Testimoni di giustizia, Camera al voto su relazione

di AMDuemila – 22 aprile 2015

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Una legge per i testimoni di giustizia che li distingua, anche sul piano normativo, in maniera radicale, dai collaboratori, “perché non debba più succedere che si confondano collaboratori e testimoni” e l’adozione di strumenti di tutela, di assistenza economica e reinserimento lavorativo “che siano come abito sartoriale sulla vita del testimone e della sua famiglia”. Due richieste avanzate dal coordinatore del V Comitato della Commissione Antimafia, Davide Mattiello, che ha messo a punto una relazione sui testimoni di giustizia che oggi verrà votata alla Camera. “Ad oggi – ha spiegato Mattiello – a seconda del tipo delle misure speciali a cui si è sottoposti, sono differenti gli strumenti di tutela, di assistenza economica, e di reinserimento lavorativo cui si può accedere. Noi diciamo che bisogna superare questa sclerosi del sistema”. Ultimo auspicio, contenuto nella relazione, “è che si possano trovare quelle strade, quei canali, attraverso i quali valorizzare quelle scelte difficilissime di cui la cronaca ci restituisce troppo spesso narrazioni di terrore domestico. Sono le donne, sono i minori, che fanno parte di quei contesti familiari e criminali e che da quei contesti vogliono liberarsi benché non abbiano, talvolta, informazioni utili per l’autorità giudiziaria. Lo Stato deve proteggere queste scelte, costruendo percorsi di tutela e di reinserimento”.

“I testimoni di giustizia sono in tutto ottanta. Con i familiari si arrivava a un totale di circa 350 persone. Lo Stato avrebbe dovuto impegnare vere risorse e assicurare una maggiore attenzione a queste persone, non soltanto per la loro sicurezza, ma prevedendo delle tutele alla qualità della loro vita: per molti di loro ormai rovinata a causa di un intervento istituzionale errato e traumatico”. A dichiararlo il deputato M5S Giulia Sarti, nel corso del suo intervento. “Invece – ha aggiunto – i Governi che si sono succeduti hanno scelto di fregarsene, magari perché queste persone sono troppo poche o forse perché, per scomodare una maggioranza di Governo ad occuparsene, si doveva trattare di persone che alzavano di più la voce, che si facevano riconoscere di più. Invece, qui si tratta di soggetti estremamente deboli, in situazioni di estrema difficoltà e debolezza; quindi perché preoccuparsene? Lo Stato li ha isolati, lasciandoli in balia delle conseguenze derivanti dalla loro scelta, che è una scelta eroica, ma che nella realtà dei fatti dovrebbe essere una scelta normale e soprattutto dovrebbe essere una scelta onorata e valorizzata dalle istituzioni e dai cittadini. Abbiamo ascoltato dei casi e delle situazioni abominevoli, situazioni terrificanti”, ha concluso la Sarti.
Secondo la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, “riteniamo che dopo la legge del 13 febbraio del 2001, la sua applicazione e la sua sperimentazione da parte dei Governi che si sono succeduti nel tempo, sia necessario procedere ad alcune modifiche”, ha spiegato, a partire dalla definizione della figura del testimone di giustizia con una rigorosa distinzione rispetto alla figura del collaboratore. “Dobbiamo distinguere queste due figure per riuscire a portare verso la zona bianca coloro che oggi abitano la zona grigia e che molto facilmente possono invece scivolare verso la zona nera”. Altra richiesta della Bindi è che siano applicate per tutti le stesse regole, ma attraverso una forte personalizzazione, “perché si tratta comunque di storie ciascuna con la sua originalità”.
“Bisogna favorire la permanenza dei testimoni di giustizia nei luoghi di residenza” ha poi continuato il viceministro all’Interno, Filippo Bubbico. “Dobbiamo anche affrontare un problema – ha spiegato – che la relazione mette bene in evidenza e che riguarda gli operatori economici, gli imprenditori, che denunciano, che rendono testimonianza e che, per effetto della loro testimonianza, vivono situazioni particolarmente difficili nell’esercizio della loro attività economica, della loro attività produttiva, della loro attività commerciale o professionale. E allora vanno studiate, come nella relazione viene suggerito, quelle modalità, conformi all’ordinamento comunitario, che possano favorire l’assegnazione diretta di commesse, l’esecuzione di opere da parte della pubblica amministrazione, in ragione compatibile con le regole della concorrenza e del mercato. Occorrerà definire eventualmente una specifica misura da notificare alla Commissione europea, perché possa essere praticato un regime di esenzione, magari modulato per determinati valori, per quegli operatori economici che testimoniano la loro volontà di opporsi alle organizzazioni criminali”.

Fonte ANSA