permesso che lo ammazzassero. I medici forensi furono minacciati e dovettero modificare i report delle autopsie”, ha detto Juan Pablo Escobar, insistendo su una verità, che non si trova nei libri e nelle serie tv. Non è nemmeno presa in considerazione, ma tergiversata; è il cliché che conviene rimarcare, per il presente e per il futuro. Non si aspettava  certamente che un giorno il primogenito degli Escobar avrebbe intrapreso la strada delle rivelazioni e delle riconciliazioni.

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“Vivrò e morirò aggrappato alle bandiere della pace. Come uomo di pace creerò coscienza in questo senso per rispetto alle vittime della violenza e per rispetto al nostro paese. Gli uomini di pace sono apolitici. Non mi attrae la politica. Non mi lascio sedurre dalla politica, che da sempre è un gioco sporco. Mio padre è stato il padre migliore del secolo ed il bandito più pericoloso del secolo” afferma Juan Pablo Escobar.

“Mio padre era un seguace di Totó Riina”
“Mio padre era un osservatore e seguace di Totó Riina e chiaramente ha imparato da lui i suoi metodi violenti”
, ha detto il figlio di Pablo Emilio Escobar Gaviria parlando dell’ammirazione che suo padre nutriva per la mafia italiana di Cosa Nostra. Lontano dall’essere una coincidenza, Sebastián Marroquín ha spiegato che gli omicidi selettivi, le bombe, i sequestri e altre attività compiute dal Cartello di Medellín negli anni ‘80, sono stati una ripetizione letterale e rimarcata della pressione che il capo della mafia siciliana esercitava sullo Stato in quegli stessi anni.
“Non sbaglio quando dico che la capacità di mio padre di sfidare lo Stato colombiano l’ha imparata da Totó Riina” ha detto Escobar affermando di conoscere molto da vicino la storia del mafioso, perché suo padre gli parlava continuamente di lui. Ed ha aggiunto: “Noi come famiglia, ed io come figlio, ci sedevamo a leggere le notizie di Totó Riina e vedevamo cosa era successo a Giovanni Falcone e anche gli altri omicidi e tutta la strategia terrorista che iniziò ad adottare per sottomettere le autorità”.
“In quell’epoca, per quello che io capisco, la mafia italiana era dentro gli Stati Uniti ma non voleva avere a che fare direttamente con il traffico di droga, c’era un altro tipo di attività mafiose che portavano avanti, perché consideravano che gli stupefacenti avrebbero portato loro molti più problemi, come in realtà alla lunga successe. Nacque una divisione tra quelle organizzazioni mafiose italiane che ritenevano che bisognava continuare a non invischiarsi in quel commercio, e questo avrebbe garantito loro tranquillità e libertà, e quelle altre fazioni che invece volevano farlo e pensavano che non dovevano rimanerne fuori, considerando la loro immensa capacità di distribuzione”, ha spiegato Marroquín.
Con uno sguardo critico alle investigazioni degli Stati Uniti, che lungo la storia scoprono unicamente narcos latinoamericani, con rare eccezioni, il figlio di Pablo Escobar non si è risparmiato di denunciare il legame tra suo padre ed i nordamericani: “A quell’epoca, ed ancora oggi, negli Stati Uniti, c’era e c’è un gran deficit di narcotrafficanti. Cioè, ci sono più  consumatori di droga che narcotrafficanti con la capacità di fornire il prodotto che disperatamente chiedono. È per questo che il suo principale cliente era gli Stati Uniti”.
“In quel periodo mio padre aveva un’organizzazione che gli portava la droga dentro gli Stati Uniti, gliela comprava un nordamericano. Un caso concreto è quello di Max Mermelstein, uno dei pochi narcotrafficanti statunitensi riconosciuti, e già il narco latinoamericano ritornava felice con il suo guadagno, e non si interessava oltre”, ha segnalato Juan Pablo Escobar, dando così, con la sua testimonianza diretta, la complessità di un commercio che non si limita alla droga, ma è un sistema criminale integrato, mondiale, che coinvolge cartelli, mafie internazionali, eserciti, governi, servizi segreti e qualsiasi organismo di sicurezza.

Foto: Alicia Conti e BajaLibros

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Fonte:Antimafiaduemila