LA ROTTA MEDITERRANEA CHE TRAVOLGERA’ RENZI (E L’ITALIA)

DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

La rotta mediterranea che travolgerà Renzi (e l’Italia)

L’Unione Europea è lo strumento per l’attuazione di una precisa politica demografica, volta alla massiccia introduzione di immigrati così da diluire le nazionalità ed alimentare l’offerta di lavoro a basso costo. Angela Merkel è stata sempre in prima linea nell’attuare le direttive atlantiche ed imporle al resto dell’Unione: minacciata però dall’elettorato in rivolta, ha avuto mano libera nel bloccare la rotta balcanica con il placet degli Stati Uniti, consci che la cancelliera è una pedina insostituibile nello scacchiere europeo. La marginalità di Matteo Renzi e la perifericità dell’Italia fa invece della penisola il terreno ideale per proseguire le ondate migratorie: il rischio, sempre più concreto, è che l’Italia si trasformi in terra di nessuno.

 

Si chiude la via balcanica per salvare la cancelliera…

Estate 2015, o per essere ancora più precisi, tardo agosto 2015: bus carichi di profughi siriani ed immigrati mediorientali fanno la spola tra il porto greco di Salonicco ed il confine con la Macedonia. Skopje, allarmata dagli ingressi in continuo aumento, tenta in un primo momento di arrestare il flusso ricorrendo anche all’esercito. Poi getta la spugna. L’ondata migratoria entra così in Serbia, dove le autorità si premurano che gli immigrati raggiungano il confine con l‘Ungheria il prima possibile, viaggiando sui treni appositamente messi a disposizione. Nonostante la decisione del premier magiaro Viktor Orban di edificare un muro per frenare il flusso, l’ondata si riversa in Austria per poi entrare in Germania: ad accoglierli è la cancelliera tedesca Angela Merkel che, al motto di “Wir schaffen das” (“ce la faremo”), si è impegnata ad accogliere un numero illimitato di richiedenti asilo. Entra in Germania nel 2015 la cifra record di un milione di immigrati.

Nel dibattito mediatico si nota l’assenza di alcuni, determinanti, interrogativi: quali sono le cause di questo esodo? Chi ha messo in moto l’ondata migratoria proprio in quella metà d’agosto? E perché la cancelliera Merkel ha ribaltato di 180 gradi la sua posizione, quando poche settimana prima aveva gettato in lacrime una bambina palestinese dicendole che anche  la capacità di accoglienza della Germania era limitata? Gli interrogativi sono quantomai interessanti, perché diversi elementi (la martellante campagna stampa attorno al piccolo Aylan annegato sulla bagnasciuga turca, l’improvviso proliferare di articoli sull’utilità sociale ed economica degli immigrati, l’accoglienza dei profughi a Monaco di Baviera accompagnata “dall’inno della UE”) lasciano intuire un’attenta regia. Una regia “illuminata” che, come evidenzia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha interesse a sfruttare questa crisi “epocale” per accelerare l’integrazione europea1:

“L’Europa, come sottolineava Jean Monnet, si è fatta nelle crisi ed è attraverso le crisi che statisti illuminati hanno saputo intravedere, e perseguire, obiettivi di crescita. L’Europa si trova nel pieno di un passaggio storico simile a quelli indicati da Monnet.”

Ecco quindi spiegato perché nessuno ha posto i sullodati interrogativi: si rischiava, così facendo, di disturbare gli “statisti illuminati”, eredi di Jean Monnet (1888-1979), padre nobile dell’Europa unita ed alfiere della finanza cosmopolita, tanto da essere essere annoverato nel primo dopoguerra tra i candidabili alla presidenza della Banca Internazionale dei Regolamenti.

Proviamo quindi noi a rispondere alle scomode domande.

Le cause dell’esodo sono la destabilizzazione della Siria ad opera della NATO (2011-2012), cui segue il tentativo angloamericano di bombardare Damasco col pretesto delle armi chimiche (2013), cui segue l’inoculazione dell’ISIS (2014-) che, attuando i piani concepiti dalla destra israeliana e dai neocon almeno dieci anni prima, cerca di ritagliarsi uno Stato sunnita (il Califfato) a ridosso della Siria e dell’Iraq. Nel tardo autunno 2015, grazie alle informazioni raccolte dal corpo di spedizione russo, si scopre che le campagne militari dell’ISIS sono finanziate dal contrabbando di greggio tra i terroristi sunniti ed un membro della NATO, la Turchia. Veniamo così al secondo quesito, ossia chi ha messo in moto l’ondata: a spalancare la rotta balcanica nell’agosto 2015 è proprio il presidente Recep Erdogan, che spinge verso l’Europa parte dei due milioni di profughi siriani ammassati sul suolo turco. Si noti come “il sultano” Erdogan, sia nel finanziamento all’ISIS che nell’apertura della rotta balcanica, agisca in perfetta coordinazione con gli angloamericani, del tutto indifferenti alla trasformazione della Turchia in una autocrazia sunnita a tutti gli effetti.

Si arriva così alla folgorazione sulla via per Damasco (da sempre motivo di ravvedimenti) di Angela Merkel che, stravolgendo la politica adottata sino a quel momento, inaugura la linea delle porte aperte a tutti. Per un’attenta e fredda calcolatrice come Angela Dorothea Kasner, scevra di qualsiasi sentimentalismo ed abituata a commissionare sondaggi per qualsiasi decisione, un mutamento così radicale e rischioso si spiega solo con l’attuazione di una precisa direttiva, impartita alla cancelliera dagli ambienti atlantici “illuminati”.

Qual è la ratio di quest’ondata migratoria, accuratamente apparecchiata con la destabilizzazione del Medio Oriente?

C’è, come abbiamo detto, la volontà di creare domanda di “più Europa” (un sistema d’asilo europeo, la ripartizione obbligatoria degli immigrati, gli eurobond per fronteggiare l’emergenza, etc.), ma  c’è anche dell’altro: si entra in una sfera ideologica ed in una economica.

Si tratta attuare i precetti dell’universalismo massonico già cari al Richard von Coudenhove-Kalergi secondo cui lo Stato-nazione, etnicamente compatto, è un ostacolo all’avanzata degli organismi sovranazionali tanto cari all’alta finanza. Allo stesso tempo, l’immissione di milioni di persone, abituate a standard di vita miseri e estranee alla lunga storia di lotte sindacali europee, facilita lo scardinamento dei diritti dei lavoratori e ne diminuisce ulteriormente il potere contrattuale, a tutto vantaggio del capitale: era un fenomeno già noto alle corporazioni medievali che l’ingresso indiscriminato di lavoratori avesse un effetto deflattivo sui salari. La politica degli alti salari, in grado di consentire ai giovani di comprare casa ed avere figli, è sostituita quella dei salari stagnanti e calanti, “importando” immigrati così da compensare i vuoti demografici sempre più ampi. Ecco ciò che ha recentemente affermato il ministro dell’istruzione Stefania Giannini, lodando la Germania dei mini-job2:

“Le politiche di accoglienza potrebbero quindi non avere solo una funzione umanitaria, cioè quella sacrosanta di aiutare chi fugge da guerre o situazioni difficile, ma che risponda anche ad una necessità economica alla quale i Paesi flessibili e competitivi vanno incontro (…). Dobbiamo dunque prendere in considerazione il fatto che se l’Italia colmerà la discrepanza con i Paesi più produttivi – come la Germania – le politiche di accoglienza potrebbero andare a rivestire una funzione sempre più economica e non solo umanitaria.”

Non bisogna commissionare decine di sondaggi per immaginare la reazione dei cittadini, del tutto indifferenti alla “necessità economica dei Paesi flessibili e competitivi” e ben più attenti alle conseguenze sociali dell’immigrazione, dalla insicurezza delle periferie alla caduta del prezzo degli immobili prossimi ai centri d’accoglienza, passando per la competizione più serrata per accaparrarsi una fetta dello Stato sociale (il costo di profughi ed immigrati entrati nel 2015 è stimato da Berlino attorno agli 8 €mld3 all’anno). In Germania si moltiplicano così i reati di danneggiamento ai centri d’accoglienza perpetrati da comuni cittadini, si registrano episodi di violenza come il capodanno di Colonia, crescono le proteste delle forze dell’ordine per l’anarchia che regna nei campi profughi ed i movimenti di destra, da Alternativa per la Germania a Pegida, aumentano giorno dopo giorno il consenso. Crolla, parallelamente, l’indice di gradimento della cancelliera Angela Merkel che scivola entro la fine del 2015 sotto il 50%, trascinandosi con sé la CDU.

Le elezioni dei Land di marzo sono un test elettorale decisivo per la cancelliera, un vero e proprio referendum sulla politica migratoria, tanto che l’affluenza alle urne sale in controtendenza agli ultimi appuntamenti elettorali: il risultato è drammatico la Grande Coalizione di governo ed allarmante per i cristiano-democratici e catastrofico per i socialdemocratici.

Suona così il campanello d’allarme non solo a Berlino ma anche a Washington e Londra: la cancelliera Angela Merkel è infatti il leader indiscusso dell’Unione Europea, il garante del suo ancoraggio all’Atlantico (“Ms Merkel has been doggedly patient in dealing with the biggest recent threat to European security — the re-emergence of Russia. She has managed to contain the Ukraine conflict and keep the EU united on economic sanctions against Russia” scrive il Financial Time eleggendola persona dell’anno4) e l’ultimo baluardo contro le spinte centrifughe che attraversano l’eurozona (“During the Greek crisis, Ms Merkel repeatedly said: -If the euro fails, Europe fails-”). Non è possibile, di conseguenza, sacrificarla sull’altare del piano Kalergi: la sua permanenza alla Cancelleria federale ha la priorità sulla politica migratoria, tanto più che la crisi dei profughi, anziché rafforzare le istituzioni di Bruxelles, ha aumentato le spaccature dentro l’Unione.

Con la stessa rapidità con cui nell’agosto 2015 la rotta balcanica è aperta, nel marzo 2016 è chiusa: è sufficiente la stipulazione di un “controverso accordo tra l’Unione Europea e la Turchia che, in cambio di due tranche di aiuti da 3 €mld, l’esenzione dei visti per i cittadini turchi che entrano in Europa e l’accelerazione dell’ingresso di Ankara nell’Unione (tema da sempre caro a Washington) si impegna a riaccogliere i profughi e gli immigrati sbarcati in Grecia. Dato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dichiarò a suo tempo illegali i respingimenti (che prima della caduta di Gheddaffi avevano quasi azzerato gli ingressi di clandestini in Italia) si ricorre al sofisma del “rinvio degli irregolari”, “temporaneo e straordinario”.5 La misura, parallela alla decisione dei singoli Stati balcanici di sigillare le proprie frontiere, segna la fine della rotta balcanica.

La Grande Coalizione tedesca ed Angela Merkel possono tirare un sospiro di sollievo. Sebbene i recenti sondaggi diano l’alleanza rosso-nera vicino alla soglia critica del 50% delle intenzioni di voto6, lo scenario di una crisi di governo sotto l’urto dell’ondata migratoria è scongiurato: se ne riparlerà alle elezioni federali del 2017 e, di questi tempi, un anno equivale ad un’era geologica.

Dove finiscono i guai della Germania, iniziano però quelli dell’Italia: la chiusura della rotta balcanica, fa dell’Italia l’unica breccia da cui è ancora possibile introdurre centinaia di migliaia di immigrati e, a differenza di quanto avvenuto per Angela Merkel, nessuno, a Washington come a Londra, ha particolarmente a cuore il destino politico di Matteo Renzi.

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Fonte: comedonchisciotte