Nuove prove su via d’Amelio: pressioni da La Barbera per Scarantino?

di Miriam Cuccu

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Il “giallo” del colloquio Gozzo-Genchi depositato al Borsellino quater
La requisitoria dovrà aspettare. All’udienza di oggi del processo Borsellino quater nuove prove sono state depositate dalla pubblica accusa. Verbali di sommarie informazioni resi proprio nei giorni scorsi (l’ultimo ieri) e sempre, ha precisato il pm Gabriele Paci, “sul presunto intervento di operatori di polizia sui collaboratori di giustizia al fine di indurli a riferire fatti non veri sulla strage di via d’Amelio”. Si tratta dei pentiti Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura, che hanno dichiarato di aver ricevuto pressioni da parte dei componenti del gruppo Falcone e Borsellino, durante le primissime indagini, affinchè rendessero false dichiarazioni. “Solo un fatto grave poteva portare l’ufficio a depositare nuovi atti – ha precisato il pubblico ministero – questa attività oggi costituisce prova sopravvenuta che riteniamo di estrema rilevanza per l’esito dell’attività d’indagine”.
Il materiale depositato riguarda una relazione del magistrato Domenico Gozzo, attualmente alla procura generale di Palermo, e un verbale di sommarie informazioni di Gioacchino Genchi, ex funzionario di polizia che collaborò con il gruppo investigativo capitanato da Arnaldo La Barbera.
Il contrasto tra i due, ha specificato Paci, “si riferisce a un incontro avuto dal dottor Gozzo con il dottore Genchi e su confidenze che quest’ultimo gli avrebbe riferito su una vecchia vicenda che riguarda il dottor Bartolo Iuppa”. Il materiale depositato risale alle ultime settimane: oltre alle dichiarazioni contrastanti di Gozzo e Genchi e al verbale di assunzione di informazioni di Bartolo Iuppa, anche quelli di Lucia e Manfredi Borsellino, figli del giudice ucciso in via d’Amelio, datati rispettivamente 9 e 14 giugno 2016. Depositate anche annotazioni di servizio della Dia, il verbale di sommarie informazioni della dottoressa Margherita Bluchino (al tempo dirigente della Polizia scientifica di Palermo) e la relazione datata 9 febbraio 1994 di Pietro Fardella, Alessandro Ronco e Angelo Crepa, appartenenti alla questura di Palermo.

Pressioni per il depistaggio
Il contenuto del colloquio riferito da Gozzo, ha spiegato Paci, si riferisce al fatto che “il dottore Genchi gli avrebbe confidato che Bartolo Iuppa, suo collega del tempo che nel ’94 aveva una relazione affettiva con la figlia di Paolo Borsellino (Lucia, ndr) lo aveva messo al corrente di lamentele provenienti da due appartenenti alla polizia”, i quali “avevano detto di essere stati costretti a dover avallare i comportamenti del dottor Arnaldo La Barbera in relazione alla figura di Scarantino” e in seguito verso i due poliziotti, “ci sarebbe stata una sorta di pressione” in quanto “avrebbero rifiutato di sostenere le scelte di La Barbera e del suo ufficio”. Per “essere in qualche modo tutelati”, ha continuato Paci, “Iuppa avrebbe chiesto consiglio a Genchi” che all’epoca gli avrebbe risposto “di invitare i due poliziotti a parlare con i magistrati di Caltanissetta, cosa che sarebbe avvenuta. Ma La Barbera, venuto a conoscenza di ciò, li avrebbe allontanati definitivamente”.
Genchi davanti ai magistrati ha negato tutto, spiegando che con Gozzo si sarebbe verificato un malinteso nato dal racconto di un altro episodio, ovvero che “nel febbraio ’94, – ha proseguito Paci – mentre Iuppa si trovava a casa Borsellino citofonò la signora Basile, allora moglie di Scarantino. Lui scese per parlarle, poi la donna allontanò” e probabilmente la Basile “voleva parlare con la signora Agnese Borsellino (moglie di Paolo Borsellino, oggi deceduta, ndr) sui presunti abusi commessi nei confronti del marito detenuto, che ancora non aveva iniziato collaborare”.

Nuove testimonianze
Per chiarire il “giallo” del colloquio Gozzo-Genchi la Corte d’assise di Caltanissetta ha ammesso la testimonianza dello stesso ex informatico del gruppo Falcone e Borsellino, di Bartolo Iuppa, Luigi Furitano, Lucia e Manfredi Borsellino, del colonnello Francesco Papa e del maggiore Marco Zappalà (che hanno svolto le indagini). Non potrà invece testimoniare Domenico Gozzo, che prima di insediarsi a Palermo è stato pubblico ministero proprio nel processo Borsellino quater. Per questo motivo, secondo la Corte, vi è uno “status di vera e propria incapacità a testimoniare”, nonostante il magistrato sia venuto a conoscenza dell’episodio al di fuori dell’attività d’indagine, quando ormai da tempo non prestava più servizio a Caltanissetta. “Così verrebbe a crearsi un doppio binario. Abbiamo già escusso soggetti (i magistrati Palma, Di Matteo, Petralia, Boccassini, ndr) che avevano svolto attività di pubblici ministeri nelle prime indagini per la strage di via d’Amelio” aveva evidenziato il pm Stefano Luciani prima che la Corte desse il suo verdetto. Secondo l’avvocato Scozzola l’interpretazione fatta dalla Corte “si pone in contrasto con i principi fondamentali della Carta costituzionale” in merito al “giusto processo che tende all’accertamento della verità” e per questo “propongo questione di legittimità costituzionale dell’articolo 197”, quello che regola l’incompatibilità con l’ufficio di testimone. Prima della prossima udienza, fissata per il 12 luglio, sulla questione verrà presentata una memoria scritta.

Fonte:Antimafiaduemila