CHEMS EDDINE CHITOUR
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Diana Johnston

Tutti conosciamo il termine “genocidio”, creato da Raphael Lemkin, un anziano ebreo deportato, a proposito dei massacri di massa degli ebrei. Negli ultimi vent’anni, il termine genocidio è diventato un marchio depositato che può essere utilizzato solo per indicare la tragedia degli ebrei sotto il terzo Reich. Per circa trent’anni la strumentalizzazione del dolore dei deportati è stata limitata e le compensazioni elargite dalla Germania e da altri paesi non avevano raggiunto le dimensioni attuali, ora che i sopravvissuti dei campi di sterminio non ne godono direttamente, cosa che ha fatto scrivere a Norman Finkelstein: “L’industria dell’olocausto”. In questo scritto vogliamo soffermarci proprio su questa fonte di denaro che è diventato il dolore degli ebrei deportati e sopravvissuti; ma anche sulla falsa unicità della Shoah, che è diventata un orizzonte insuperabile, una religione planetaria più temuta – nei paesi occidentali – che davvero rispettata o seguita.

 

La risorsa finanziaria dello sfruttamento dell’olocausto

I tedeschi saranno “per sempre in debito” per i crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale? Di fatto, dopo l’Accordo del Lussemburgo del 1952, la Germania è stata la creditrice ufficiale di questo stato canaglia di Israele, oltre al suo sostegno diplomatico secondo solo a quello degli Stati Uniti. All’inizio degli anni ’50, si sono svolti dei negoziati sulle riparazioni di guerra tra il Primo Ministro israeliano, David Ben Gourion, il segretario generale del Congresso ebraico mondiale, Nahum Goldman, e il Cancelliere della Germania dell’Ovest, Konrad Adenauer. A causa dell’estrema delicatezza del dossier, questa decisione fu ampiamente dibattuta alla Knesset israeliana. Nel 1952 vennero firmati degli accordi di riparazione. Complessivamente, a partire dal 2007, la Germania ha versato 25 miliardi di euro come riparazione a Israele edai sopravvissuti dell’olocausto nazista (1).

Si viene inoltre a sapere che i sistemi per far pagare i tedeschi sono molteplici e l’immaginazione dei richiedenti è molto vivace. Sul sito di lingua inglese dello “Spiegel Online International”, unarticolo di David Gordon Smith a Berlino segnala che, secondo Ingeburg Gruning, portavoce del Ministero delle Finanze tedesco, il governo della Germania, che ha già versato un totale di circa 64 miliardi di euro ai sopravvissuti dell’olocausto, non ha intenzione di pagare i costi delle cure psicologiche. L’autore dell’articolo, realista, aggiunge che la Germania potrà alla fine essere costretta a pagare altri milioni per queste cure. Le somme in questione non sarebbero enormi, sostiene Baruch Mazor, direttore generale del Fondo Fisher: solo da 10 a 20 milioni di dollari l’anno… La tecnica è consolidata. In caso di rifiuto, ecco la minaccia: «Se i negoziati che stiamo conducendo in questo momento non porteranno risultati, allora bisognerà aspettarsi delle rivendicazioni sostenute al 100% dall’opinione pubblica»(2).

Gli altri paesi coinvolti negli indennizzi

In diverso grado, tutti gli stati hanno dovuto prima o poi indennizzare le vittime dell’olocausto. Vedremo più avanti, con Norman Finkelstein, che ad approfittarne non sono necessariamente gli aventi diritto. Si ha notizia che Parigi e Washington hanno intavolato dei negoziati su eventuali indennizzi a famiglie delle vittime americane dell’olocausto deportate tramite la SNCF (Società Nazionale delle Ferrovie Francesi, ndt.) tra il 1942 e il 1944, dossier sensibile che rischia di privare il gruppo ferroviario francese di contratti negli Stati Uniti (nel 2011, il gruppo aveva riconosciuto d’essere stato “un ingranaggio della macchina nazista di sterminio”). In Maryland, due eletti hanno presentato una proposta di legge per vietare alla SNCF l’accesso ai contratti pubblici finché essa non avrà versato gli indennizzi per il suo ruolo nella deportazione degli ebrei. Dopo diversi incontri informali avvenuti nel 2013, alcuni diplomatici dei due paesi hanno avviato a Parigi queste trattative il 6 febbraio 2014, come hanno dichiarato alla AFP (Agence France Presse, ndt.) il 21 dello stesso mese l’avvocato delle famiglie delle vittime, Stuart Eizenstat e l’ambasciata francese a Washington, confermando l’informazione del Washington Post.

D’altra parte, secondo rivelazioni di “Der Spiegel”, Berlino ha effettivamente fornito allo stato ebraico dei sottomarini che possono essere dotati di capacità nucleare. All’interno dell’opposizione, i socialdemocratici e gli ecologisti moltiplicano le loro critiche al governo di Angela Merkel. Israele, che non ha firmato il trattato di non-proliferazione nucleare (TNP), non ha mai confermato né smentito le proprie capacità nucleari. Lo stato ebraico è tuttavia considerato come la sola potenza nucleare della regione. Israele mantiene una politica d’ambiguità sul suo programma atomico, e rifiuta di firmare il trattato di non-proliferazione nucleare e di consentire un’ispezione internazionale alla sua centrale di Dimona (3).

“Der Spiegel” ha rivelato che Israele è in procinto di dotare i sottomarini forniti dalla Germania di missili da crociera a testata nucleare. I sottomarini tedeschi diventano così un pezzo forte della strategia di dissuasione verso il regime iraniano. Berlino ha sempre negato che questi sottomarini possano far parte dell’arsenale nucleare israeliano. La Germania ha già fornito tre di questi sottomarini e altri tre verranno consegnati entro il 2017. Secondo alcuni esperti militari stranieri, Israele dispone di un arsenale nucleare di oltre 200 ogive (3).

I cavalli di Troia

La mia attenzione è stata catturata anche da un’informazione anodina. Giudicate voi: le ambasciate tedesche saranno al servizio dei cittadini israeliani nei paesi ostili. A priori non c’è niente di strano in questo. Molti paesi che non hanno relazioni diplomatiche con altri paesi hanno la possibilità di essere rappresentati da paesi terzi che si fanno carico di trasmettere o ricevere i reclami di entrambe le parti. Tuttavia la singolarità sta nel fatto che qui si tratta di tre soggetti, di cui due sono in teoria avversari (Israele e i paesi musulmani), e di un altro partner, la Germania. Leggiamo la notizia: «All’inizio della settimana verrà firmato un nuovo accordo a Gerusalemme dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. La Germania garantirà agli israeliani servizi consolari in paesi quali ’Indonesia, Malesia, Arabia Saudita, ecc., dove Israele non ha rappresentanze diplomatiche. Secondo l’ambasciatore israeliano in Germania, Yaakov Hadas-Handelsman, questa offerta tedesca svela l’importanza delle relazioni che legano Berlino a Tel Aviv. »

Sul sito web lemondejuif.info possiamo leggere: «A partire dalla loro storia tanto dolorosa, tedeschi e israeliani hanno compiuto un miracolo nel costruire la loro amicizia. Vogliamo ampliare e approfondire questa amicizia, anche per quanto riguarda i problemi concreti della vita quotidiana»: sono le parole dell’ambasciatore tedesco in Israele, Andreas Michaelis (4).

Le ambasciate tedesche diventeranno così una sorta di cavallo di Troia, “instaurando, sulla base di questo futuro accordo”, la rappresentanza diplomatica ufficiale di una “seconda ambasciata dello stato d’Israele”. La Germania, firmando questo accordo con Israele, diventerà complice e garante della politica d’occupazione sionista. In questo senso, nell’ambito d’una visita di tre giorni in Israele, Francois Fillon dichiara sostanzialmente: «Mi ha sempre appassionato il destino d’Israele […] Mi ricordo della guerra dei sei giorni, avevo tredici anni. Con l’orecchio attaccato alla radio, seguivo gli avvenimenti in cui si parlava d’un comandante militare con un occhio bendato – Moshé Dayan – e sentivo che la Storia laggiù era in fermento. […] Durante la guerra del Kippur ho tremato per Israele. Il ricordo della Shoah è dentro i vostri cuori, ma fa anche parte della nostra coscienza europea, e anche universale. Ciò che vi riguarda, riguarda anche noi, ciò che vi angoscia, angoscia anche noi,, perché tra Israele e la Francia, tra Israele e l’Europa, c’è un legame morale e storico» (5).

La Shoah: religione di stato? Un’eresia nella Francia laica

Con queste parole Diana Johnston s’interroga sulla strumentalizzazione da parte del sionismo della tragedia degli ebrei. La campagna del governo francese, dei grandi media e delle organizzazioni influenti per mettere a tacere il comico Dieudonné M’Bala M’Bala mette in luce una rottura radicale nell’opinione che i francesi hanno del comico, ma anche su altre questioni. (…) Commentando questa vicenda il 10 gennaio su RTL (rete radiofonica privata, ndt.), Eric Zemmour ha accusato Valls (Mnistro degli Interni francese, ndt.) di aver dimenticato la libertà d’espressione, pur presentandosi come uomo di sinistra: «E’ stata la sinistra ad averci insegnato nel maggio ‘68 che è vietato vietare, è la sinistra creativa che ci ha spiegato che bisognava colpire la borghesia. E’ la sinistra antirazzista che ha fatto della Shoah la religione suprema della Repubblica» Provenendo dalla sinistra, Dieudonné provoca, secondo Zemmour, la «borghesia ben pensante di sinistra». Ricordare la Shoah serve indirettamente a giustificare l’avvicinamento sempre più stretto tra Francia ed Israele relativamente alla politica in Medio Oriente. (…) Quasi a conferma di questa impressione, il 9 gennaio la Procura di Parigi e il Memorial della Shoah hanno stipulato una convenzione, in base alla quale l’autore di un atto di antisemitismo, che abbia più di 13 anni, potrà essere condannato a svolgere uno stage di sensibilizzazione sulla storia dello sterminio degli ebrei. Si reputa che lo studio dei genocidi possa inculcare «i valori repubblicani di tolleranza e di rispetto per il prossimo»(4).

E se fosse proprio il contrario di ciò che si dovrebbe fare? Il Procuratore di Parigi ignora forse che i giovani pensano di aver ricevuto troppa, e non troppo poca, educazione sulla Shoah? Eccezionalmente, un articolo di “Le Monde” dell’8 gennaio ha riportato delle opinioni che si possono facilmente ritenere che siano pronunciate dai giovani, se si vuole davvero ascoltarle. Essi fanno risalire la “sacralizzazione” della Shoah ai corsi di storia a scuola, di cui serbano uno sgradevole ricordo. (…) Guillaume, un ragazzo di vent’anni, si lamenta: «La Shoah ce l’hanno propinata fino all’ultimo anno. Io rispetto quel periodo della storia, ma non più di altri»(4).

«Recentemente, la Francia ha accolto a braccia aperte il gruppo ucraino delle “Femen”. Il 20 dicembre scorso hanno invaso la Chiesa della Maddalena per rappresentarvi “l’aborto di Gesù”, e poi orinare sull’altare. Non si sono sentite grida d’indignazione da parte dei ministri del governo. La chiesa cattolica se ne lamenta, ma l’eco non si riesce a sentire». (4)

Non stupisce che su questa stessa linea si giunga alla negazione degli altri genocidi. L’ultimo esempio lo ha dato l’avvocato Maitre Jacubowicz con il coraggioso rilascio di Frédéric Taddei. Maitre Jacubowicz dopo il rilascio ha dichiarato a Taddei che egli non voleva che si relegasse l’antisemitismo al livello d’un crimine come gli altri, ma che bisognava elevarlo al rango di crimine numero uno, insomma una nuova religione. Che si fa allora con il genocidio degli Armeni? E con i genocidi ruandesi? Si misura l’importanza d’un genocidio in base al numero dei morti? Essere gasati e bruciati è forse peggio che essere decapitati con il machete a causa della propria origine? Non avremo risposta.

Perché la Shoah è diventata sacra?

Sta di fatto che si è arrivati alla saturazione. “Troppe tasse uccidono le tasse”, diceva Jacques Chirac. Mutatis mutandis, “troppa Shoah uccide la Shoah”. L’autore dello scritto prosegue: «Il richiamo costante alla Shoah, negli articoli, nei film, nei discorsi, come anche nella scuola, lungi dal costituire una prevenzione, crea una sorta di subdola fascinazione per le “identità”. Incoraggia la “competizione vittimista”. […] Questa commemorazione serve comunque a Israele, che sta facendo partire un programma di tre anni per incoraggiare un numero in crescita di circa 600.000 ebrei francesi a partire per Israele. L’anno scorso oltre 3000 ebrei hanno compiuto la loro Aliyah (immigrazione ebraica in Israele, ndt), una tendenza che l’European Jewish Press attribuisce alla “mentalità sempre più sionista della comunità ebraica francese, soprattutto tra i giovani, e alla manifestazione degli sforzi dell’Agenzia ebraica, del governo israeliano e delle ONG per coltivare l’identità ebrea in Francia”. Un modo per incoraggiare l’Aliyah è di spaventare gli ebrei con la minaccia dell’antisemitismo, sostenendo che i numerosi ammiratori di Dieudonné siano tutti potenziali nazisti»(6).

«Le dichiarazioni di “unicità” dell’olocausto nazista, scrive James  Petras, si fondano su argomenti deboli. Basano le loro argomentazioni sulla quantità delle vittime: sei milioni di ebrei». Proprio nello stesso periodo i nazisti e i loro alleati hanno sterminato 20 milioni di civili sovietici, in maggioranza russi. E i giapponesi hanno sterminato 10 milioni di cinesi, scomparsi tra il 1937 e il 1942. Furono uccise circa 11 milioni di persone, tra portatori di handicap, testimoni di Jehova e altri. Heinrich Himmler disse: «Tutto il popolo polacco scomparirà dal mondo». Non parla di ebrei in quanto tali. Furono uccisi due milioni di zingari. Del resto, nella storia, ci sono stati molti genocidi che alcuni definiscono olocausti; parlando dei misfatti della colonizzazione belga sotto Leopoldo II, Hochschild scrisse: «Dal 1880 al 1920 il Congo è teatro di uno dei maggiori olocausti della storia: la metà d’un popolo di venti milioni di persone viene sterminato»(7). Chi se ne ricorda?

In un testo tanto coraggioso quanto efficace, Norman Finkelstein, la cui famiglia morì deportata, denuncia sia la strumentalizzazione politica che lo sfruttamento finanziario della sofferenza degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Finkelstein distingue l’olocausto nazista, evento storico nel corso del quale furono sterminati milioni di ebrei, e l’Olocausto con la maiuscola, il suo abuso ideologico. «L’industria dell’Olocausto trasforma la memoria di Auschwitz in garanzia ideologica e in merce redditizia. Riporta un intero percorso ai metodi utilizzati, che appartengono alla categoria del ricatto ai buoni sentimenti, traendo appoggio dall’artiglieria pesante delle pressioni economiche americane. L’altra componente di questa duplice estorsione è che il denaro così ottenuto, invece di arrivare alle vere vittime sopravvissute – o ai loro eredi – finisce nelle casse delle organizzazioni ebraiche legate agli Stati Uniti o a Israele»(8).

Israele si crea sempre più nemici nel mondo per la sua politica di colonizzazione ed espulsione, in violazione di tutte le risoluzioni dell’ONU. Ricordiamo che su proposta dell’Arabia Saudita (iniziativa di Riyad nel 2002) i paesi arabi erano pronti a sviluppare delle normali relazioni con Israele, se solo la questione palestinese avesse trovato una soluzione onorevole tale da preservare la dignità dei palestinesi, che, occorre ricordare, accettano di vivere in pace su meno del 20% della Palestina originaria. E’ questo il prezzo della pace nel mondo.

Professor Chems Eddine Chitour
Mondialisation

Link: La Shoah : Pompe à finance et religion planétaire

27.02.2014

Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di CRISTIANA CAVAGNA