Strage sulla sabbia di Gaza

Il corpo è nudo, anne­rito. Non c’è trac­cia di cami­cia e pan­ta­lon­cini, bru­ciati com­ple­ta­mente dal calore dell’esplosione. Sulla barella por­tata a mano dagli uomini del pronto soc­corso, giace un pic­colo cada­vere. «E’ un bam­bino, è un bam­bino, anche gli altri erano bam­bini», grida qual­cuno cor­rendo tra la folla di foto­grafi e gior­na­li­sti accorsi alla capanna in fiamme sulla spiag­gia di Gaza city. Un foto­grafo dice di aver visto un bam­bino tenersi il ven­tre e chie­dere aiuto. L’inviato del Guar­dian è uno dei primi a soc­cor­rere un ragaz­zino ferito. Poi sono urla di dispe­ra­zione e dolore. I pic­coli uccisi sono quat­tro, cin­que quelli feriti. La corsa delle ambu­lanze è breve, verso il vicino ospe­dale Shifa, per sal­vare i più gravi. La strage dei cugini Bakr — Ahed, Zaka­ria, Ramez e Moham­med, ai nove ai 13 anni — è avve­nuta pro­prio davanti all’Abu Gha­lion Buil­ding, dove si trova l’appartamento nel quale lavo­riamo con altri gior­na­li­sti da quando è comin­ciata l’offensiva israe­liana con­tro Gaza. A poche decine di metri di distanza, sulla spiag­gia, non lon­tano dall’hotel Deira dove allog­giano i gior­na­li­sti delle testate inter­na­zio­nali più note. Il mas­sa­cro che non lascia spa­zio ad inter­pre­ta­zioni, è davanti agli occhi e alle tele­ca­mere di tutti.

«Gio­ca­vano sem­pre in que­sta zona, da quando è finita la scuola – ricorda Amr, un gio­vane che cono­sceva i bam­bini — Face­vano quello che fanno i ragaz­zini che vanno al mare. Nuo­tate, gio­chi sulla sab­bia, corse die­tro a un pal­lone. Ama­vano riu­nirsi in quella capanna per pro­teg­gersi dal sole durante le ore più calde». Ahed, Zaka­ria, Ramez e Moham­med distraen­dosi con il gioco in spiag­gia forse pro­va­vano a dimen­ti­care lo spa­vento per i boati spa­ven­tosi di bombe e mis­sili che di notte cadono non lon­tano. I Bakr vivono in buona parte tra Viale Omar al Mukh­tar e l’area a ridosso del campo pro­fu­ghi di Shate. Un dolore immenso ora lacera le fami­glie dei bam­bini uccisi in un luogo che i geni­tori rite­ne­vano sicuro. Non hanno voglia di incon­trare repor­ter stra­nieri. Gli occi­den­tali par­lano, si dicono difen­sori dei diritti, pro­met­tono e poi per Gaza non cam­bia mai nulla. L’assedio israelo-egiziano resta in piedi, la Stri­scia è una prigione.

Arri­vano gli aggior­na­menti, da Israele comu­ni­cano che è stato scelto un gene­rale. Noam Tibon, per inda­gare sulle quat­tro ucci­sioni. A Gaza nes­suno crede che gli israe­liani ren­de­ranno giu­sti­zia ai bimbi morti. Per ora si sa sol­tanto che spa­rare è stata una unità da guerra della Marina. Due mis­sili o colpi di can­none a guida elet­tro­nica. Il primo ha ferito alcuni dei pic­coli, poi men­tre arri­va­vano i soc­corsi, è caduto il secondo colpo che ha fatto strage. Forse è la stessa moto­ve­detta che la scorsa set­ti­mana ha ucciso con un mis­sile nove pale­sti­nesi che guar­da­vano una par­tita dei Mon­diali. La strage dei quat­tro bam­bini ci ha sor­preso ma solo in parte. Siamo noi stessi testi­moni del fuoco che, durante la notte, le navi israe­liane aprono sul por­tic­ciolo di Gaza city. Qual­che sera fa un mis­sile ha cen­trato una piaz­zola alle spalle dell’hotel Adam, a pochi metri dalla capanna col­pita ieri. Un paio di giorni dopo, a qual­che cen­ti­naia di metri di distanza, un razzo giunto dal mare ha col­pito e incen­diato l’Arca dei Gaza, il bat­tello della Free­dom Flot­tilla. E in que­ste ultime sere dal mare sono arri­vati colpi con­tro il molo. Non cono­sciamo il motivo di tanto inte­resse della Marina israe­liana verso que­sti pochi metri di spiag­gia nella zona più ricca di tutta la Stri­scia di Gaza.

La strage degli inno­centi è aggra­vata dall’uccisione a Khan Yunis di un altro bam­bino, Omar Abu Daqqa, 10 anni, assieme a due parenti, Ibra­him Abu Daqqa e l’anziana Kha­dra Abu Daqqa: un mis­sile sgan­ciato da un drone ha tra­sfor­mato in un ammasso di lamiere con­torte il taxi sul quale viag­gia­vano. Irri­co­no­sci­bili i cada­veri. Khan Yunis è stata presa ancora di mira in serata con sei pale­sti­nesi uccisi, tra i quali un ragaz­zino. Un mis­sile sgan­ciato da un aereo israe­liano poco prima aveva distrutto un edi­fi­cio a Gaza city ucci­dendo Hamza Fares, 6 anni. Una bimba di 5 anni, invece è pre­ci­pi­tata dal bal­cone del suo appar­ta­mento al quarto piano per la forte la scossa gene­rata dal crollo di un palazzo vicino cen­trato da una bomba ad alto poten­ziale. Almeno 23 pale­sti­nesi sono stati uccisi ieri, 220 dall’8 luglio.

La spiag­gia dovrebbe essere un luogo sicuro per i bam­bini, così come ospe­dale dovrebbe esserlo per gli amma­lati e per il per­so­nale medico che li assi­ste. Una regola ovvia che qui a Gaza non tutela il Wafa Hospi­tal di Shu­jayeh, nella zona Est del capo­luogo. Già sog­getto al “roof knoc­king” — i razzi di avver­ti­mento sgan­ciati dalle forze armate israe­liane con­tro un edi­fi­cio civile prima di distrug­gerlo com­ple­ta­mente – e poi col­pito da un mis­sile che ha distrutto il quarto piano, il Wafa Hospi­tal con­ti­nua ad essere sot­to­po­sto a forti pres­sioni da parte delle auto­rità israe­liane che ne chie­dono l’evacuazione imme­diata. La strut­tura sani­ta­ria, spe­cia­liz­zata in geria­tria e nel trat­ta­mento delle disa­bi­lità, si trova a meno di due chi­lo­me­tri dalle linee di demar­ca­zione con Israele. Medici e infer­mieri sono con­vinti che l’esercito intenda distrug­gere il Wafa, assieme a molte case di Shu­jayeh, allo scopo di allar­gare la “zona cusci­netto” tra Gaza e Israele. Chi vive lungo il con­fine, da nord fino a sud, ha rice­vuto avver­ti­menti minac­ciosi dai comandi mili­tari. Almeno 100 mila pale­sti­nesi hanno tro­vato sui loro cel­lu­lari un sms che intima loro di abban­do­nare le case. In quella zona, afferma l’esercito israe­liano, avver­ranno bom­bar­da­menti a tap­peto e, con ogni pro­ba­bi­lità, l’invasione di terra di cui si parla da diversi giorni.

Al tete­fono del diret­tore del Wafa, Basman Ala­shi, arri­vano avver­ti­menti con­ti­nui. Eppure lui ed i suoi medici non mol­lano. «Molti dei nostri pazienti sono di età mista dai 16 anni agli 85 o 95 anni. Sono tutti gra­ve­mente disa­bili, para­liz­zati e ina­bili al movi­mento, indi­fesi. Noi non pos­siamo lasciarli soli: neces­si­tano assi­stenza 24 ore su 24», spiega Ala­shi. «Mar­tedì, a tarda sera, — ricorda il medico — lo staff ha rice­vuto una chia­mata delle forze armate israe­liane che avver­tiva della neces­sità di eva­cuare l’edificio da mer­co­ledì mat­tina per­ché lo avreb­bero attac­cato: panico, paura, corse a destra e sini­stra: medici e infer­mieri non sape­vano cosa fare ma non hanno perso il con­trollo e hanno deciso di spo­stare i pazienti dal primo piano al piano terra per sicu­rezza. Cin­que minuti più tardi abbiamo rice­vuto una nuova chia­mata che diceva di eva­cuare a causa di un attacco mas­sivo in quell’area pre­sto in mattinata…I dot­tori mi hanno chie­sto cosa fare, ho detto non ce ne andiamo. I pazienti sono indi­fesi, non pos­sono muo­versi, non pos­sono man­giare, non pos­sono fare nulla senza il nostro aiuto». A pro­teg­gere il Wafa Hospi­tal hanno con­tri­buito otto volon­tari stra­nieri, alcuni dell’Ism, che si sono siste­mati nell’ospedale spe­rando di dis­sua­dere l’esercito israe­liano dal com­piere un atto di forza con­tro la strut­tura sanitaria.

In que­sta stri­scia di terra non arri­vano noti­zie di tre­gue immi­nenti ma le minacce israe­liane non spa­ven­tano la gente, molti pre­fe­ri­scono rima­nere a casa, nono­stante i rischi. Il pre­mier Benya­min Neta­nyahu ieri ha detto che Israele andrà avanti fino al disarmo di Hamas e ha fatto richia­mare altri 8mila riser­vi­sti. Il movi­mento isla­mico ha rispo­sto lan­ciando doz­zine di razzi verso diverse città del cen­tro di Israele. L’offensiva di terra è sem­pre più vicina.

Fonte:Ilmanifesto