Di Matteo, la Procura nazionale e il ”rifiuto” del Csm

Tra ”Azzecca-garbugli” e nuovi ”Pilato” nasce lo ”stop” al magistrato di Palermo
di Giorgio Bongiovanni ed Aaron Pettinari

di matteo dna csm
L’Ansa viene battuta in tarda serata: “Terrorismo: aggiunti Procura nazionale, Di Matteo resta fuori”. La notizia di agenzia, che fa rapidamente il giro delle redazioni, sinteticamente spiega che il magistrato palermitano “Non ha rispettato le formalità richieste perché la sua domanda potesse essere presa in considerazione dal Csm”. A “tradire” Di Matteo sarebbe stato un passo falso: “Non ha allegato alla domanda l’attestazione dell’avvenuta richiesta del parere attitudinale ed ha presentato l’autorelazione senza avvalersi del modulo prescritto nel Testo unico sulla dirigenza”. Questo viene scritto dalla Commissione direttivi del Csm spiegando perché la domanda del magistrato è da ritenersi “inammissibile”.
Così, per la seconda volta in un mese Nino Di Matteo, pm che indaga sulla trattativa Stato-mafia assieme a Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, vede chiudersi in faccia la porta della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo. Le scorse settimane il Tar del Lazio aveva respinto il ricorso da lui presentato contro la delibera con cui, l’8 aprile del 2015, il Csm nominò tre magistrati come sostituti procuratori alla Direzione nazionale antimafia (Eugenia Pontassuglia, Salvatore Dolce e Marco Del Gaudio), inserendolo all’undicesimo posto nella graduatoria dei candidati nonostante non vi fossero elementi oggettivi di valutazione che potessero giustificare una tale bocciatura.
A prescindere dall’iter che avrebbe potuto avere il ricorso Di Matteo aveva deciso di partecipare ad un successivo concorso per due posti da procuratore aggiunto, introdotti con l’attribuzione alla procura di Roberti anche del coordinamento sulle indagini sul terrorismo.
A questo punto, però, c’è stato l’inghippo. A Di Matteo non sono bastati i pareri positivi del Consiglio giudiziario (che a Palermo fa capo alla Presidenza della Corte d’Appello, ndr) ottenuti per la partecipazione al bando da sostituto procuratore alla Pna e quello per l’ufficio direttivo della Procura di Enna, ed allegati alla nuova domanda. Nel frattempo, infatti, erano cambiate alcune specifiche del bando e, pertanto, era necessario un nuovo parere attitudinale specifico.
Il Consiglio giudiziario diretto dal Presidente della Corte d’Appello Gioacchino Natoli, senza una richiesta diretta e di fronte alla poca chiarezza della circolare del Csm, non ha ritenuto di doversi esprimere e di conseguenza ha inviato le carte al Consiglio Superiore del Csm. Mancando la documentazione ecco che è arrivato lo “stop”. Tutto finito? Assolutamente no, perché anche per altri magistrati, in altri concorsi, il Consiglio giudiziario aveva ritenuto di non doversi esprimere. In quei casi però il Csm aveva rimandato indietro le carte di fatto imponendo all’Organo di autogoverno in sede distrettuale di esprimersi. Per Di Matteo questo non è avvenuto, nonostante l’analogia del caso, nel più tradizionale dei criteri ingiusti (stesso peso-due misure). Non possiamo sapere se con tutta la documentazione il Csm avrebbe scelto Di Matteo o per i due posti di “vice” di Roberti la Commissione avrebbe comunque preferito Giovanni Russo, già sostituto procuratore in via Giulia, e Maurizio Romanelli, capo del pool antiterrorismo della procura di Milano (nomine che saranno ufficializzate nel Plenum di giovedì). Certo è che al magistrato del pool trattativa, le cui conoscenze sulla mafia e i rapporti con il sistema criminale sarebbero indubbiamente un valore aggiunto, grazie ad un cavillo degno del manzoniano Azzecca-garbugli, non è stato neanche permesso di partecipare.
Un cavillo che sarebbe anche potuto essere nullo se non vi fosse stata un’azione pilatesca messa in atto dal Consiglio giudiziario che ha comunque scelto di non esprimersi di fronte ad una interpretazione poco chiara della circolare del Csm.
Perché il Presidente Natoli, che ha fatto parte del ristretto pool antimafia di Palermo assieme a Giovanni Falcone e ben conosce gli effetti di certi sistemi di delegittimazione ed isolamento, ha preferito “lavarsi le mani” basandosi su cavilli procedurali e lasciando tutto in mano a “scribi e farisei” del Consiglio superiore?
Forse con quel parere non sarebbe cambiato nulla ma già sarebbe stato qualcosa di fronte all’isolamento totale di chi oggi si trova in prima linea ad indagare sui rapporti nefasti tra mafia e pezzi delle Istituzioni, della politica e dell’economia.
Questa ennesima bocciatura rappresenta un’ulteriore dimostrazione dell’esistenza di una volontà superiore che, costi quel che costi, è pronta ad impedire che questo magistrato possa avere nuovi incarichi. Siano questi per la Procura nazionale antimafia o per la Dda di Palermo. Basta seguire la logica delle “carte a posto”. E’ il “leitmotiv” della nuova magistratura burocrate tanto cara al Potere. Quando a Di Matteo, nel precedente concorso, dal Csm fu negato un posto come sostituto procuratore antimafia furono gli stessi vertici dell’organo di autogoverno dei magistrati a paventare la possibilità di predisporre un nuovo bando nel quale i titoli del magistrato palermitano sarebbero stati sufficienti. E’ passato oltre un anno. I posti vacanti alla Procura nazionale antimafia sono ancora cinque. Ma di bandi all’orizzonte non ce n’è neanche l’ombra. La speranza è l’ultima a morire?

Fonte:Antimafiaduemila