Come sta Cosa nostra? Benissimo

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Finalmente dal processo sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra nel ’92-’93 emergono notizie importanti su quello che è accaduto in quegli anni nel nostro Paese. Due pentiti,  Maurizio Avola e Filippo Malvagna, hanno rivelato particolari di rilievo su quel periodo. Hanno raccontato che “nei primi mesi del 1992 ci fu una riunione in provincia di Enna tra Salvatore Riina e Nitto Santapaola in cui si voleva stabilire una strategia di contrasto con lo Stato da parte  dell’associazione mafiosa siciliana. Malvagna ha sostenuto di aver presto questi particolari da suo zio, il boss Giuseppe Pulvirenti detto “u’ Malpassotu”. Durante quel colloquio Riina e Pulvirenti avrebbero discusso di atti non solo di sangue ma anche dimostrativi e di pressione psicologica per lanciare la controffensiva della mafia contro le istituzioni. Sempre nell’incontro di Enna, Riina disse  che ogni atto doveva essere rivendicato e firmato dalla Falange Armata.

“Fu Riina – ha detto Pulvirenti – a decidere una simile strategia perchè io non avevo mai sentito parlare della Falange Armata. Secondo Malvagna, la finalità prima era quella di “destabilizzare l’Italia, spaventare l’opinione pubblica e far perdere definitivamente la faccia allo Stato.” Poco dopo la strage di via d’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e tutta la sua scorta, il pentito Michele Squarciapino disse che “c’erano delle istituzioni, servizi segreti italiani, che volevano avere un contatto con Pulvirenti o Santapaola. Dovevano consegnarsi e in cambio avrebbero avuto un trattamento di favore, carcere duro e poi arresti domiciliari. Ma Riina disse di no. La speranza che emerge dai colloqui di cui si parla nel processo di Palermo è che quello che stava succedendo nel biennio 1992-93 avrebbe provocato, da lì ai due anni successivi, un cambiamento politico importante e “le cose sarebbero andate per il verso giusto”. Questo è emerso con particolare chiarezza nell’udienza del 27 giugno scorso.
Intanto, sempre a Palermo, è stata depositata la sentenza di oltre 700 pagine che riguarda l’ex sottosegretario di Forza Italia Antonio D’Alì, ex deputato di Trapani. Dalla sentenza emerge la prova “che Antonio D’Alì ha intrattenuto relazioni con l’associazione mafiosa siciliana fino agli anni Novanta e ne ha avuto certezza l’appoggio elettorale alle quali si è candidato, cioè fino al 1994.
Il giudice per l’udienza preliminare ha riportato le risultanze emerse tra l’altro dal pentito Cannella. Cannella, giudicato “pienamente attendibile come testimone” scrive il giudice, “ha espressamente affermato che Vincenzo Virga (capo mafia del trapanese) aveva dapprima indicato Antonio D’Alì tra le persone da coinvolgere nella nascita di Sicilia libera, ossia del partito mediante il quale Cosa Nostra aveva inteso ottenere diretta rappresentanza politica, per la tutela  dei propri interessi senza mediazione dei partiti politici tradizionali e che avrebbe dovuto operare per il tramite di personaggi puliti.” “Nonostante Cannella abbia riferito di non aver mai incontrato D’Alì, quest’ultimo ricevette l’investitura da Vincenzo Virga nel corso di una riunione indetta ad hoc, cui partecipò pure Giuseppe Marceca che in effetti si occupò del progetto fino a tanto che il sodalizio non decise di convogliare i propri voti verso Forza Italia.” A quanto pare, se non abbiamo capito male, il processo di Palermo è destinato a riservare nuove sorprese su quella pagina ancora oscura della nostra storia recente.