”Grande Passo 3”: Alfano e Kennedy ”masticati” da Cosa nostra

di Miriam Cuccu
Nelle carte anche i nomi di Berlusconi e Dell’Utri

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Cosa nostra si è “masticata” l’attuale ministro dell’Interno Angelino Alfano, proprio come era stato con Kennedy, presidente degli Stati Uniti e assassinato nel ’63. Così parlava Pietro Paolo Masaracchia, reggente della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, in una delle conversazioni emerse dall’operazione “Grande Passo 3” che ha colpito il mandamento di Corleone ieri mattina arrestando sei persone tra cui Rosario Lo Bue, fino a ieri capo del mandamento.
“Perché a Kennedy chi se lo è masticato! Non ce lo siamo masticato noialtri là in America! Eh… ed ha fatto, ha fatto le stesse cose che ha fatto Angelino Alfano… che prima è salito con i voti di cosa nostra americana e poi gli ha voltato le spalle…” diceva Masaracchia nei pressi della masseria di Salvatore Pellitteri in un incontro datato 6 settembre 2014, in compagnia di quest’ultimo e di Pietro Pollichino, entrambi affiliati alla famiglia di Chiusa Sclafani (paese nell’interno del palermitano).
C’è aria di burrasca dentro Cosa nostra, e il 41 bis, da sempre uno dei punti dolenti per i boss mafiosi, oggi sembra essere sempre più mal sopportato. “Questo Angelino Alfano è un porco con le persone… – sostiene Masaracchia – chi minchia glielo ha portato allora qua con i voti di tutti… degli amici… è andato a finire là… insieme a Berlusconi ed ora si sono dimenticati di tutti… tanto che si è dimenticato a tutti che …inc… e dalla galera, dalla galera dicono cose tinte (brutte, ndr) su di lui…”. Già in precedenza, provano le intercettazioni, era stato affrontato l’argomento tra Masaracchia e Pellitteri: “Se c’è l’accordo… lo fottiamo a questo… lo fottiamo, gli cafuddiamo (diamo, ndr) una botta in testa… ci vuole un po’ d’impegno, gli cafuddiamo una botta in testa… però noialtri… ah? Non perdiamo la faccia, noialtri siciliani! Di questo si tratta… è un cane per tutti, per tutti i carcerati… Angelino Alfano…”. I boss mafiosi puntano il dito contro l’attuale ministro dell’Interno, per loro “colpevole” dell’inasprimento del carcere duro. Ciò che ai più è in realtà sfuggito, tra le doverose manifestazioni di solidarietà cadute a pioggia, è però che Alfano sia stato apostrofato in questi termini ( “è un cane… un porco”) non tanto perché ha relegato in isolamento numerosi capimafia e gregari, ma soprattutto perché, si legge nel decreto di fermo, prima è stato beneficiario dei “voti degli amici” e poi, “insieme a Berlusconi”, i due “si sono dimenticati di tutti”.
Non è la prima volta che Cosa nostra rivolge il suo astio nei confronti di esponenti politici che avrebbero fatto carriera “con i voti degli amici” per poi dimenticarsi di onorare i patti. Nel 1992 la lista nera che aveva fatto tremare lo Stato (e che avrebbe portato a “scendere a patti” per salvare loro la vita) comprendeva il ministro per gli Interventi Straordinari per il Mezzogiorno, Calogero Mannino, imputato (e assolto in primo grado) al processo trattativa Stato-mafia. E poi il palermitano Carlo Vizzini, ministro delle Poste e Telecomunicazioni, il ministro della Giustizia Claudio Martelli, Salvo Andò, catanese, socialista craxiano e ministro della Difesa. E Sebastiano Purpura, politico siciliano all’epoca assessore regionale al Bilancio, fedelissimo di Salvo Lima, democristiano, l’unico che effettivamente pagò lo scotto per non aver mantenuto le promesse con i boss mafiosi, cosa che diede il via al biennio stragista “targato” Totò Riina. Una linea da alcuni ancora rimpianta, che aveva in cima alla lista sempre la stessa spinosa questione: quella del del 41 bis. “Totò (Riina, ndr) ha capito tutte cose (…) se avevamo lui qua!” si lamenta Pollichino. “Ma nessuno però fa niente per lui… – rincara la dose Masaracchia, riferendosi ai messaggi del boss corleonese veicolati all’esterno del carcere – nessuno, non gli dà conto più nessuno, lui si lamenta, si fa, si dice…”. Messaggi che solo per ora non hanno trovato risposta al di fuori delle sbarre.
Per colpire il ministro Alfano si profilava una fase ideativa: “A Roma ho già il posto – diceva Masaracchia – a Roma c’è gente che ha una casa e la mette a disposizione che te la dà un giorno prima, per questo c’è solo di essere… perché ora… se lui per esempio per ora in Italia… è fuori Italia, però appena lui rientra (…) Appena a lui cala il sonno! Minchia gli deve calare! Ma noialtri lo dobbiamo sminchiare dove lui se ne va a dormire, quando lui se ne va a dormire…”. Secondo i tre, l’occasione migliore si sarebbe profilata nel corso delle future elezioni, quando Alfano sarebbe dovuto rientrare in Sicilia per la campagna elettorale: “Qua appena ci sono le elezioni lui si porta…” … “… e se ne viene qua ad Agrigento, che vuole i voti degli Agrigentini…” … “… posto qua deve essere fatto…” … “… qua lo dobbiamo aspettare, tra due anni ci sono le elezioni…”. Secondo Pellitteri sarebbe stato più semplice in quanto “avendo le elezioni, scusami, che appena si porta lui diventa nessuno mischiato con niente…” … “… gli levano tutte le scorte d’appresso…”.
Nel corso della conversazione ce n’è anche per Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, quest’ultimo condannato per mafia proprio per essere stato “uomo-cerniera” tra ambienti malavitosi e imprenditoriali. Fulcro del discorso la recente notizia di un’intercettazione ambientale nella quale Riina affermava di aver ricevuto da Berlusconi un pizzo milionario (duecentocinquantamila euro ogni sei mesi) in cambio di reciproci e futuri vantaggi: “… Berlusconi esce cinquecento mila euro l’anno. Ma questi soldi dove vanno a finire?” domanda Masaracchia. “Ci sarebbe da andare a vedere quello là a chi… a chi li davano… Dell’Utri. – ribatte Pellitteri – Ora lui è dentro. A chi li portavano?”. “E qua sopra di lui – prosegue il primo – … questo vedi che fa il doppiogioco …inc… non pensare…”.

Foto © Ansa

Fonte:Antimafiaduemila