Israele, «depositi di bambini» per i figli dei migranti

Depositi

 

Di Michele Giorgio

Quando la sera vado a ripren­dere i miei due figli, non ho la cer­tezza di tro­varli vivi». È la frase agghiac­ciante pro­nun­ciata l’altro giorno da una gio­vane madre eri­trea inter­vi­stata dalla radio mili­tare israeliana.

Parole che descri­vono uno dei drammi più gravi che vivono tanti eri­trei, suda­nesi e altri migranti afri­cani in Israele, costretti per neces­sità a lasciare i figli per tutto il giorno in asili nido improv­vi­sati e privi di strut­ture minime. Sono dei “depo­siti per bam­bini” a tutti gli effetti, dove le con­di­zioni sono disu­mane e peri­co­lose: dall’inizio dell’anno sono morti cin­que pic­coli, l’ultimo, di soli 4 mesi, tre giorni fa. A lan­ciare l’allarme è una Ong locale, “Ali di Crembo”. I suoi volon­tari denun­ciano che in Israele ci sono decine di que­sti “depo­siti” che ospi­tano oltre 2000 bam­bini, su una popo­la­zione di migranti eri­trei e suda­nesi di circa 42 mila per­sone. Bam­bini di fatto abban­do­nati a se stessi che sono sti­pati per ore ed ore in ambienti poco areati, quasi senza cibo, spesso con un unico pan­no­lino per tutto il giorno. Una neo­nata è morta sof­fo­cata dal pro­prio biberon.

È inter­ve­nuta anche la lea­der del par­tito Meretz, Zahava Galon, che ha lan­ciato un appello al pre­mier Neta­nyahu affin­chè inter­venga con urgenza. Ma è impro­ba­bile che l’esecutivo scenda in campo facen­dosi com­ple­ta­mente carico della con­di­zione di que­sti bam­bini, visto che ha impo­sto negli ultimi anni un giro di vite sull’immigrazione. Israele di recente ha ulte­rior­mente irri­gi­dito la sua posi­zione. I migranti afri­cani, rife­ri­scono i media locali, nei pros­simi giorni saranno con­vo­cati e messi di fronte alla scelta se sta­bi­lirsi in Uganda o in Ruanda (con voli pagati da Israele e con asse­gni per far fronte alle prime neces­sità) oppure andare incon­tro alla depor­ta­zione con la forza. Si opporrà rischia di essere rin­chiuso nel car­cere di Saha­ro­nim, nel deserto del Neghev. Due­mila afri­cani si tro­vano già nella cosid­detta “strut­tura aperta” di Holot, di fatto un altro cen­tro di deten­zione per migranti sem­pre nel Neghev.

Nono­stante le pro­te­ste dei cen­tri per i diritti umani locali e inter­na­zio­nali, le auto­rità israe­liane pro­se­guono la loro poli­tica. Secondo i dati del governo lo scorso anno 5.803 immi­grati avreb­bero scelto di “lasciare” Israele e di andare in Ruanda e Uganda. Resta incerta anche la con­di­zione dei richie­denti asilo.

Israele negli anni pas­sati ha rico­no­sciuto que­sto sta­tus in pochis­simi casi nono­stante un numero ele­vato di migranti pro­ven­gano da paesi scon­volti da gravi con­flitti armati o dove sono siste­ma­ti­ca­mente vio­lati i diritti umani. Le auto­rità invece riten­gono che gli afri­cani entrati ille­ga­mente nel Paese lo abbiamo fatto per cer­care lavoro e non per sfug­gire a guerre e per­se­cu­zioni. Le norme per le espul­sioni per­ciò sono appli­cate spesso anche nei con­fronti dei richie­denti asilo.

Le riso­lu­zioni delle Nazioni Unite obbli­gano gli Stati a ren­dere pub­blici gli accordi di “tra­sfe­ri­mento” dei richie­denti asilo e ad accer­tarsi che poi siano pro­tetti nel paese di acco­glienza. Tel Aviv al con­tra­rio con­ti­nua a non rive­lare i punti degli accordi con Ruanda ed Uganda. «Dubito che tali patti siano messi per iscritto. Gli stessi Stati coin­volti negano che ci siano delle intese», denun­cia Oded Peler, respon­sa­bile per i migranti all’Associazione per i Diritti Civili «(gli espulsi) sono accolti in Paesi terzi senza avere uno sta­tus giu­ri­dico né la ras­si­cu­ra­zione che non saranno con­se­gnati alle auto­rità dei loro Stati d’origine. Israele è tenuto a comu­ni­care quale è il prezzo che paga per potersi disfare dei richie­denti asilo, in soldi, in armi o in altri modi».

Fonte:Ilmanifesto