Processo Borsellino quater: le domande che restano sulla testimonianza della Boccassini

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
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Tutti i giornali, nei giorni scorsi, hanno scritto riguardo alle dichiarazioni rese dal procuratore aggiunto di Milano, Ilda Boccassini, innanzi alla corte d’Assise di Caltanissetta in cui si celebra il processo Borsellino quater. Una deposizione durata poco più di tre ore che si è incentrata in particolare sulla lettera che la stessa ha inviato, insieme al collega Sajeva, all’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra, in cui mostrava le proprie perplessità sulla collaborazione del “falso pentito” Vincenzo Scarantino.

”Il mio dovere – ha detto riferendosi alla missiva – era mettere per iscritto che si stavano imbarcando in una strada pericolosa”. Nel corso della deposizione il magistrato ha più volte ribadito che “è il pubblico ministero il dominus delle indagini” di fatto togliendo ogni responsabilità al gruppo “Falcone Borsellino” (il pool di investigatori che indagò fin dall’inizio sulle stragi) e al coordinatore dello stesso Arnaldo La Barbera. “Quindi se si è andati avanti per quella strada – ha concluso – gli altri colleghi avranno ritenuto di farlo. Sono i pm che a fronte di quelle cose hanno deciso di andare avanti”. E poi ancora “Il primo interrogatorio di Scarantino a Pianosa lo facemmo io e il collega Carmelo Petralia, poi la maggior parte degli altri furono fatti dalla dottoressa Palma e dal dottor Di Matteo”, ha precisato la Boccassini.
Peccato che il pm Ilda Boccassini, a cui va comunque riconosciuto il merito di aver messo nero su bianco assieme a Sajeva i dubbi sullo Scarantino, non tenga conto di numerosi dati.
In primo luogo non tiene conto di quella che è stata la reale attività del dottor Di Matteo in quel processo.
Di Matteo al tempo era all’inizio della propria carriera di magistrato ed è entrato nelle indagini che hanno poi portato al processo cosiddetto “Borsellino bis” affiancando i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia nelle fasi conclusive.
Come poteva, il giovane pm, mettere in discussione l’impostazione data dai suoi colleghi più esperti e dal fior fiore degli investigatori antimafia come Arnaldo La Barbera. Quest’ultimo, a detta della stessa Boccassini, era rispettato e tenuto in forte considerazione dall’intera Procura nissena, a cominciare dallo stesso procuratore Tinebra.
Il processo “Borsellino quater” sta portando alla luce diversi aspetti, fino a questo momento tenuti nell’ombra, proprio sul lavoro portato avanti da alcuni soggetti appartenenti al gruppo Falcone-Borsellino. Possono essere definiti quantomeno “anomali” i numerosi colloqui investigativi che si sono tenuti proprio con lo Scarantino (un esempio può essere la “maratona” tra il 4 ed il 13 luglio ndr), spesso nei giorni antecedenti le verbalizzazioni con i magistrati, una volta avviata la sua falsa collaborazione con la giustizia. Verbalizzazioni che in quattro occasioni si sono tenute con la partecipazione della stessa dottoressa Boccassini (la quale in aula ha detto di ricordarne solo due ndr) di cui una, il 15 luglio, alla sola presenza della stessa e di Arnaldo La Barbera.
Arnaldo La Barbera oggi non c’è più (deceduto per un male incurabile nel 2002), ma, secondo la Procura nissena che tiene aperto un fascicolo, sarebbe stato lui, coadiuvato dai funzionari di Polizia Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo, a confezionare ad arte la falsa pista su via d’Amelio, capace di reggere tre processi e nove gradi di giudizio centrandola sul falso pentimento di Vincenzo Scarantino. Un’accusa che viene basata anche sulle testimonianze di Salvatore Candura e Francesco Andriotta, ovvero gli stessi teste per cui la “pista Scarantino” venne ritenuta credibile. Ed oggi sono proprio Andriotta e Candura che confessano di avere subito minacce e pressioni da parte dei poliziotti indagati, affinché si autoaccusassero di aver ricoperto un ruolo nel furto della Fiat 126, utilizzata poi come autobomba nella strage di via D’Amelio.
Non si può non considerare poi la fotocopia di un fascicolo dei servizi segreti da cui risulta come nel 1986 e nel 1987, quindi nei due anni precedenti al suo arrivo a Palermo, Arnaldo La Barbera fosse un agente sotto copertura con il nome in codice “Catullo”.
Sia Ilda Boccassini che Sajeva, in aula hanno ribadito come, per quanto concerne il furto dell’auto 126, la versione fornita da Scarantino risultava comunque “verosimile” proprio per la parentela di quest’ultimo con Profeta.
Inoltre, il pm milanese, ha anche riferito che lo stesso La Barbera nutriva dei dubbi sulla collaborazione del boss della Guadagna. Tuttavia è un dato di fatto che il gruppo “Falcone-Borsellino” concentra particolarmente le indagini, e fa di tutto per raccogliere elementi che potessero corroborare la versione “inventata”, che in alcuni tratti ha anche intersecato la verità dei fatti. Perché riguardo a Scarantino, se da una parte ci sono alcuni da lui accusati che sono innocenti, altri sono invece colpevoli e dovrà essere la Procura di Caltanissetta a dover chiarire come questo sia stato possibile.
Anche in riferimento all’acquisizione dei tabulati telefonici dell’utenza di Gaspare Spatuzza in aula è stato riferito come, tramite l’analisi dei cellulari, già nel giugno del 1994 uscì fuori l’utenza del boss di Brancaccio. “Nello specifico – ha detto Ilda Boccassini – scoprimmo che il 19 luglio del ’92, ma anche il 17, c’erano telefonate tra Gian Battista Ferrante e Fifetto Cannella e da lì si risaliva a Spatuzza. Fino ad allora insomma c’erano collegamenti che potevano portare allo spunto investigativo che ora si persegue”. Tuttavia nell’interrogatorio ai pm del giugno 2009 il pm Boccassini aveva anche detto, riferendosi proprio all’acquisizione di quei tabulati riportati in una nota a firma di Francesco Gratteri (Dia), “escludo che la nota in questione potesse avere connessione con la vicenda di via d’Amelio”.
Interrogata sul punto dall’avvocato di parte civile, Fabio Repici, ha poi specificato: “escludo che sia stata depositata per la strage di Capaci”. Poi ha aggiunto: “Le indicazioni che venivano dalle forze investigative venivano portate a conoscenza di tutti i sostituti” senza però ricordare se delle stesse si fosse parlato in qualche riunione specifica. E ciò fa pensare che la pista Spatuzza era tutt’altro che chiara nel 1994.
Tornando ad Antonino Di Matteo, se il suo ruolo all’interno del processo “Borsellino bis” è stato marginale, lo stesso non è stato per il “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, in cui vengono accusati, processati, chiesti e ottenuti gli ergastoli per gli uomini di Brancaccio (Lorenzo Tinnirello, Francesco Tagliavia e Cristoforo Cannella) che oggi anche la nuova indagine della Procura di Caltanissetta ritiene responsabili della fase preparatoria e della fase esecutiva.
Inoltre è sempre nel “Borsellino ter” che si parla di mandanti esterni, anche grazie alle dichiarazioni di pentiti di calibro come Giovanni Brusca e Salvatore Cancemi.
Ma sono anche altri gli aspetti che la dottoressa Boccassini non ha chiarito durante la propria deposizione tanto che l’avvocato di parte civile, Fabio Repici, ha chiesto un confronto tra la stessa e l’ex funzionario di polizia Gioacchino Genchi.
In aula llda Boccassini ha raccontato di aver avuto un ruolo nella misteriosa fuoriuscita di scena di Genchi dal gruppo Falcone-Borsellino. “Probabilmente è anche a causa mia che vi fu quella sorta di allontanamento. Io dissi al procuratore capo Gianni Tinebra che, considerato che avevamo la Dia e il gruppo Falcone-Borsellino, avrei avuto difficoltà a continuare con la polizia di Stato se fosse rimasto Genchi. Io sono rimasta, lui se ne è andato”. E poi ha aggiunto: “Aveva un atteggiamento non istituzionale. Avevo notato in lui un certo gusto che andava oltre lo spunto investigativo. Voleva acquisire troppo e ci propose di indagare su Giovanni Falcone, sui suoi viaggi e sulle carte di credito. Non accettavo un atteggiamento di questo tipo. Poi se le motivazioni del suo allontanamento siano state solo queste o se ce ne fossero anche altre non lo so. Secondo me Arnaldo La Barbera subì la decisione di allontanare Genchi in quanto perdeva un consulente esperto del proprio gruppo, anche se per me ce ne erano di migliori”.
Fatto sta che Gioacchino Genchi non è stato allontanato ma si è dimesso spontaneamente. E’ lei stessa a scriverlo in un documento del 25 maggio 1993, in cui, assieme al pm Fausto Cardella, mise per iscritto che sorprese, non poco, “il fatto che il dottor Genchi abbia improvvisamente deciso di non collaborare più alle indagini, secondo quanto riferisce La Barbera, adducendo giustificazioni generiche e non del tutto convincenti”. Anche perché Genchi si stava interessando di delicate indagini sui contatti telefonici dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada. E ancora nella lettera è scritto: “La parte più complessa e delicata di tale attività investigativa era stata affidata al dottor Gioacchino Genchi, che appariva idoneo per le sue specifiche conoscenze tecniche e per la sua competenza nel settore della telefonia”. Non emergono quindi contrasti o malumori da parte della stessa Boccassini con Genchi che invece ha già raccontato in aula come il motivo delle sue dimissioni spontanee fosse da ricondurre sul diverbio avuto con lo stesso La Barbera in merito all’arresto di Gaetano Scotto che avrebbe fatto saltare la pista del coinvolgimento dei servizi segreti.
Se davvero vi erano così forti contrasti per quale motivo non ve ne sarebbe traccia nel documento presentato a Tinebra se poi era stato espresso un “aut-aut”? Come era possibile che dalla nota inviata in precedenza da La Barbera risulta soltanto che il 6 maggio 1993 “Genchi non svolgeva più alcuna attività investigativa nell’ambito dei Gruppi di indagine diretti dallo scrivente” e nella missiva successiva si fa riferimento alla decisione di Genchi “di non collaborare più con le indagini”? Significa che in qualche modo si era già parlato dei motivi delle dimissioni?
Toccherà ora alla corte decidere se ammettere il confronto tra la Boccassini e Genchi dopo la richiesta delle parti civili e l’opposizione della Procura e degli avvocati Scozzola e Crescimanno.
Ma a prescindere da quella che sarà la decisione le domande restano.

Fonte:IlFatto