Maurizio Artale: educare i bambini prima che venga la mafia ad "allevarli"

di Lorenzo Baldo
artale-maurizio-2

I Graviano sono purtroppo la storia di Brancaccio. Ma non tutta la storia. C’è una parte di questo quartiere che vive di lavoro. Ci sono persone che sono combattute tra la scelta di seguire l’esempio di Padre Puglisi e quella di appartenere ai Graviano. Tra alcuni di coloro che hanno arrestato nell’operazione “Zefiro” c’erano pure persone che portavano i propri figli al Centro Padre Nostro. Qui c’è tanta povertà e malauguratamente la mafia rappresenta per molti una via immediata per guadagni facili. Quando avvengono queste retate il problema che rimane è del tutto oggettivo: chi si prenderà cura dei figli e delle mogli degli arrestati? Spesso è il mafioso di turno ad occuparsene portando 500/600 euro al mese a queste famiglie. Quando i padri di questi bambini escono dal carcere vanno immediatamente a ringraziare quei mafiosi che si sono presi cura della propria famiglia. E’ questa la catena che va spezzata.

Un dato allarmante che emerge da questa operazione è quello degli imprenditori che andavano spontaneamente a pagare il pizzo.
Questa ormai è diventata una regola non detta. Se io apro un negozio a Palermo, specialmente in quartieri come quello di Brancaccio, so già che dovrò andare a cercare la persona a cui pagare il pizzo. Ed è per questo che Padre Puglisi è stato ucciso: perché non chiedeva permesso a nessuno e ai Graviano non andava giù che lui facesse il “padre” quando c’erano già loro come “padrini”.

La scelta di questi imprenditori è comunque una sconfitta, non solo per Brancaccio.
Certamente, è una sconfitta è per tutta Palermo, per tutta la Sicilia. Una sconfitta per tutte le persone oneste che sono consapevoli di dover affrontare, non solo la crisi economica, ma anche gli esattori del pizzo. Il problema è che e istituzioni non sono abbastanza vicine a queste persone. Le istituzioni devono far sentire la vicinanza quotidianamente, non soltanto dopo che è avvenuta l’estorsione. Il problema non è quello di sentirsi non protetti, ma sentirsi in un contesto di accoglienza, quello che cerca di fare il Centro padre nostro.

Di fatto il centro Padre Nostro continua ad essere oggetto di raid vandalici e minacce che lasciano intravedere la mano mafiosa. Come è possibile riuscire a lavorare in questo quartiere quando le istituzioni, spesso, sono assenti?
La nostra è una scelta civile, ma soprattutto di fede. Abbiamo voluto seguire l’opera di Padre Puglisi, abbiamo capito che lui aveva tracciato un percorso che si realizzava proprio nell’essere uomo. Crediamo fortemente che quella sia la strada giusta. Tante volte ci siamo appellati alle istituzioni per instaurare un dialogo, per mettere in campo delle strategie comuni per fare in modo che i ragazzi di Brancaccio evitino di scegliere la mafia. Non sempre abbiamo avuto risposte. Sono fermamente convinto che un’azione congiunta dia i suoi frutti. Il successo dell’operazione di oggi svanirà presto, perché tra due mesi, o tra un anno, se ne dovrà fare un’altra. Quindi la domanda è: tra una retata e l’altra cosa fanno le istituzioni? Gli atti vandalici che ha subito il centro Padre Nostro nell’arco di pochi giorni sono il sintomo di questa attenzione a corrente alternata.

E quali sono, allora, le responsabilità politiche se Cosa Nostra a Brancaccio è ancora così potente?
Le responsabilità sono quelle di non aver mai voluto ascoltare chi vive il territorio. Chi viene eletto nei territori poi si dimentica del territorio stesso. I politici si dimenticano e ormai non c’è più destra, centro o sinistra che sia, c’è una sorta di omogeneità: ognuno tende al proprio profitto. Una volta si rubava per il partito, oggi si ruba per se stessi.

A questo punto come si può spezzare questo circolo vizioso che permette questo continuo riciclo? Di fatto dopo ogni operazione antimafia gli uomini arrestati vengono immediatamente rimpiazzati.
Dobbiamo seguire quello che ci ha insegnato Padre Puglisi. La prima cosa che lui vide era che a Brancaccio mancava una scuola. Si deve cominciare dagli asili nido, dalle scuole elementari, dalle scuole medie e dalle scuole superiori. E’ la scuola che forma i buoni cittadini. Questo ormai non c’è più. Troppo spesso nelle scuole si fa una vera e propria propaganda di grandi progetti antimafia che non valgono assolutamente niente. Vengono spesi milioni di euro per progetti antimafia che non servono a nulla. Noi invece dobbiamo formare gli insegnati. Dobbiamo formare i preti per fare in modo che facciano vivere le parrocchie di frontiera. E soprattutto bisogna educare questi bambini, alcuni dei quali non sanno né leggere né scrivere, bambini che non hanno niente. Dobbiamo farlo prima che arrivi la mafia ad “allevarli”. Perchè se noi li educhiamo fin da piccoli a capire qual è la differenza tra il bene e il male questi bambini potranno scegliere. Altrimenti rischiamo di trovarci ancora con dei ragazzi che si vedono “costretti” ad andare verso la mafia perché non vedono altre possibilità. Con questo non intendo certo giustificarli, ma se siamo ancora in questa situazione è anche per colpa del disinteresse della politica, ed è colpa di chi applaude alle retate ma poi, all’indomani, non si spende quotidianamente nel territorio.

Tratto da: loraquotidiano.it

Foto © Paolo Bassani

* Aggiornamento 16 novembre 2014. Poco fa sul sito del Centro Padre Nostro è stata pubblicata la notizia che ieri sera qualcuno ha cercato di entrare nel gazebo del Centro Polivalente Sportivo “Padre Pino Puglisi e Padre Massimiliano Kolbe” scardinando la serranda in alluminio. In quella stessa giornata al Teatro Brancaccio si svolgeva una manifestazione di solidarietà per il Centro di Accoglienza Padre Nostro, per gli atti intimidatori subiti il mese scorso. “I grandi vengono arrestati la scorsa notte e i piccoli già scalpitano per farsi notare e prendere il loro posto – ha scritto sul sito il Presidente del Centro Maurizio Artale –. Un plauso va alle forze dell’ordine per il loro lavoro e impegno, ma rischia di essere vanificato se le altre istituzioni e la politica non faranno la loro parte”.