Sit-in per Saverio Masi: l’attesa per una giustizia che ancora non c’è

di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari – 17 aprile 2015

Davanti alle Prefetture di dodici città italiane, in diversi orari, si sono tenuti i sit-in (e in alcuni casi si stanno ancora tenendo) per il maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi. Da Modena a Lecce, da Bologna a Trapani, da Varese a Palermo, da Udine a Bologna passando per Roma, Catania, Napoli e Torino. Tre giorni fa nella città di Palermo sono comparsi manifesti in sostegno al M.llo Masi, con le adesioni di A.N.A.A.M. Associazione Nazionale Attilio Manca, SCORTA CIVICA Palermo), SPAZI POPOLARI  (Sannicola-Le),  COMITATO 23 MAGGIO (Palermo),  MUOVI PALERMO, Fond. LA CITTA’ INVISIBILE (Catania). Quella di oggi è stata l’anteprima dell’appuntamento davanti alla Cassazione del prossimo 24 aprile. Ma per quale motivo una parte della società civile si è riunita attorno alla figura del caposcorta del pm Nino Di Matteo?

Cronologia ragionata
I fatti risalgono al 2008 quando Saverio Masi lavorava al Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri nel capoluogo siciliano. “Usavamo le macchine di amici perché i mafiosi conoscevano le nostre auto di servizio”, aveva dichiarato il maresciallo durante la sua deposizione al processo Mori-Obinu. Nel momento in cui la sezione della Polizia Stradale di Palermo ha chiesto la conferma della versione del maresciallo, i superiori lo hanno denunciato all’autorità giudiziaria perchè nessun ufficiale lo avrebbe autorizzato ad usare una vettura privata durante il servizio di polizia giudiziaria quel giorno, oltre al fatto che nessuna annotazione dell’autorizzazione sarebbe stata riportata. Secondo l’accusa avrebbe quindi falsificato un atto del proprio ufficio per far annullare una sanzione del codice della strada di 106 euro, riportata durante un servizio svolto con una vettura privata. Da rimanere basiti. Le indagini svolte dall’avvocato di Masi, Giorgio Carta, hanno confermato l’uso ripetuto e continuativo di autovetture private per indagini investigative e l’ufficiosità di questa procedura.

Una sentenza
Lo scorso 8 ottobre la Corte d’Appello di Palermo, assolvendo Masi dal reato di falso ideologico del quale era stato precedentemente accusato (insieme agli altri due reati) aveva accertato che quel giorno il carabiniere era in servizio e dunque il problema era limitato al fatto che Masi avrebbe firmato al posto di un’altra persona per dichiarare il vero. Risultato: una condanna a 6 mesi, pena sospesa.

Masi, Ciancimino, Provenzano e Messina Denaro
Nel 2010 Masi aveva testimoniato al processo Mori-Obinu denunciando, tra l’altro, che nel corso di una perquisizione nel 2005 a casa di Ciancimino, un capitano dei carabinieri aveva individuato il papello di Totò Riina contenente le 12 richieste di Cosa nostra allo Stato. Il documento sarebbe stato però escluso dal rapporto perché i superiori avrebbero sostenuto di esserne già in possesso. Di fatto, però, risulta che il documento di Riina fu consegnato ai magistrati da Massimo Ciancimino solo nel 2009. In seguito un superiore, rivolgendosi a Masi, gli aveva consigliato di non indagare più su Provenzano. Stessa cosa per l’inchiesta su Matteo Messina Denaro, ultimo boss latitante.

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Il Palazzaccio

Lo scorso ottobre la Corte di Cassazione avrebbe dovuto pronunciarsi sulla sentenza per il maresciallo Masi. A causa dell’indisposizione del relatore designato, però, la sentenza è stata rinviata al 24 aprile davanti ad un collegio diverso. Quel giorno si concluderà un iter giudiziario – a dir poco paradossale – che a tutti gli effetti appare come un segnale chiaro: colpirne uno per educarne cento.

Voci dalla piazza
“Sono qui per solidarietà al maresciallo Saverio Masi che è stato condannato ingiustamente”, dichiara senza mezzi termini Luciano Traina davanti alla Prefettura di Palermo. “In Italia non c’è giustizia – aggiunge il fratello dell’agente Claudio Traina, assassinato nella strage di via D’Amelio –, e quando lo Stato ti schiaccia fa ancora più male di quando lo fa la mafia”. Poco più in là ci sono Vincenzo e Augusta Agostino. La lunga barba bianca del padre dell’agente Nino Agostino (ucciso nel 1989 assieme a sua moglie Ida Castelluccio, incinta di pochi mesi) spicca tra le persone presenti al presidio. Vincenzo ci tiene a dire di essere venuto “per stare accanto a un uomo coraggioso come Saverio Masi che non si è girato dall’altra parte, un uomo che voleva la verità”. “Non è possibile accettare che sia stato messo sotto processo”, aggiunge con forza prima di pronunciare amaramente quelle domande che gli battono in testa: “ma lo Stato vero dov’è? Dov’è questo Stato nei confronti del quale Masi ha giurato fedeltà?  E soprattutto: quando verrà fuori questa verità?”. Tra le varie sigle che hanno aderito al sit-in di Scorta Civica (Palermo) si vedono le bandiere dell’ANPI – Palermo “Comandante Barbato”, simbolo di grandi battaglie. Sventolano anche le bandiere del SIPPE, sindacato di Polizia Penitenziaria, e della relativa associazione Diritti & Tutela, in loro rappresentanza c’è il vicepresidente di AD&T Maurizio Mezzatesta (venuto assieme al Presidente dell’associazione Antonino Piazza) che interviene spiegando i motivi della loro presenza. “Conosco la storia del maresciallo Masi – spiega – che è un po’ la storia di coloro che si impegnano ogni giorno per un futuro migliore, per un Paese libero dalla mafia”. Per Mezzatesta è “del tutto assurdo che non vengano dati i giusti meriti a un carabiniere come Masi che ha dato la sua vita per le istituzioni e continua a tutelare un importante giudice antimafia come Nino Di Matteo, ed è per questo motivo che oggi siamo qui a dargli solidarietà”.  L’appuntamento è per venerdì 24 aprile davanti alla Cassazione. In attesa di quella giustizia che ancora non c’è.

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Fonte:Antimafiaduemila