Sprofondo rosso

Troppi gufi in libera uscita
di Saverio Lodato

lodato eff c giorgio barbagallo
Dalla Toscana in giù, di quella che fu la grande armata del PD, non c’è più traccia. E anche se in molti hanno già iniziato a girarci attorno, e continueranno a farlo, è inutile negare l’evidenza. Al di sotto del segmento Bologna-Ravenna, dove nonostante clamorose emorragie, le vecchie roccaforti in qualche modo hanno tenuto, tutto il resto è deserto. Più si scende al Sud, meno PD si trova. Persino in Sicilia i 5 Stelle fanno il pieno ai ballottaggi. E c’è da osservare che per una strana scelta mediatica, dovuta al fastidio che molti nel Palazzo provano di fronte al trionfo di Luigi De Magistris, tutti evitano di parlare della clamorosa sconfitta del PD a Napoli, doppiamente cocente, visto che il partito non è arrivato nemmeno ai ballottaggi. Ma se consideriamo che le quattro città più grandi per numero di abitanti sono Roma, Milano, Napoli e Torino (in totale, oltre tredici milioni), il conto è presto fatto: tranne la vittoria risicata di Milano, il PD è ridotto alle dimensioni di un insignificante manichino.
E’ finita come doveva finire, anzi peggio. Con il PD ridotto a tanti piccoli atolli sparsi per l’Italia, distanti fra loro centinaia di chilometri, accerchiati da isole nemiche, insidiati, al loro stesso interno, da contingenti nemici, agguerriti e motivati, o, peggio ancora, resuscitati. Lo stesso Nord appare a macchia di leopardo, ora che città come Torino, Novara, Savona e Trieste hanno girato le spalle al partito di maggioranza. Ed è buffo che il PD abbia strappato Varese alla Lega, che proprio in quella città, da vent’anni, aveva installato il suo laboratorio di “razzismo padano”. Cresce ancora, in questo secondo turno dei ballottaggi, l’altra metà dell’Italia, quella dell’astensione. Un altro mezzo milione di milanesi, per dirne una, al secondo turno non sono andati a votare. Ma continuando a fare conteggi del genere, si rischierebbe di fare il conto della serva.
Il PD avrà il suo destino, che in buona parte è il destino che si è scelto. Meglio: che per lui stanno pervicacemente scegliendo Matteo Renzi, il suo “cerchio magico”, tutti quei dirigenti felici e sorridenti e venuti dal nulla, quando di moda andava la “rottamazione”, che si erano convinti che una poltrona in prima fila tv assicurava carisma, autorevolezza, legittimazione popolare.
E’ di Virginia Raggi, sindaca di Roma, e Chiara Appendino, sindaca di Torino, che adesso è doveroso parlare. Entrambe 5 Stelle, entrambe donne che per la prima volta sono diventate sindaco donna, in città dove la politica era tradizionalmente “cosa da uomini”, uomini che di bilanci e appalti se ne intendevano…, ieri notte, appena sono apparse in video, hanno sferrato un micidiale attacco alla Politica Jurassica. Si è visto in maniera quasi folgorante. La musica è cambiata. Non era più Grillo che parlava. Non erano i consueti “vaffa”. Non c’era più la “comicità” del fondatore di qualche tempo fa. E solo giornali guidati da direzioni con riflessi pavloviani possono ancora insistere nel dire che con i 5 Stelle hanno vinto “la protesta”, “l’antipolitica”, “il populismo”.
Quale errore madornale ha fatto Piero Fassino quando, rivolgendosi all’Appendino, la sfidò dicendo: “Se è capace si metta Lei al mio posto”. E l’Appendino, che era sotto di oltre dieci punti, lo ha preso in parola, rimontando e stravincendo. E al suo posto ci si è messa. Certo. Magari nelle prossime ore arriverà il “soccorso rosso” a Renzi, dell’ex emerito Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ci spiegherà che il voto ai 5 Stelle è “voto qualunquista”. Era accaduto anche dopo il primo turno. Ma gli italiani se ne faranno una ragione. Basta rilevare che in 20 comuni in cui i 5 Stelle sono andati al ballottaggio con il PD, hanno vinto in 19. E quale commentatore, in tutta onestà, potrebbe venirci a raccontare che le parole di Alessandro Di Battista, appena i risultati sono apparsi chiari, erano quelle di un focoso terrorista del quale noi cittadini dovremmo avere terrore? Smettiamola con certe fesserie. E fermiamoci un attimo su Roma.
Ieri notte, vogliamo dirlo subito, siamo rimasti colpiti dalla signorilità e dal coraggio di Roberto Giachetti del PD che si è preso tutte le responsabilità, non ha dato la colpa a nessuno del suo partito per essere stato mandato allo sbaraglio, mettendoci la faccia.
Ma chiediamocelo: è normale quanto è accaduto a Roma negli ultimi due anni? Era “normale” che Roma fosse diventata agli occhi dei romani e del mondo intero la Capitale dello Stato-Mafia? Davvero pensavano, nominando commissari compiacenti o illusi, di mettere una falla nella voragine di un’inchiesta che aveva scoperchiato Mondi di Sopra, di Mezzo e di Sotto, e in cui tutti, dalla destra al PD, si contendevano fette della torta? O credevano, cacciando Ignazio Marino, che si sarebbero salvati la coscienza? I 5 Stelle hanno vinto perché i romani sperano che la Raggi li tiri finalmente fuori dal pantano. Tutto qui. Se ne sarà capace si vedrà.
Matteo Salvini, che nell’ultimo anno aveva spopolato in tutti i salotti televisivi, l’altra notte appariva imbolsito da un risultato che vede la Lega pesantemente ridimensionata nel suo progetto di scalata al vertice del Centro Destra. E il Centro destra, nel suo insieme, e anche in questo caso è inutile girarci attorno, appare come una sommatoria di cocci. E’ evidente che dopo oltre vent’anni di partito padronale, a guida unica Silvio Berlusconi, trovare un mastice che miracolosamente dia una nuova forma compiuta sarà impresa titanica. C’è l’eccezione di Milano. Ove si dimostra che quando il centro destra riesce a tornare unito può essere competitivo con il centro sinistra. E forse Stefano Parisi starà scaldando i motori in vista di una scalata alla leadership di Forza Italia anche se Salvini lo ha prontamente stoppato. Ma, anche in quell’eventualità, la traversata sarebbe lunga prima di tornare a competere per la guida del paese, essendo troppo fresco il ricordo del ventennio berlusconiano.
Concludendo. Ora torneremo ad assistere ai “tormentoni” in casa PD. Matteo Renzi, che architettando l’Italicum s’era scelto come avversario ideale Forza Italia, adesso si ritrova sul ring i 5 Stelle.
E non potrà fingere che non sia successo nulla. Di sicuro dovrà riporre il “lanciafiamme”. Dovrà scendere a patti con la minoranza Dem. Dovrà sacrificare qualcuno del suo “cerchio magico”. Dovrà mettere in conto una turbolenta estate in Parlamento, in cui non mancheranno sgambetti e imboscate. Gli basterà il fido Verdini? Incombe il referendum di ottobre che lui vuole sia un referendum sulla sua persona. Rischia di diventare mossa azzardata, con l’aria che tira nel paese. Oggi deve fare i conti con uno scenario sino a qualche settimana fa inimmaginabile per lui. Questo scenario si chiama: “Sprofondo Rosso”. Quanto è accaduto ha infatti scosso pesantemente quella costruzione monolitica attorno alla quale, per sua sprezzante definizione, volteggiavano soltanto “gufi”. Le crepe sono sotto gli occhi di tutti.
Anche perché si è visto che, in giro per l’Italia, di “gufi” in libera uscita ce ne stanno troppi.

saverio.lodato@virgilio.it