Giovanni Brusca: “Mangano, Dell’Utri e Berlusconi, e la sinistra che sapeva”

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Milano. Una fitta nebbia accoglie nuovamente i manifestanti venuti a portare la solidarietà al pm Nino Di Matteo trattenuto a Palermo da uno Stato che non intende proteggerlo come dovrebbe. Nuovi cartelli vengono alzati dalle mani di uomini e donne che rappresentano la parte onesta di questo Paese. “Pm Di Matteo accetta di viaggiare su un carro armato Lince! Così gli italiani, i media, i politici saranno costretti a guardarvi come siete in pericolo”, si legge su un manifesto. “Bomb-jammer per Di Matteo. Tra il ‘dire’ e il ‘fare’ c’è di mezzo Alfano, Cancellieri, Letta e Napolitano”, recita un altro.

Mangano e Berlusconi
“Un giorno – racconta Giovanni Brusca nella seconda e ultima giornata della sua deposizione davanti alla corte di Assise di Palermo (in trasferta a Milano) – mentre mi trovavo a Partinico, lessi su l’Espresso un articolo che parlava dei rapporti di Vittorio Mangano con Dell’Utri, Berlusconi e Confalonieri (‘Ad Arcore c’era uno stalliere’, ndr). Così ne parlai a Bagarella e decidemmo di chiedere a Mangano, che era il reggente del mandamento di Porta Nuova, se poteva portare le nostre richieste a Dell’Utri e Berlusconi”.

E’ il 1994, siamo in piena campagna elettorale, ed è proprio a Palermo, in un ristorante nei pressi di viale Regione Siciliana che si sarebbe tenuto quell’incontro tra Vittorio Mangano e Silvio Berlusconi, allora candidato premier per Forza berlusconi-discesa-forza-italiaItalia. Rispondendo alle domande del pm Francesco Del Bene l’ex boss di San Giuseppe Jato riaccende la memoria su quegli anni così determinanti per la storia d’Italia. Nel racconto del pentito Mangano porta quindi a Dell’Utri le richieste di Cosa Nostra. Al primo punto c’è l’attenuazione del carcere duro per detenuti mafiosi. “Una decina di giorni dopo ci ritrovammo con Bagarella, a Partinico, e Mangano ci disse che aveva parlato con Dell’Utri e che lui era molto soddisfatto di quest’incontro. Ovviamente il nostro obiettivo era arrivare a Berlusconi”. Ed è per questo motivo che Mangano intende tornare dall’ex premier. “Successivamente Mangano fece sapere ai vertici di Cosa Nostra che Berlusconi era atteso a Palermo per un comizio, credo per le politiche del ’94, e il capo del mandamento di Porta Nuova propose come luogo dell’incontro un ristorante sulla circonvallazione di Palermo: l’incontro avrebbe dovuto tenersi nello scantinato di questo ristorante, per ragioni di privacy, ma non so se avvenne davvero”.

Tra Craxi e De Benedetti
Già nel 1991 dentro Cosa Nostra si intraprendono trattative ad alti livelli. Totò Riina intende usare lo stesso Berlusconi per arrivare a Bettino Craxi. “All’inizio degli anni ’90 –  andreotti yspiega il pentito – è venuto meno il riferimento di Andreotti, l’intento di Pino Lipari era di dare vita a un movimento politico di imprenditori, un progetto che condividevo completamente. L’obiettivo era acquisire il potere politico, prima in Sicilia e poi a livello nazionale”. Di fatto si trattava di un progetto che avrebbe dovuto alzare il livello politico di Cosa Nostra, anche attraverso l’aggressione violenta nei confronti degli esponenti degli altri partiti. “A questo fine avevamo progettato di indebolire la sinistra e avevamo individuato in Carlo De Benedetti il sostenitore della sinistra. Parlando con Riina, c’era il progetto, mai concretizzato, di eliminare questo ostacolo per indebolire quella parte politica e concretizzare il progetto politico”. “Nel 1991 – specifica Brusca – c’era l’interesse a contattare Dell’Utri e Berlusconi per poter arrivare a Bettino Craxi, che ancora non era stato colpito da Mani Pulite, perché intervenisse sulla Cassazione per la sentenza del maxiprocesso”.

La sinistra sapeva
“La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano quando lo incontrai. Gli dissi anche: ‘i servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente’. di matteo c ansa 201113Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri”. Non è la prima volta che lo stesso Brusca nomina “la sinistra che sapeva”. Al termine della requisitoria del pm Nino Di Matteo all’udienza preliminare del processo sulla trattativa (tenutasi lo scorso 9 gennaio davanti al gup Piergiorgio Morosini, ndr) l’ex boss aveva reso dichiarazioni spontanee ben precise. “Non sono stato io il primo a dire che la Sinistra sapeva della trattativa – aveva sottolineato Brusca –, l’aveva detto già Riina in un processo e in quella sede aveva incluso nella Sinistra i comunisti”.

Quell’incontro di Natale
Nel suo racconto Brusca ricorda l’incontro di Natale del ‘92 insieme a Totò Riina e ad altri boss di primaria grandezza. In quella occasione Salvatore Biondino aveva preso una cartellina di plastica che conteneva un verbale di interrogatorio del pentito Gaspare Mutolo per poi commentare con sarcasmo le sue dichiarazioni: “Ma guarda un po’, quando un bugiardo dice la verità non gli credono”. Di fatto Mutolo aveva parlato di Nicola Mancino, con particolare riferimento all’incontro di quest’ultimo con Paolo Borsellino, successivamente sempre negato dallo stesso Mancino. In quella stessa riunione di Natale Totò Riina aveva definito Mancino il “terminale” del papello.

La scelta della collaborazione
“Oltre a confermare la mia scelta di collaborazione, la rifarei mille volte – afferma con forza il collaboratore di giustizia –. brusca-gom-c-ansaE se potessi tornare indietro non farei quello che ho fatto. Purtroppo non si può tornare indietro. Penso a tutte le vite spezzate. E quando sono andato a chiedere scusa ai familiari l’ho fatto in modo silenzioso, perché penso che dopo quello che ho fatto era l’unico modo per entrare nelle loro vite”.

Riina e la fine del topo
Prima di concludere la sua deposizione Giovanni Brusca si lascia sfuggire uno sfogo rivolto al suo co-imputato, Mario Mori, che riguarda il suo ex capo Totò Riina. riina-salvatore-big5“Ringrazio il generale Mori per aver fatto fare la fine del topo a Salvatore Riina”, dichiara sommessamente, mentre il presidente della Corte lo invita a risparmiarsi simili affermazioni. In aula Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’associazione dei familiari di via dei Georgofili – ma soprattutto madre di Francesca, rimasta gravemente ferita nell’eccidio di Firenze del 27 maggio ’93 – non si dà pace. Per lei Brusca non ha detto tutto quello che sa. E i cinque morti di quella maledetta notte – insieme alle altre vittime della violenza politico-mafiosa – ancora attendono tutta la verità su chi armò la mano di Cosa Nostra.

Fonte:Antimafiaduemila