Travaglio: “E’ stato la mafia”

di Lorenzo Baldo
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Palermo. “Non c’è niente da fare, sembra proprio che gli italiani non vogliano essere governati, non si fidano. Hanno paura che se vincono troppo quelli di là, viene fuori una dittatura di sinistra. Se vincono troppo quegli altri, viene fuori una dittatura di destra. La dittatura di centro invece? Quella gli va bene. Auguri auguri auguri”. E’ una splendida Isabella Ferrari a irrompere sulla scena recitando un pezzo di Giorgio Gaber. Un fascio di luce la illumina mentre le sue parole si diffondono con grande pathos in un teatro pieno all’inverosimile. Siamo a Palermo, la location più consona per lo spettacolo di Marco Travaglio “E’ stato la mafia”. E’ il vicedirettore del Fatto Quotidiano a salire successivamente sul palco mentre la voce di Totò grida nell’aria “Votantonio, Votantonio, Votantonio!”. Dopo un breve sunto delle condanne di “B.” Travaglio introduce il “ricatto della trattativa”, quello che definisce “un vincolo di omertà sul quale si sono costruite carriere”. “Da anni – afferma con lucida disillusione – non abbiamo una Maggioranza che combatte la criminalità organizzata perché ha il guinzaglio”.

Il lungo viaggio dentro il cuore nero del nostro Paese inizia. “Secondo me gli italiani e l’Italia hanno sempre avuto un rapporto conflittuale. Ma la colpa non è certo degli italiani, ma dell’Italia che ha sempre avuto dei governi con uomini incapaci, deboli, arroganti, opportunisti, troppo spesso ladri, e in passato a volte addirittura assassini. Eppure gli italiani, non si sa con quale miracolo, sono riusciti a rendere questo paese accettabile, vivibile, addirittura allegro. Complimenti!”. E’ sempre Gaber a rivivere nella voce di Isabella Ferrari. Subito dopo si sente solo il suono delle sirene della strage di via D’Amelio mescolato ad una musica generata dal tocco di alcuni bicchieri. Travaglio è seduto su una poltroncina, semi illuminato, spiega che vi sono due modi per raccontare la trattativa: quello utilizzato dalla stragrande maggioranza dei media che la definiscono “presunta trattativa”, oppure quello che scaturisce dalle sentenze dove gli stessi protagonisti come Mario Mori parlano apertamente di “trattativa”. Parafrasando Pasolini il giornalista spiega che paradossalmente “noi abbiamo le prove, ma non sappiamo, perché è in atto un depistaggio”. Si parte quindi dalla riunione del Gotha di Cosa Nostra ad Enna del dicembre del 1991 finalizzata a dare l’avvio della stagione stragista. L’excursus storico prosegue poi attraverso tutte le tappe che costituiscono il contesto nel quale si evolve il patto tra mafia e Stato. Dalle minacce ricevute da Calogero Mannino, passando per Elio Ciolini, fino ad arrivare all’intervista dei giornalisti francesi di Canal Plus a Paolo Borsellino e alla strage di Capaci. Di seguito sono gli incontri tra Giuseppe De ferrari e stato la mafiaDonno, Mario Mori e Vito Ciancimino a finire sotto i riflettori, così come l’incontro tra Paolo Borsellino, Mori e De Donno il 25 giugno del ’92. Incontro nel quale “Borsellino viene messo a conoscenza della trattativa”. Il racconto impietoso attraversa un pezzo di storia del nostro Paese che dai vertici delle nostre istituzioni si vorrebbe cancellare, o per lo meno occultare. Ecco quindi che la strage di via D’Amelio, così come la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, divengono le chiavi di volta per comprendere una ragione di Stato per la quale era necessario sacrificare chi si era posto di “ostacolo” a quella trattativa. Travaglio snocciola uno dopo l’altro gli effetti di quel patto tra Cosa Nostra e lo Stato: la chiusura delle supercarceri, la mancata proroga di oltre 300 41bis (con relativo svuotamento dello stesso regime di carcere duro),  l’indebolimento della legge sui collaboratori di giustizia e via dicendo. “Perché c’è questo interesse dello Stato a salvare i fratelli Graviano?”, si chiede il giornalista mentre ricostruisce il depistaggio sulle prime indagini relative alla strage di via D’Amelio messo in atto da Arnaldo La Barbera. “Una volta condannati i nostri potenti democristiani (alla fucilazione, all’ergastolo, all’ammenda di una lira, cosa di cui qualsiasi cittadino infine si accontenterebbe) ogni confusione dovuta a una falsa e artificiale continuità del potere democristiano verrebbe vanificata. L’interruzione drammatica di tale continuità renderebbe al contrario chiaro a tutti non solo che un gruppo di corrotti, di inetti, di incapaci è stato democraticamente tolto di mezzo, ma soprattutto (ripeto) che un’epoca è finita e ne deve cominciare un’altra”. E’ la forza intellettuale di Pier Paolo Pasolini a risuonare nella voce della Ferrari. Introdotto da una melodia struggente suonata da un violino Marco Travaglio ripercorre l’anno 1993 con le stragi di Roma, Firenze e Milano fino all’appello del presidente Scalfaro: “A questo gioco al massacro io non ci sto: prima hanno provato con le bombe e ora con il più ignobile degli scandali”. Siamo di fronte alla dimostrazione plastica che Scalfaro si sta riferendo alle stesse persone. Che non sono uomini di Cosa Nostra. Il viaggio di Travaglio prosegue attraverso la ricostruzione dei tanti misteri d’Italia: dalla mancata cattura di Provenzano nel 1995, fino alla mancata perquisizione del covo di Riina sempre ad opera del Ros di Mori. Nei confronti del supertestimone della trattativa, Massimo Ciancimino, il giornalista riconosce l’assoluta importanza dello stesso. Per poi evidenziare come ad un certo punto – quando le sue dichiarazioni si stavano pericolosamente alzando di livello – sia stato “indotto” ad una sorta di “suicidio processuale” attraverso la produzione dell’unico documento falso (quello relativo a Gianni De Gennaro recapitatogli da un misterioso personaggio legato ai Servizi) che ha messo in dubbio la veridicità di tutti gli altri suoi documenti presentati prima. Travaglio e Isabella Ferrari “Non accetterò mai di diventare il complice di coloro che stanno affossando la democrazia e la giustizia in una valanga di corruzione. Non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura di un disonesto, anche se deputato. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo”. Parole di Sandro Pertini che l’attrice piacentina restituisce integre al pubblico in sala. Dopo la ricostruzione delle telefonate tra Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio è quindi il fantomatico “romanzo Quirinale” a farla da padrone nel racconto di Travaglio per il quale siamo di fronte ad “un susseguirsi di abusi di potere, leggi per tappare la bocca, conflitto di attribuzione… tutto questo per cancellare le tracce sugli abusi”. Dopo aver ricordato la gravità del procedimento disciplinare aperto dal Csm nei confronti di Nino Di Matteo per una inesistente infrazione che avrebbe commesso in un’intervista (legata alla conferma della notizia, già pubblicata da Panorama, relativa alle telefonate tra Mancino e Napolitano), Travaglio rimane un attimo in silenzio per poi rivolgersi al pubblico: “Secondo voi hanno messo in piedi tutto questo per una ‘presunta trattativa’? Qui di presunto c’è solo lo Stato!”. “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità”. Nel suo ultimo intervento Isabella Ferrari dà vita alle parole di Piero Calamandrei. “Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione”. Uno scroscio di applausi conclude uno spettacolo che dura quasi tre ore. Sul palco rientrano i protagonisti: Isabella Ferrari, il violinista Valentino Corvino e lo stesso autore dello spettacolo, Marco Travaglio, che ringrazia apertamente il pm Nino Di Matteo e l’intero pool di Palermo “minacciato dalla mafia e da uomini delle istituzioni”. Il Vicedirettore del Fatto ricorda infine la manifestazione in sostegno dei magistrati che si terrà a Palermo il prossimo lunedì auspicando un’ampia partecipazione. Ancora applausi. Nel lento defluire del pubblico verso l’uscita c’è chi racconta di aver sentito il proprio vicino stupirsi per quello che sentiva. E sono riflessioni amare di chi non vuole che “sia stato la mafia”.

Fonte:Antimafiaduemila