Il 58% degli italiani non ha letto neanche un libro nell’ultimo anno

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Come tutti gli anni l’Istat torna ad aggiornare il rapporto tra l’italiano medio e il libro, uno strumento di conoscenza che risulta puntualmente snobbato. Secondo l’ultima rilevazione, nel 2015 si stima che «il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni) abbia letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali». Un dato che appare sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (quando la percentuale era del 41,1%), dopo la diminuzione iniziata nel 2011; in compenso, a diminuire nel 2015 è stato lo zoccolo duro del popolo del libro, i cosiddetti lettori forti: coloro cioè che «hanno letto 12 e più libri, nei 12 mesi precedenti l’intervista, per motivi non strettamente scolastici o professionali». I lettori forti in Italia risultano essere il 13,7% degli intervistati, contro il 14,3% osservato nel 2014.

Percentuali in movimento, a fronte di un quadro generale desolante. Che in Italia la confidenza con il libro sia piuttosto bassa non è certo una novità: «Da oltre quindici anni – osserva l’Istat – al di là delle oscillazioni di breve termine, la popolazione dei non lettori è ancorata a una quota pari a circa il 60% delle persone di 6 anni e più, e non si vedono segnali di ripresa». Il comprare (e soprattutto leggere) un libro, però, non rientra forse nella sfera squisitamente privata delle preferenze personali? Perché dunque l’opinione pubblica dovrebbe preoccuparsene?

Per le ricadute che quest’atteggiamento ha sulla collettività. Comprare e leggere libri risulta essere un marcatore per indagare altre e più complesse realtà culturali. «La lettura – ricorda l’Istat – è condizionata dalla capacità degli individui di comprendere e interpretare in modo adeguato il significato dei testi scritti, una competenza di base indispensabile per garantire un’effettiva capacità di accesso, gestione e valutazione delle informazioni, e quindi di crescita individuale e collettiva; questa capacità (literacy) in Italia è molto bassa», tanto che gli italiani sono protagonisti di tassi d’analfabetismo funzionale da record.

«È interessante ricordare che l’Isfol, sulla base dei dati Ocse-Piaac evidenzia come la quantità di libri posseduti in casa, oltre a costituire una buona proxy dell’ambiente culturale familiare di riferimento, “anche se associata a un background familiare modesto (titolo di studio basso dei genitori) permette di raggiungere un punteggio più elevato”. In particolare – sottolinea l’Istat –  il punteggio medio di literacy è pari a 228 per coloro che all’età di 16 anni possedevano meno di 10 libri in casa, 248 nel caso di un numero di libri tra 11 e 25, 257 fino a 100 libri, per arrivare a un punteggio medio pari a 284 per coloro che disponevano di oltre 500 libri. Inoltre, i giovani che hanno genitori con titolo di studio basso, se all’età di 16 anni disponevano di almeno 26 libri a casa, raggiungono il punteggio dei coetanei con genitori in possesso di titolo di studio medio o elevato».

Viviamo ormai nell’era dell’informazione, ne abbiamo varcato ormai da tempo la soglia: nel 2013 è stato stimato che il 90% di tutti i dati mai prodotti dal genere umano fossero stati accumulati negli ultimi due anni. Anche a fronte di quest’enorme mole di informazioni, diventa sempre più difficile selezionare, filtrare, interpretare. Soprattutto se, come accade in Italia, sempre meno si rinuncia pure a leggere.

Fonte:greenreport