La strategia di Obama: separare la Russia dall'Europa

di G. Colonna
Nei giorni immediatamente precedenti la celebrazione dei settant’anni dallo sbarco alleato in Normandia, la Casa Bianca ha assunto delle posizioni ufficiali sulla situazione nell’Est europeo che meriterebbero molta maggiore attenzione di quella che l’Europa, concentrata sui risultati elettorali e sulla perdurante crisi economica, gli ha riservato.
Il 3 giugno scorso, infatti, è stata ufficialmente lanciata la European Reassurance Initiative, con la quale il presidente americano ha richiesto al Congresso degli Stati Uniti un miliardo di dollari, da iscrivere nel bilancio della difesa statunitense 2015 tra le Overseas Contingency Operations (OCO), per finanziare una serie di misure di carattere militare che il governo Usa intende adottare. Intensificazione, utilizzando a rotazione truppe americane, di addestramento ed esercitazioni congiunte nel territorio degli alleati europei di più recente accessione; pianificazioni congiunte con gli stessi Paesi, per accrescere la loro capacità di programmazione di quelle attività; potenziamento delle capacità di risposta degli Usa a supporto della NATO, mediante la predisposizione di strutture di pre-posizionamento di equipaggiamenti e truppe; aumento della partecipazione della flotta Usa alle attività NATO, per potenziarne la presenza nel Mar Baltico e nel Mar Nero; crescita della capacità di Paesi “stretti alleati” ex-sovietici, come Georgia, Moldova e Ucraina, di collaborare con gli Stati Uniti e la NATO, e di sviluppare le proprie forze di difesa.
La Casa Bianca ha contestualmente presentato una sorta di riepilogo delle attività svolte dalle forze militari nordamericane negli ultimi mesi in relazione alla crisi ucraina. Schieramento di circa 600 uomini della 173a brigata paracadutisti in addestramento con Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, come primo passo per ulteriori esercitazioni che avranno luogo nei prossimi mesi, oltre a quelle già svolte nel corso di questi mesi, come la Steadfast Javelin 1, attuata da oltre 6000 uomini della Nato in Estonia, a maggio; dislocamento a rotazione di alcune unità navali statunitensi (USS Donald Cook; USS Taylor; USS Vella Gulf; USS Truxtun) nel Mar Nero, per attività di pattugliamento e addestramento con Romania, Georgia, Turchia; aumento del numero di marines Usa in Romania, sempre destinati al teatro del Mar Nero; sviluppo della collaborazione con l’aviazione polacca, con il dislocamento di ulteriori F-16 e di tre C-130J, velivoli militari da trasporto; supporto alla sorveglianza aerea da parte della NATO e dell’Ucraina; aumento da quattro a dieci dei cacciabombardieri F-15C già dislocati in Lituania.
Particolarmente significativa, inoltre, la decisione americana di incrementare il sistema missilistico Aegis nel teatro europeo, mediante lo spiegamento di quattro incrociatori dotati di questo sistema d’arma ai quali si aggiungono altri due Aegis, questa volta basati a terra, in Romania (2015) e Polonia (2018), il tutto coordinato da una base radar in Turchia. Questo sistema integrato di combattimento fa parte dello schema di graduale costruzione del cosiddetto sistema di difesa anti-missile balistico europeo, che la Russia ha sempre considerato come una grave minaccia alla propria sicurezza: la già ricordata USS Donald Cook è una delle unità destinate a farne parte. Non a caso, proprio nei confronti di questa unità un velivolo militare russo, unicamente dotato di sistemi elettronici, avrebbe operato un’azione di disturbo che sembra abbia neutralizzato il sistema Aegis della fregata statunitense, con effetti a quanto pare demoralizzanti sui ventisette marinai americani a bordo.
La Casa Bianca ricorda infine la collaborazione rafforzata della NATO con l’Ucraina, decisa lo scorso 5 marzo, con un potenziato collegamento con le autorità civili e militari ucraine, il rafforzamento della capacità militare del Paese e gli sforzi congiunti per includere l’Ucraina nei progetti multinazionali di addestramento.
Rendendo pubblica l’European Reassurance Initiative, insieme a questa lunga serie di attività militari, gli Stati Uniti dimostrano di avere assunto una decisione che va ben oltre la questione ucraina. Infatti, il presidente Obama dà di questi atti una lettura molto più ampia, esprimendo una vera e propria linea strategica: creare una linea di demarcazione politico-militare lungo i confini occidentali e meridionali della Russia, inglobando sotto l’ombrello della Nato, o includendo in accordi di collaborazione militare diretta con gli Usa, i Paesi dell’est Europa un tempo parte dell’Urss (Ucraina, Moldavia e Georgia) o membri del patto di Varsavia, come Romania, Polonia, Paesi Baltici, Bulgaria.
Questa decisione indica un approccio assai più radicale di quanto non abbia confusamente cercato di fare l’Unione Europea lo scorso autunno, tentando di accelerare in Ucraina una decisione pro o contro la Russia: oggi sembra anzi che questa mossa europea, subito apparsa immotivatamente precipitosa, non abbia fatto altro in realtà che preparare il terreno alla nuova impostazione statunitense, la cui importanza non può in alcun modo essere sottovalutata.
La radicalità della linea americana, del resto, è stata confermata dal discorso che il presidente Obama ha pronunciato due giorni dopo, il 5 giugno, a Varsavia, in occasione di un altro importante anniversario, il venticinquesimo della caduta del regime comunista in Polonia. La riaffermazione del legame privilegiato degli Usa con questo Paese, nella tradizione della politica estera britannica nel continente; l’abile ripresa dell’affermazione di Giovanni Paolo II, “non può esservi alcuna Europa senza una Polonia indipendente”; l’esaltazione del modello politico economico sociale della democrazia occidentale – sono argomentazioni servite di premessa, a nostro avviso, per un durissimo attacco lanciato in modo estremamente diretto contro la Russia.
” I giorni degli imperi e delle sfere di influenza sono finiti. Alle nazioni più grandi non è permesso intimidire le piccole, o imporre la loro volontà con la canna di un fucile o con uomini mascherati che prendono il controllo di edifici. Né legittimare la sottrazione di un territorio confinante con un tratto di penna. Non accetteremo l’occupazione russa della Crimea o la sua violazione della sovranità dell’Ucraina. Le nostre libere nazioni rimarranno saldamente unite, in modo che ulteriori provocazioni della Russia significheranno soltanto maggior isolamento e maggiori costi per la Russia. Perché, dopo avere investito tanto sangue e risorse per riunire l’Europa, dovremmo permettere che le oscure tattiche del XX secolo definiscano anche il nuovo secolo?”.
Sono certo affermazioni che rientrano nella tradizione del wilsonismo americano: e proprio come quelle non tengono minimamente conto dell’evidente contraddizione con la politica di un impero come quello americano che anche nel XXI secolo ha generato guerre per difendere una sfera di influenza mondiale alla quale gli Usa non sembrano voler rinunciare. Ma quello che oggi più interessa rilevare è l’espressa volontà nordamericana di contrapporre un’Europa unita alla Russia, attraverso l’inglobamento dei Paesi est europei nella sfera di influenza atlantica di cui gli Usa sono egemoni.
Resta questo il punto fondamentale sul quale l’Unione Europea avrebbe dovuto seriamente interrogarsi, mentre le nostre classi dirigenti sembrano invece aver scelto di seguire supinamente gli Usa, senza aver mai dato vita ad alcun serio dibattito. Non è difficile indovinare allora quello che dovrà fare la Russia, una volta che l’Occidente gli si opponga nuovamente con la Nato schierata lungo i suoi confini: cercare di trovare in una relazione privilegiata con la Cina, pur gravida di serissime incognite, una minima base di sicurezza a tutela dei propri interessi strategici.
Costringere a questo allineamento con la Cina la Russia pare essere la decisione lucidamente assunta da Obama: tanto più significativo per il fatto che per gli Stati Uniti d’America il vero problema dei decenni a venire è l’Asia. Qualunque siano le ragioni ideologiche o geopolitiche sottese a questa interpretazione dell’avvenire, l’Europa non ha invece alcun interesse a gettare nelle braccia della Cina la Russia, negandole la possibilità di una possibile futura integrazione che pure cultura, economia e politica imporrebbero. Santificare questa frattura con la Russia, gestendo secondo le indicazioni di Obama la crisi ucraina, è un errore epocale dell’Europa.