Ecco perché odiano Nino Di Matteo

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di Pippo Giordano

Miiii chi camurria: Sunnu fatti r’iddi” (Che fastidio! Sono fatti loro).
Queste due semplici locuzioni racchiudono il senso di distacco che c’è sempre stato verso chi rappresentava lo Stato a Palermo, ovvero “sbirri” e magistrati. Chiedo venia se tento di essere realista e se esco fuori dal coro, ma vorrei far comprendere che non noto nessuna differenza tra il periodo degli anni Ottanta e il momento attuale nei confronti di Nino Di Matteo. La parola camurria e la frase sunnu fatti r’iddi, rimbombano nella mia mente allo stesso modo come la goccia percuote la roccia.

Non tutti ricordano che 29 anni fa, esemplari vicini di casa di Giovanni Falcone, erano divenuti assidui “scrittori” di lettere inviate al Giornale di Sicilia, per la “camurria” delle sirene e per timore di essere coinvolti in attentati. E, “sunnu fatti r’iddi”, dimostrava l’assenza dei palermitani ai funerali di carabinieri e poliziotti ammazzati. Sono trascorsi quasi trent’anni dalle lamentele contro Giovanni Falcone e il pensiero di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è quanto mai attuale: cambiare tutto per non cambiare nulla.

Nemmeno le stragi di Capaci e di via D’Amelio sono riuscite a cambiare la mentalità nei confronti della mafia, non solo dei cittadini, ma anche dei politici. Parafrasando il detto palermitano “agneddru e sugu e finiu u vattiu”, intendo dire che superato lo sconforto e dolore per le stragi del 92/93, tutto è ritornato come gli anni Ottanta. Di certo ci sono giovani che fanno volontariato antimafia con le varie Associazioni, ma manca l’impegno e la presenza della società civile.

Rilevo con rammarico che, anche nell’ultima manifestazione a sostegno di Di Matteo, non c’è stata l’oceanica presenza dei palermitani; eppure Palermo con l’hinterland supera abbondantemente il milione di abitanti. È, forse, ritornato in auge il vecchio pensiero “sunnu fatti r’iddi”?

Nelle ricorrenze delle stragi a Palermo vedo sempre gli stessi volti, per lo più gente “calata” dal Nord. Parimenti, assisto alle “pupiate” dei politici che “calano” in Sicilia per ottenere quei dieci minuti di visibilità extra nei TG: il resto è commedia tragicomica.

Spesso mi frullano delle domande, ovvero come fanno questi signori ad essere così camaleonti e talvolta anche meschini, quando riescono a propinarci visi afflitti di circostanza? La mia ritrosia nei confronti della gran parte della classe politica nasce da molto lontano, talchè addebito a costoro la grave responsabilità oggettiva per non aver voluto combattere la mafia non tutelando la vita delle persone, assassinate poi dalla violenza mafiosa. Anzi, la giustizia ha evidenziato comportamenti di politici, sanzionandoli penalmente.

E a pagare, con inusitata arroganza di alcuni politici, sono senza dubbio quei “camurrusi” magistrati che lavorano a Palermo: quel pugno di pubblici ministeri che ha osato sfidare Cosa nostra e lo Stato stesso. Secondo l’ottica perversa dei pseudo politici, la Procura di Palermo dovrebbe non solo chiudere gli occhi, ma addirittura prostrarsi ai loro voleri.

In buona sostanza, si vuol fare capire ai magistrati che non devono rompere i cabbasisi. Cosa nostra è “affare” loro, ossia di alcuni politici. Solo che ogni tanto nascono i Falcone, Borsellino, Chinnici, Ingroia, Di Matteo e tanti altri e ai politicanti non piace l’ingerenza.

Ecco perché c’è tutto questo astio nei confronti di Nino Di Matteo: egli, insieme ad altri, sta scoperchiando la pentola dove sono racchiusi “gli indicibili accordi” citati dal defunto Loris D’Ambrosio. Gli “indicibili accordi” che sembrano essere collocati nel periodo 89/93 con riferimento alla trattativa Stato-mafia.

E il Popolo cosa fa? Si gira dall’altra parte, salvo poi urlare in piazza e piagnucolare per l’ennesima vittima di mafia.

No grazie! Non sopporto questi politici, non sopporto la mafia e starò sempre accanto ai Pm di Palermo.

Tratto da: cronopolitica.it