Strage di via d’Amelio: la videocassetta scomoda

Intervista-video all’interno!
di Giorgio Bongiovanni

“Io voglio vincere le prossime elezioni con il centrodestra”. Sono parole che Silvio Berlusconi pronuncia non a margine della campagna elettorale del 2008 o del 2001, ma pochi giorni fa in riferimento alla richiesta del sistema proporzionale. Una provocazione bella e buona se si pensa che alle spalle l’ex Presidente del Consiglio ha non solo condanne definitive (Processo Mediaset) o reati per cui è intervenuta la prescrizione (Lodo Mondadori, All Iberian 1, Finivest, processo Lentini, corruzione dell’avvocato Mills, processo Unipol) ma anche le ombre delle stragi del ’92 e ’93 e dei mandanti esterni, nonchè il legame a doppio filo con il condannato Marcello Dell’Utri (per concorso esterno in associazione mafiosa) nonostante la posizione dell’ex Cavaliere sia stata archiviata per quei procedimenti. Eppure, scrive la Cassazione nelle motivazioni della condanna a carico di Dell’Utri, è proprio grazie all’amico Marcello che Berlusconi ebbe rapporti indiretti con Cosa nostra.
Oggi l’animale politico di Arcore annuncerebbe una nuova discesa in campo. Nessuno, però, dal presidente Mattarella fino all’ultimo cittadino, protesta per la sua incandidabilità prima di tutto morale. Il pensiero ritorna così a quelle ombre, a quelle circostanze mai totalmente spiegate. Ce lo ricordano anche le parole di Paolo Borsellino nella sua intervista-testamento ai due giornalisti dell’emittente francese Canal Plus, mai andata in onda e per la prima volta mostrata su Rainews24 in uno speciale del 19 settembre 2000. In quell’ultima intervista, concessa da Borsellino due giorni prima della strage di Capaci e 59 prima di quella di via d’Amelio. Già all’epoca, Borsellino spiegava i contatti tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, e lo stalliere-mafioso di Arcore Vittorio Mangano.
Quel dialogo è stato acquisito nel 2002 dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, nel processo per la strage di via d’Amelio, che l’ha inclusa tra le cause che portarono Totò Riina a uccidere Borsellino a soli 57 giorni dall’assassinio di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta. Secondo i giudici della corte nissena presieduta da Francesco Caruso, si legge nelle motivazioni della sentenza, Borsellino “pur mantenendosi cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da segreto o riservate, consultando alcuni appunti, forniva indicazioni sulla conoscenza di Mangano con il Dell’Utri e sulla possibilità che il Mangano avesse operato come testa di ponte della mafia in quel medesimo ambiente”. Pertanto non si può escludere, prosegue la sentenza della corte d’assise d’appello, “che i contenuti dell’intervista siano circolati tra i diversi interessati, che qualcuno ne abbia informato Riina e che questi ne abbia tratto autonomamente le dovute conseguenze, visto che questa Corte ritiene… che il Riina possa aver tenuto presente, per decidere la strage, gli interessi di persone che intendeva ‘garantire per ora e per il futuro”. Cioé Berlusconi e Dell’Utri. Per questo l’ultima intervista di Borsellino è “il primo argomento che spiega la fretta, l’urgenza e l’apparente intempestività della strage. (Bisognava) agire prima che in base agli enunciati e ai propositi impliciti di quell’intervista potesse prodursi un qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario”. Parole e materiali poi acquisiti nel quarto capitolo del processo sulla strage di via d’Amelio ma discussi marginalmente nel dibattimento ormai quasi giunto alla sua conclusione, nonostante sia scritto nero su bianco che quell’intervista fu tra le ragioni che portarono ad un’accelerazione della condanna a morte per Borsellino, in quanto il giudice fece i nomi di coloro che rappresentavano il nascente partito Forza Italia nei confronti del quale Cosa nostra nutrì delle aspettative politiche. Che Paolo Borsellino avrebbe potuto impedire.

Foto © Reuters

Fonte:antimafiuadumila