Di Matteo: ”Ritorno alle stragi, un pericolo sempre attuale”

di Miriam Cuccu
Rai 1 dedica una puntata alla Sicilia. Letizia Battaglia: “Quando fotografai Sergio Mattarella accanto al corpo di Piersanti”

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Il pericolo di un ritorno allo stragismo è sempre attuale. E’ un errore ritenere chiusa per sempre la violenta contrapposizione della mafia allo Stato“. A dirlo è stato il pm Nino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo, in collegamento con gli studi televisivi di “Petrolio“, trasmissione di Rai 1 dedicata all'”Isola del tesoro”. Una Sicilia ricca di storia e architettura, ma anche centro nevralgico di affari illeciti la cui regia è spesso quella di Cosa nostra.
“La mafia cambia pelle come un serpente – ha continuato Di Matteo – adatta le sue strategie a seconda di esigenze e contingenze. Già in passato è stato ritenuto che Cosa nostra avesse smesso di far parlare le armi e le bombe e poi ci si è dovuti ricredere. Non dobbiamo abbassare la guardia” ha ammonito, ricordando che “da due anni a questa parte abbiamo elementi concreti che la mafia stia predisponendo un attacco violento anche nei confronti dei magistrati di Palermo”. Per lo stesso Di Matteo, costantemente sotto scorta, è emersa la progettazione di un attentato nei suoi confronti, oltre alle condanne a morte pronunciate da Totò Riina nel carcere di Opera. “Credo sia importante che di mafia si parli con cognizione di causa – ha aggiunto – perchè la mafia ha sempre fatto i suoi affari migliori nel silenzio”, per questo “abbiamo la necessità di parlarne e ricordare”.
“La storia di 15 anni di inchieste della Procura di Palermo – ha spiegato il pm, parlando del legame tra mafia e corruzione – dimostra che Cosa nostra per arrivare ai suoi obiettivi sempre più spesso usi metodi corruttivi. D’altra parte grossi gruppi imprenditoriali non solo siciliani richiedono frequentemente alla mafia l’esercizio della sua capacità intimidatoria per raggiungere più velocemente gli obiettivi economici”. E’ la costituzione di quella “zona grigia” dalla quale non è esente nemmeno la pubblica amministrazione, anche e soprattutto in Sicilia: “Basterebbe citare – ha ribadito Di Matteo – il fatto che negli ultimi 13 anni due presidenti della regione siciliana sono stati coinvolti in vicende processuali per reati di mafia, uno condannato definitivamente e l’altro in primo grado” riferendosi rispettivamente a Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo. “Cosa nostra ha sempre avuto la consapevolezza che sua vera forza fosse la capacità di condizionare la politica e la pubblica amministrazione” cambiando tattica “ma non strategia finale”. Fondamentale, ha rilevato il pm, ricordare che esistono “soggetti che aderiscono alle organizzazioni mafiose e nello stesso tempo hanno una laurea, sono imprenditori, primari, che contemporaneamente fanno parte della borghesia mafiosa”. L’anima del fallimento totale della Regione Sicilia è il clientelismo”, ha detto Piero Fagone, giornalista intervistato per “Petrolio”. E a parlarne sono anche i numeri: “L’autonomia in Sicilia non esiste e quella che c’è è criminale” ha denunciato Antonio Fiumefreddo, presidente di Riscossione Sicilia che dopo la sua nomina ha scoperto che “64 consiglieri regionali su 90 non pagavano le tasse, da quando diventavano deputati la Riscossione Sicilia non li cercava più. E questo privilegio non scritto lo mantenevano anche quando perdevano il seggio”. E’ il caso, ha continuato Fiumefreddo, di “altri 102 ex deputati con vitalizio che continuavano a non pagare le tasse. Si pensi che la media di chi paga le tasse in Sicilia è dell’8%”.
dimatteo ppp petrolio rai1Lo conosce bene Letizia Battaglia, fotografa ed ex assessore al decoro urbano a Palermo, il millenario problema del degrado in Sicilia. Proprio a Palermo è in atto un vero e proprio spopolamento del centro storico, uno dei più ampi d’Europa. Potrebbe ospitare 250mila persone, invece sono solo 45mila coloro che vi abitano perché qui, sporcizia e delinquenza, la fanno da padrona. Mentre i palazzi a rischio crollo vengono semplicemente chiusi. L’hanno chiamato “il sacco di Palermo”, quel progetto di speculazione edilizia che ha radicalmente modificato la conformazione della città negli anni ’50 e ’60, e che ha lasciato per sempre il suo segno: “Il progetto del gruppo di potere politico affaristico mafioso – ha spiegato Leoluca Orlando, sindaco di Palermo – era di far crollare il centro storico e di proporre lo sviluppo della periferia dove si investiva nelle aree controllate dalla mafia dei giardini, per poi passare in un secondo momento allo sventramento del centro storico”.
E’ in queste strade che Letizia ha fotografato i morti della guerra di mafia, una guerra senza quartiere che ha fatto piombare Palermo nella paura. “La notte non si usciva più – ha raccontato Battaglia – un giorno passando in via Libertà vediamo una piccola folla. Sembrava un incidente e abbiamo cominciato a fotografare senza sapere che era appena stato ammazzato il presidente della nostra regione Piersanti Mattarella. Dall’altro lato una persona con i capelli al vento che trascina fuori dalla macchina il corpo del fratello. Quell’uomo oggi è il nostro presidente della Repubblica. Per noi – ha sottolineato – è una grande speranza”. Poi la fotografa ha ricordato un altro grande faro di speranza: “Falcone, grande riferimento ed esempio, è stata una luce grazie alla quale abbiamo potuto sperare, almeno per un po’”. Poi però “hanno ammazzato lui e Borsellino. Dopo queste stragi la gente ha reagito per le strade, poi però si è stancata… tutti tentativi, non è mai successo niente di determinante… e la trattativa regge ancora”.
A differenza degli anni ’80 e ’90, ha ricordato Di Matteo, “è diminuita l’incidenza dell’aggiudicazione di appalti pubblici e l’investimento del mattone” a favore di Cosa nostra. Ma, ha ammonito, “le leggi antimafia hanno funzionato solo a metà. Cosa nostra oggi preferisce investire in altri settori come centri commerciali, centri di scommesse, sale bingo, e tentare di intercettare il flusso di denaro pubblico proveniente dall’Unione Europea”. “Rispetto all’Isis – ha aggiunto Di Matteo – la mafia è meno integralista, tende al compromesso e alla convivenza con altri sistemi di potere, per questo è più difficile da sradicare”. Poi il magistrato ha messo in guardia dal rischio di porre sullo stesso piano mafia e antimafia: “E’ importante la conoscenza delle condotte e dei gesti concreti per distinguere l’antimafioso vero da quello di facciata. Ci sono stati casi di strumentalizzazione dell’attività antimafia, ma c’è il pericolo di generalizzare in senso contrario: non vorrei passasse quello che i mafiosi vogliono, ossia che mafia e antimafia sono sullo stesso piano. Esistono tanti cittadini e associazioni mossi unicamente da passione civile e pretesa di giustizia”.

Fonte: Antimafiaduemila

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