Due giovani come noi

di Luigi Ciotti

ragazzi di scorta cop
Per gentile concessione della casa editrice BeccoGiallo, pubblichiamo la postfazione di Luigi Ciotti al fumetto Ragazzi di scorta. Rocco, Vito, Antonio gli agenti di scorta di Falcone, uscito ieri, 5 maggio. Il lavoro è sceneggiato da Ilaria Ferramosca e illustrato da Gian Marco De Francisco. I due, insieme, hanno già realizzato il graphic novel Nostra madre Renata Fonte (001 edizioni). Ragazzi di scorta, congiuntamente a Lea Garofalo. Una madre contro la ‘ndrangheta (di prossima pubblicazione, sempre per BeccoGiallo per la sceneggiatura della Ferramosca e disegni di Chiara Abastanotti) sarà presentato a Torino, negli spazi di Binaria book il prossimo 14 maggio alle 18.30. L’evento rientra nel calendario di eventi del Salone off.

Mi è stato difficile sfogliare questo racconto delle troppo brevi vite di Antonio Montinaro e di Rocco Dicillo, i due poliziotti pugliesi che con il palermitano Vito Schifani componevano la scorta di Giovanni Falcone, senza sentirmi personalmente toccato. Toccato perché conosco alcuni loro famigliari. Toccato perché mi trovavo in Sicilia sia il giorno della strage di Capaci sia il giorno di via D’Amelio, impegnato in incontri dove si parlava del problema della droga dal punto di vista del narcotraffico e degli enormi proventi che assicurava – e continua ad assicurare – all’economia mafiosa.
Ricordo dunque bene il senso di sgomento provato di fronte a quelle immagini di morte, come però ricordo anche il bisogno, dapprima flebile poi sempre più forte e condiviso, di reagire, di non arrendersi alla paura e alla rassegnazione, di fare qualcosa per impedire che le mafie tornassero a colpire con l’esplosivo, con le armi, ma anche attraverso la corruzione, i silenzi e le complicità.
L’idea di Libera nacque allora. Idea di una società non solo civile (che è una definizione pleonastica, perché cives, cittadini, lo siamo tutti per definizione), ma responsabile. Una società che non si limitasse a dire “basta” o a esigere dagli altri – dalla politica, dalle istituzioni – un cambiamento, ma se ne rendesse protagonista, se ne assumesse fino in fondo la responsabilità.
La legge sulla confisca e l’uso sociale dei beni mafiosi – per la quale Libera raccolse, in pochi mesi del 1995, oltre un milione di firme – fu il primo passo. Quella legge (pur con lacune, ritardi e gli ancora presenti limiti e difetti di applicazione) ha rappresentato uno spartiacque nella lotta alle mafie perché ha saldato l’opera della magistratura e delle forze di polizia con l’impegno per il cambiamento. Ha sottratto i beni esclusivi delle mafie – base del loro potere – per trasformarli in beni inclusivi, luoghi di lavoro, di cultura, di accoglienza. Ha fatto leva sulla collaborazione fra istituzioni, amministrazioni, associazioni, perché se vero che le mafie sono un fenomeno sociale prima che criminale, solo un concorso di forze le può sconfiggere.
Ma Libera è “figlia” anche di un’altra, profonda, aspirazione. Quella di stare accanto ai famigliari delle vittime delle mafie, di raccogliere e custodire le loro memorie, di ripescare quelle finite nell’oblio – perché remote o perché ritenute ingiustamente meno importanti – e di trasformarle tutte in un pungolo, in una responsabilità.
I due piani vanno di pari passo perché costruire il futuro significa anche liberare il passato dal velo delle verità nascoste o manipolate, ma anche dalla retorica della memoria, quella memoria che usa parole d’occasione per celebrare in morte ciò che ha dimenticato od omesso di difendere in vita.
È lo spirito che anima queste pagine. Che non raccontano la vita di due “eroi” – appellativo che per primi Antonio e Rocco avrebbero respinto – ma quella di due giovani che hanno vissuto i sogni, le speranze, le preoccupazioni, i dubbi della loro età. Che hanno sentito il bisogno di amare e di essere amati, e l’assillo, affacciandosi alla vita adulta, di trovare una strada conforme ai loro desideri, alle loro legittime aspettative. Strada che Rocco e Antonio – come altri uomini e donne delle forze di polizia uccisi nello svolgimento del dovere – hanno trovato, oltre che negli affetti, in una professione vissuta con autentica etica di servizio, consapevoli che la ricerca della felicità personale e dei propri cari passa anche attraverso l’impegno per il bene comune, l’essere cittadini non a intermittenza ma in ogni istante della propria vita.
Non c’è modo più onesto e più vero di ricordarli che cercare di esserlo a nostra volta.
(6 maggio 2016)

Tratto da: narcomafie.it