Steve Bannon, il segugio infernale del trumpismo rampante

DI ROSANNA SPADINI

comedonchisciotte.org

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Il logo ufficioso di Breibart News è un animale di inusitata ferocia, un tasso africano ghiotto di miele e il suo motto: honey badger don’t give a shit  (il tasso del miele se ne fotte). Dall’inizio della presidenza Trump il sito destina l’aggiornamento in tempo reale dei primi 100 giorni del presidente, monitorando con assiduità la rivoluzione del trumpismo. Con Steve Bannon il sito Breitbart News è diventato la nuova frontiera della comunicazione della destra americana, dove un gruppo di giovani redattori ha lavorato con passione ideologica alla diffusione delle notizie.

Di lui bloomberg.com dice che è il giornalista politico più pericoloso d’America … ma Bannon ha imparato l’arte del titolo gridato e della caccia allo scoop anti liberal alla scuola di Andrew Breitbart. Il sito infernale farà esplodere gli scandali della Clinton: le e-mail del server privato, le primarie taroccate, gli scandali sessuali di Weiner, il marito di Huma Abedin, ma soprattutto il video divenuto virale Clinton Cash, la False Philanthropy della famiglia Clinton, di proporzioni epiche.

Lo stratega della comunicazione Bannon ha garantito la vittoria a Donald grazie alle sue abilità incendiarie  nel  giornalismo di frontiera, martellante sui principi base della nuova ideologia della destra conservatrice «dio, patria, identità, lavoro e famiglia».

detroits-rust-beltLo ha fatto vincere screditando soprattutto le disfunzioni sociali prodotte dalla globalizzazione: immigrazione selvaggia, delocalizzazione di industrie, perdita di posti di lavoro per gli operai delle città del Midwest e del Nordest statunitensi come Cleveland, Detroit, Flint, Youngstown, Buffalo, un tempo fucine di benessere e speranze, ex capitali industriali della Rust Belt, che oggi vivono un’agonia economica, sociale e demografica di proporzioni gigantesche, dove «le condizioni di vita di popolazioni discriminate, impoverite e marginalizzate» sono state spinte al limite, dove «nei deserti urbani della Rust Belt, curarsi e fare la spesa, studiare e spostarsi, lavorare e andare al cinema è diventato incredibilmente difficile, talvolta impossibile», ci racconta Alessandro Coppola nel suo saggio Apocalypse Town: Cronache dalla fine della civiltà urbana.

E poi la rabbia del sito si fa interprete della crisi dell’identità bianca contro le minoranze etniche che hanno invaso il Paese, contro il potere finanziario che governa incontrastato e danneggia l’interesse dei cittadini, contro la perdita dei diritti sociali e la politica liberal della sinistra, che ha provocato un disastro culturale e sociale.

breitbart-ha-elogiato-la-campagna-di-donald-trump-per-lassunzione-di-stephen-bannonNemico della globalizzazione e della deriva socio culturale della società americana, che ha visto le minoranze conquistare spazi a scapito dei bianchi, Bannon si è convinto che stia nascendo e crescendo «un movimento globale anti establishment contro la classe politica»,  che non è solo americano, ma occidentale, tant’è che riconosce un legame molto profondo anche con i partiti europei che stanno guidando l’avanzata nazional-populista. La presenza di Nigel Farage, leader del partito anti europeo britannico Ukip, tra i primi a incontrare Trump dopo l’elezione, è un significativo segnale. In questo si distingue da quei gruppi neonazisti o Ku Klux Klan, che rappresentano solo iconografie fascisteggianti, e dimostra interesse pragmatico e affaristico.

Infatti più che un ideologo, Bannon è uno stratega, disposto a sottoporre l’ideologia alla funzionalità degli affari politici, e naturalmente è stato abilissimo nel demolire la Clinton e nell’avvicinare un pubblico nuovo, che tendenzialmente non votava per Trump. Lui stesso rifiuta l’accusa di xenofobia e si definisce piuttosto un nazionalista economico. Sostanzialmente Bannon ha moltiplicato i clickbait del suo sito d’informazione, proponendo un valido dibattito e confronto per gli alt-right, gli appartenenti a un pensiero di destra alternativa al Grand Old Party (GOP) dei repubblicani tradizionali.

bannon ledeL’idea di fondo di Breitbart è quella per cui non occorra usare le bufale ma scovare le verità politiche e poi confezionarle in un pacco bomba ad alta intensità esplosiva. Spregiudicati e sfrontati, i redattori di Breitbart impacchettano anche dossieraggi ad personas, come nella  vicenda Weiner, quando, venuti a conoscenza che l’ex marito di Huma Abedin e allora rappresentante di New York in Congresso, faceva  sexting a casaccio, hanno atteso che si smarcasse nel momento in cui mandava un tweet pubblico ad una ragazza … e poi lo hanno distrutto sulle pagine del web.

Bannon stesso ha fondato un centro studi specializzato, il Goverment accountability institute, con il quale produce materiale esplosivo da passare ai giornali. Così nasce Clinton Cash, il libro di Peter Schweizer che denuncia gli intrecci affaristico mafiosi della Clinton Foundation, poi il libro è diventato un video e una graphic novel,  ripreso persino dall’avversario politico New York Times.

Una campagna scandalistica geniale, orchestrata a più riprese e concentratasi negli ultimi mesi della battaglia presidenziale, cui si sono aggiunte proprio nell’ultima settimana, le denunce dell’FBI, poi ritrattate, che hanno definitivamente demolito la Clinton.

(Il presidente Donald Trump nomina Reince Priebus a capo dello staff della Casa Bianca e Steven Bannon come consigliere stratega)

Ora tocca a Trump governare, e le prime mosse in campo economico, promettono bene, almeno per noi europei: il rifiuto dei trattati di libero scambio TPP e TTIP (già moribondo per il Brexit) rappresenta un primo passo verso un cambiamento radicale delle politiche economiche attuali e rimette l’interesse economico nazionale al centro dell’agenda. Trump lo dice chiaramente: “Negozieremo equi accordi commerciali bilaterali che portano posti di lavoro per ricostruire l’industria sulle coste americane».

L’intento è quello di creare le condizioni per far rinascere il tessuto industriale negli Stati Uniti, perché trattati come il TPP  (Asia e America Latina) ed anche il TTIP (Europa) producono effetti devastanti per il piano industriale nazionale e favoriscono l’esportazione di posti di lavoro e di know-how all’estero, con tutte le conseguenze sociali del caso.

Però individuare con accuratezza quali saranno le scelte future di Donald Trump non è facilissimo, sia per la realtà degli equilibri in gioco e degli interessi con cui ci si dovrà confrontare, sia per ragioni opportunistiche, perché in alcuni campi il presidente Usa ha poteri limitati e molte delle decisioni devono passare per il Congresso, che pur essendo a maggioranza repubblicana, su alcune questioni ha delle idee differenti da quelle di Trump.

Egli ha anche dichiarato che cancellerà o chiederà forti cambiamenti al Nafta, il patto commerciale con il Messico e il Canada. Poi ha promesso di mettere dazi all’importazione dei prodotti messicani sino al livello del 35% e di quelli cinesi sino al 45%, ma la Cina potrebbe comunque rivalersi verso numerosi produttori americani quali le case dell’auto (Boeing) e della componentistica, potrebbe inoltre bloccare l’esportazione di alcune materie prime strategiche, nonché annullare l’acquisto di titoli di stato pubblici statunitensi.

bannon-businessweek-cover-bloombergSulle tasse Trump ha promesso drastici tagli delle aliquote sui profitti di impresa, dal massimo del 35%,  al 15% per tutti (Flat Tax). Per quanto riguarda gli utili conseguiti all’estero, sino ad oggi tassati con la stessa aliquota di quelli interni, al momento del rimpatrio verrebbero  tassati soltanto al 10%, dunque circa 2500 miliardi di dollari di profitti arretrati, parcheggiati nei vari paradisi fiscali, segnerebbero un rimpatrio di denaro molto rilevante (Bonus Fiscale).

Ma soprattutto le politiche energetiche ed ecologiche di Trump hanno spaventato il mainstream, per le sue dichiarazioni circa i cambiamenti climatici, che sarebbero «una favola messa in giro dai cinesi per danneggiare le imprese americane». Quindi sembra voler rimettere al lavoro i minatori del carbone e gli operai siderurgici, oppure far ripartire l’oleodotto Keystone che Obama aveva bloccato e favorire l’estrazione del petrolio da scisto, anche se sono arrivate le prime caute smentite da parte dello stesso presidente «disponibile ad un’intesa su clima e accordo di Parigi».

Grave sarebbe il caso di Keystone, perché la battaglia per la sua chiusura è stata vinta da numerose manifestazioni provenienti dalle comunità indigene del Canada, dai contadini del Nebraska, dai ranchers del South Dakota, dagli attivisti di New York … e alla fine Keystone è diventato un simbolo: attivisti e ambiente contro petrolieri e politici.

Un’altra novità è quella della riforma di Wall Street, che vorrebbe annullare o emendare fortemente il Dodd-Frank Act, oppure reintrodurre la Glass-Steagall Act, separazione tra banche commerciali e banche di investimento.

Infatti, con la riforma del Dodd-Frank Act del 2010, Obama non era riuscito a convincere agenzie come la Federal Reserve, perché ogni tentativo di riforma era stato riequilibrato dalla moltitudine tenace dei lobbisti della finanza che si erano opposti spesso con successo, perché finanziati da un’industria con interessi nevralgici e col filo diretto con media, controllori e legislatori.

trump-towerIl Dodd-Frank Reform Act avrebbe potuto contribuire ad evitare un’altra crisi, perché frenava la formazione di gruppi bancari giganteschi,  regolamentava l’uso dei derivati complessi, cercava di reprimere la pratica della finanza casinò, e poi istituiva nuovi organismi di controllo e di tutela per i consumatori.

Però Janet Yellen ora sembra disapprovare la prospettiva di abrogazione della riforma, perché aveva «molti aspetti positivi» e non sarebbe opportuno «portare indietro le lancette della regolamentazione finanziaria», dice la presidente della Federal Reserve durante l’audizione davanti alla Commissione economica del Congresso. Al contrario il neopresidente ha più volte criticato la riforma e accusata Janet Yellen di essere politicizzata, auspicando anche eventuali sue dimissioni, smentite però immediatamente dalla colomba artigliata della FED.

La promessa di ripristinare il Glass-Steagall Act, con la separazione del prestito tradizionale dall’investment banking, invece è ancora in fieri, ma comunque un’ottima scelta.  La legge era entrata a far parte del pacchetto di riforme promosse dal presidente Roosvelt nel 1933, per risollevare l’economia americana dopo la Grande Depressione del ’29, e l’obiettivo primario era l’eliminazione di possibili conflitti d’interesse e del rischio di choc finanziari provocati dalla speculazione.

Per Trump la bassa crescita dell’economia statunitense è il vero nemico, per questo il suo progetto economico punta alla massiccia abrogazione di quella che lui definisce una regolamentazione anti-crescita,  preferendo decisamente un moderno framework regolatorio.

breitbart-antimmigrazioneInsomma The Donald promette cambiamenti drastici nel corso del suo mandato, ed il suo grido di battaglia di voler fare un’ “America Great Again” sembra evocare le epiche espansioni economiche americane dei secoli passati.

Egli dice di voler invertire il processo di delocalizzazione di posti di lavoro americani, di voler far rivivere l’industria manifatturiera, di voler riformulare i termini del commercio internazionale, di voler innescare a tutti i costi la crescita, ma una crescita che sembra decisamente nuova rispetto a quella precedente, ed assomiglia molto di più alla decrescita felice, che Serge Latouche ha descritto nel suo Breve trattato sulla decrescita serena.

Infatti la critica al capitalismo di Latouche merita di essere compresa e contestualizzata, perché non è la solita critica vetero-marxista, ma qualcosa di decisamente diverso, non essendo mossa da elementi ideologici o di rivendicazioni classiste, quanto piuttosto da evidenze socioeconomiche molto realistiche. La crescita illimitata sarebbe dunque un’utopia, e a questo proposito Latouche fa un esempio estremamente convincente: “Con un aumento del PIL pro capite del 3,5 per cento annuo (che corrisponde alla media francese tra il 1949 e il 1959), si ha un fattore di moltiplicazione 31 in un secolo e di 961 in due secoli! E con un tasso di crescita del 10 per cento, che è quello attuale della Cina, si ottiene un fattore di moltiplicazione 736! A un tasso di crescita del 3 per cento, si moltiplica il PIL di venti volte in un secolo, di 400 in due secoli, di 8000 in tre secoli”.

La decrescita non equivarrebbe però ad una minor produzione, sia per le merci che per i servizi, ma proporrebbe un taglio selettivo del PIL, mentre la recessione è invece una discesa rovinosa ed anche una  distruzione sistematica di quei parametri che sono indispensabili al mantenimento di un buon tenore di vita.

Al che subentra il concetto di località, perché nella visione della decrescita le comunità rivendicherebbero  la loro autonomia, quindi sarebbe favorita la produzione interna e invece sarebbero limitate le importazioni. La visione di Latouche è certo estremizzata, ma non impedisce una revisione adattabile alla realtà economica occidentale, segnata da una crisi sistemica senza precedenti, minacciata inesorabilmente dalle sfide della globalizzazione e del liberoscambismo.

Anche la questione delle rinnovabili assumerebbe un’importanza essenziale, perché sarebbero le uniche fonti energetiche inesauribili ed in grado di rendere autonomo anche un Paese che non possiede giacimenti di carbone, di gas, ecc. … quindi di conseguenza diventerebbe fondamentale anche l’utilizzo del riciclo, nell’ottica ecologica dell’assenza  di sprechi.

rust-beltCosì come dice il teorico dell’eurasiatismo Alexander Dugin in una intervista «Dopo la Brexit, Donald Trump. Il mondo unipolare voluto dalle lobbies di potere mondialista sta crollando, i popoli si stanno ribellando alla dittatura globalista e il centro della civilizzazione occidentale situato negli Usa dopo la Seconda Guerra Mondiale è finito. Prepariamoci ad assistere a nuovi scenari nei prossimi mesi e ad una nuova politica, finalmente espressione dei popoli e non delle elites mondialiste e materialiste».

E ancora  «La Brexit è stato il primo, formidabile colpo assestato alle élites dominanti mondialiste – spiega Dugin – Un’Inghilterra che non fa più parte dell’Unione europea significa che un’unione continentale basata solo sull’asse franco-tedesco non ha più senso di esistere. Sono state proprio le élites globaliste, con i loro interventi e le loro imposizioni, a rendere possibile la Brexit e questo significa che domani anche la Francia, la Germania, l’Italia potranno uscire dall’Ue».

Però Dugin non crede possibile un ritorno all’Europa degli stati nazionali, sull’esempio del sistema nato dopo il trattato di Westfalia. «Sono convinto che assisteremo a forti convulsioni politiche interne al continente europeo – sottolinea lo studioso russo – anche perché adesso negli Usa è arrivato un uomo che l’establishment, trasversale ai due partiti americani (democratici e repubblicani), non sopporta e di cui lui non fa parte. L’America che ha imposto il suo modello globale sull’Europa dal 1945 ad oggi è cambiata con la vittoria di Trump e i poteri globalisti hanno scelto di puntare sull’Ue e soprattutto sulla Germania di Angela Merkel per resistere a questo forte vento di cambiamento storico. Cercheranno di resistere utilizzando i loro riferimenti politici storici come la Merkel, Hollande e la sinistra in Francia, Renzi e la sinistra in Italia e infatti pochi giorni fa Obama ha fatto il suo tour in Europa per dire loro: resistete, resistiamo».

L’analisi di Alexander Dugin sembra forse troppo ottimistica, ma non c’è dubbio che l’elezione di Trump rappresenti un cambio di prospettiva del capitalismo contemporaneo ed apra scenari imprevedibili, tanto che sembra quasi un paradosso storico quello che invece propone l’ultima provocazione americana vincente, nazionalisti contro globalizzati, da cui soprattutto l’Europa potrà trarre grande giovamento.

Mentre il segugio infernale di Breitbart News ha fatto la differenza …

 

Rosanna Spadini

Fonte: www.comedonchisciotte.org